La Grande Guerra, informazione a confronto:notizie e contraddizioni tra cronache e letteratura

1. Introduzione

Il centenario della Grande Guerra cade in un periodo storico caratterizzato da una considerevole presenza di guerre in tutto il pianeta; i conflitti attuali ci vedono inevitabilmente coinvolti, perché informati in tempo reale sugli interventi politici, umanitari, religiosi orientati verso un’auspicabile risoluzione attraverso numerose iniziative di mediazione.

La nostra partecipazione è possibile attraverso il potentissimo strumento che è la rete, la quale ci consente di “vivere” le tante vicende, gli eventi, le numerose iniziative intraprese da movimenti, partiti, associazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto accade.

Un secolo fa la diffusione dell’informazione percorreva canali assai diversi con metodologie estremamente articolate; tanti gli elementi di novità che svilupparono un progressivo affinamento delle tecniche di propaganda e di informazione in genere, in grado di lasciar emergere elementi riconducibili alle differenti componenti umane che caratterizzarono quel periodo: politici, ufficiali, sottufficiali, soldati, orfani, invalidi, interventisti, neutralisti, disertori, pacifisti, molte facce di una triste medaglia, quella di una tremenda e sanguinosissima guerra, definita da Papa Benedetto XV come “una inutile strage”[1].

L’effetto della propaganda, come noto, è in grado di contribuire in modo sostanziale al processo di costruzione dell’opinione pubblica verso un consenso o un dissenso. La propaganda durante il conflitto mondiale di cento anni fa, come sostiene Nicola Della Volpe, acquisì tuttavia

“tutte le esperienze necessarie e diventa parte integrante dell’attività bellica, nei suoi molteplici compiti difensivi e offensivi. Essa deve orientarsi sul fronte interno, su quello nemico e su quello internazionale. Deve proiettarsi sui combattenti e sulle popolazioni civili. Deve studiare tutte le tecniche, orali, scritte e visive. Deve usufruire di tutti gli strumenti e i mezzi che l’incedere tecnologico le offre”[2].

Un complesso di elementi che indusse a tener presente il ruolo della forza armata nella missione, o meglio, nel compito delicato di riuscire a difendere la propria terra riuscendo a “costruire”, in modo efficace, l’informazione nella società.

L’aspetto propriamente operativo assunse, pertanto, il duplice compito di combattere per la propria nazione, cercando di far emergere un’immagine tendenzialmente virtuosa e, nel contempo, di informare la popolazione rimasta a casa. I mezzi attraverso i quali cento anni fa si cercò di raccontare, nelle diverse chiavi interpretative, quanto accadeva al fronte andarono dalle cartoline ai manifesti, agli opuscoli, ai giornali di trincea, ai volantini o manifestini e non ultimo all’utilizzo della fotografia e della cinematografia (vds. alcuni esempi in appendice). Un compito pericoloso, non solo per il contesto in cui gli operatori si trovarono ad agire, ma anche per i contenuti che attraverso i diversi canali dovevano essere ragionevolmente equilibrati. Il messaggio finale non doveva essere oggetto di turbamento sociale, anzi la convinzione che la guerra fosse necessaria doveva ancor più rafforzarsi[3].

Lo scenario politico era tutt’altro che trasparente. Come sostiene Christopher Clark,

“One can think of July 1914 as an ‘international’ crisis, a term that suggest an array of nation-states, conceived as compact, autonomous, discrete entities, like billiard balls on a table. But the sovereign structures that generated policy during the crisis were profoundly disunified. There was uncertainty (and has been ever since among historians) about where exactly the power to shape policy was located within the various executives, and ‘policies’ – or at least policy-driving initiatives of various kinds – did not necessarily come from the apex of the system; they could emanate from quite peripheral locations in the diplomatic apparatus, from military commanders, from ministerial officials and even from ambassadors, who were often policy-makers in their own right”[4].

In effetti, le diverse fonti mostrano una serie di promesse, di trattati, di progetti e pronostici che contribuiscono a farci comprendere il perché la Grande Guerra sia stata da sempre oggetto di numerose e animate interpretazioni che a tutt’oggi continuano a rendere vivace il dibattito storiografico;

Clark prosegue a questo proposito nell’affermare che,

“There is a virtually no viewpoint on its origin that cannot be supported from a selection of the available sources. And this helps in turn to explain why the ‘WWI origins’ literature has assumed such vast dimensions that no single historian (not even a fantasy figure with an easy command of all the necessary languages) could hope to read it in one lifetime”[5].

La conoscenza dei fatti, tuttavia si rende possibile anche attraverso pubblicazioni letterarie in grado di narrare numerose sfaccettature legate alle circostanze di un secolo fa. Interessante, sotto questo aspetto, è la lettura di un’opera letteraria di origine ceca, che racconta le disavventure di un personaggio divenuto, attraverso il suo scrittore, il simbolo del soldato austro-ungarico della prima Guerra mondiale: Il buon soldato Sc’veick di Jaroslav Hašeck. Nel voluminoso racconto in chiave satiro-politica, si narrano le più svariate situazioni in cui si ritrova Sc’veick, un soldato “sempliciotto”, che riesce a far emergere le tante assurdità della guerra e della stessa organizzazione militare e politica. Un lavoro che, sebbene non ultimato da Hašeck, a causa della sua scomparsa,[6] aggiunge ulteriori elementi ai tanti contributi dedicati alla grande guerra. Giudicata in un primo momento un’opera antimilitarista è stata successivamente “riabilitata” come pacifista da lettori di tutto il mondo (basti pensare che è stata tradotta in 120 lingue). Sc’veik a tutt’oggi è considerato un eroe che va oltre la propria identità nazionale e che, attraverso la sua totale obbedienza agli ordini ricevuti dai suoi superiori, riesce a dimostrare le innumerevoli assurdità presenti nelle disposizioni impartite, mettendo in risalto come spesso potessero causare situazioni grottesche se non surreali.

Un percorso di comparazione tra fonti differenti per tipologia e diacronia; da una parte il contributo di giornalisti, fotografi, scrittori che, nel caso italiano, operarono a conflitto già iniziato, dovendo fare i conti con uno scenario già più volte narrato da colleghi di altri paesi, cercando di trarne il più possibile elementi originali, dall’altra, un autore che ha voluto raccontare gli stessi fatti attraverso un’opera quanto mai attenta a mettere in risalto le contraddizioni di una sanguinosissima guerra.

 

2. Italia in guerra e informazione

Sull’entrata in guerra dell’Italia è doveroso porre una certa attenzione. Parlare di interventisti o neutralisti rischia di banalizzare una realtà quanto mai eterogenea in quanto, all’interno dei due orientamenti principali, si trovavano divergenze in un senso e nell’altro. Giovanni Giolitti, neutralista, riteneva rischiosa la scelta di partecipare al conflitto per un Paese le cui condizioni economiche non garantivano un impegno di tale genere, oltre a considerare che le forze armate fossero impreparate, temendo inoltre per le conseguenze politiche e sociali che una decisione simile avrebbe potuto causare. La mediazione con l’Austria era considerata da Giolitti praticabile per ottenere i territori cui l’Italia aspirava. Tra i neutralisti, una parte di socialisti si schierò contro l’ingresso dell’Italia, in virtù degli ideali pacifisti e antimilitaristi. I cattolici sostenitori di Benedetto XV si schierarono tra i neutralisti.

Sul fronte opposto vi furono interventisti rappresentati dai nazionalisti, da coloro che propendevano per un cosiddetto interventismo democratico, tra quelli appartenenti all’estrema sinistra dei sindacalisti rivoluzionari e i gruppi liberali conservatori tra cui si ricordano il presidente del Consiglio Antonio Salandra e il ministro degli Esteri Sidney Sonnino, entrambi dell’idea che la guerra avrebbe consentito di riprendere i territori di Trento e Trieste. I nazionalisti, se per un breve periodo considerarono l’ipotesi di una guerra a sostegno degli Imperi centrali, successivamente trasformarono la loro posizione a sostegno di una guerra a fianco dell’Intesa, con l’intento di riconquistare le terre irredente[7].

L’interventismo democratico vide tra le sue fila personalità come Gaetano Salvemini, Leonida Bissolati, Cesare Battisti i quali ritenevano che la guerra sarebbe stata, in realtà, uno scontro tra democrazie parlamentari e Stati militaristi e autoritari (Austria e Germania) in grado di consentire all’Italia di dare compimento al Risorgimento nazionale, attraverso la conquista di quei territori ancora in possesso degli austriaci.

L’estrema sinistra dei sindacalisti rivoluzionari considerò la guerra come un’opportunità per provocare una rivoluzione capace di ristabilire quegli equilibri sociali venuti meno a causa del conflitto; sullo stesso piano l’allora direttore dell’Avanti! Benito Mussolini non mancò di pubblicare articoli in favore dell’intervento italiano alla guerra, articoli che gli costarono l’espulsione dal partito, ma che lo videro fondatore del Popolo d’Italia, giornale sul quale venne portata avanti la campagna a sostegno della partecipazione italiana.

L’Italia, quindi, entrò in guerra nel 1915 dopo una serie di valutazioni che animarono lo scenario politico del tempo, come ricorda Federico Orlando,

“[…] gli interessi oscillavano sempre tra il “parecchio” che, secondo Giolitti, gli Imperi Centrali ci promettevano in cambio della neutralità, e il “tutto e di più” che volevano nazionalisti e interventisti. La guerra – dicevano nazionalisti e liberali di destra – avrebbe dato al paese il suo incompiuto risorgimento; per tutti gli altri avrebbe fatto crollare le troppo deboli istituzioni statutarie. Papisti, massimalisti, mazziniani, anarchico-radicali contavano di veder sorgere dalle macerie della guerra e del regno ciascuno il proprio sole dell’avvenire”[8].

Esisteva, tuttavia una parte di Paese che a fatica riusciva a comprendere certe posizioni; quella parte, di fatto, fu la maggior protagonista nel periodo conflittuale, perché si limitò ad accettare il destino nazionale e a combattere la sanguinosa guerra. Una realtà vissuta dalla gente in due diversi contesti: quello bellico vero e proprio e quello domestico[9]. Molti gli spunti per raccontare gli stati d’animo di chi, a casa o al fronte, partecipò o subì gli eventi in corso.

La presenza delle due nette contrapposizioni tra interventisti e neutralisti pose in essere un animato confronto che provocò la divisione di forze politiche, della stampa e dell’opinione pubblica.

La produzione della stampa neutralista ed interventista cercò di raccontare tali sentimenti. Ricordiamo Luigi Albertini, allora direttore del Corriere della Sera, di spiccate idee interventiste ostili alla politica di Giovanni Giolitti. Sul fronte opposto spiccarono figure come quelle di Alfredo Frassati, direttore della Stampa, insieme ad Olindo Malagodi, direttore de La Tribuna, entrambi neutralisti e sostenitori della politica giolittiana. Appartiene alla figura di Olindo Malagodi il cosiddetto “sentimento del cronista” legato al dovere di non giudicare lasciandosi condizionare dai propri sentimenti, per non incorrere nel rischio di commentare i fatti di cui si è stati testimoni sottraendo il fondamentale elemento di obiettività della notizia.[10]

Cronache a parte, la necessità di dare informazione mise in risalto la mancanza di un apparato burocratico dedicato a tale scopo. In realtà, se durante l’esperienza libica si sentì l’esigenza di costituire un Ufficio stampa incaricato di coordinare l’attività di diffusione e controllo delle informazioni dei corrispondenti di guerra, non successe altrettanto all’atto dell’adesione italiana al conflitto mondiale, anche a causa delle scarse risorse economiche disponibili. Unico modo di diffondere inizialmente le informazioni all’interno del Paese fu quello di utilizzare il Bollettino di guerra, strumento che richiese una particolare attenzione nella selezione delle notizie, perché in grado di poter involontariamente fornire elementi di carattere riservato alla sola realtà militare e per questo non rivolte alla pluralità dei cittadini.

Come ricorda Nicola Della Volpe,

“Le norme della censura, infatti, vietavano la presenza di giornalisti al fronte, nelle zone delle operazioni militari. Alcuni di essi, per poter inviare di nascosto corrispondenze di guerra, si arruolarono o seguirono le truppe con mille sotterfugi. Tali furono comunque le pressioni degli organi di stampa che il Comando Supremo, attraverso l’Ufficio Segreteria, fu costretto a organizzare una “gita” al fronte di giornalisti italiani e stranieri. Dal 14 agosto al 26 settembre 1915 cinquanta giornalisti, di cui 19 stranieri suddivisi in 11 gruppi e guidati da ufficiali “censori”, visitarono il fronte e inviarono le loro corrispondenze per fornire più minute informazioni sull’andamento delle operazioni di guerra”[11].

Una simile iniziativa ebbe come risultato l’individuazione di specifiche attenzioni volte alla razionalizzazione di una propaganda che andasse nella giusta direzione, sia all’interno che all’esterno della Nazione. Si pensò, pertanto di procedere ad una selezione accurata dei giornalisti, di organizzare visite guidate, e di procedere alla censura dei testi.

L’attività di controllo, in realtà dovette estendersi anche verso i combattenti, destinatari iniziali di una propaganda di persuasione alla partecipazione, ma che in realtà si trovarono ben presto a manifestare una dose di scontento e di insofferenza che indusse l’amministrazione militare ad adottare provvedimenti verso eventuali comportamenti contrari agli ideali di patria[12]. Le minacce arrivavano da parte pacifista, ma anche dal fronte nemico entrambi con l’obiettivo di indurre i soldati a disertare, insidie capaci di indebolire il morale e la convinzione dei tanti giovani inviati al fronte.

 

3. Informazione nel fronte esterno

Anche verso il fronte esterno, il Bollettino di guerra ebbe il compito di diffondere, attraverso agenzie di stampa, le notizie cercando di ostacolare la propaganda nemica capace di mettere in primo piano l’ “immagine dell’Italia traditrice di pregresse alleanze”. L’utilizzo del Bollettino si rivelò fondamentale, soprattutto nel primo periodo della guerra, rappresentando l’unico mezzo a disposizione di quell’apparato informativo a cui si è fatto cenno, ancora imperfetto per procedere con efficienza. Di fatto, presso il ministero della Guerra, il Comando Supremo non aveva all’epoca la competenza per esercitare la propaganda oltre confine, rimasta in possesso degli organi governativi; sarà soltanto nel 1917, con l’istituzione di un terzo Sottosegretariato presso il ministero dell’Interno, diretto da Romeo Gallenga Stuart,[13] che si riuscirà ad organizzare e seguire la propaganda e la stampa all’estero. Nel corso del 1916, infatti si procedette ad un’attività di studi volti ad individuare utili metodologie di propaganda contestualmente ad un’azione di consolidamento dei rapporti con la stampa[14].

Nel frattempo, durante il primo anno di guerra, a Berna, l’Ufficio Informazioni del ministero della Guerra procedette con l’istituzione di un’agenzia che preferì occuparsi di propaganda, soprattutto contro il nemico, piuttosto che interessarsi della sola informazione. Fu con la diffusione dei primi volantini scritti in differenti lingue e dialetti, che si assistette ad un consistente incremento relativo al fenomeno della diserzione esteso al fronte nemico, dal quale sopraggiunsero minacce di conseguenti rappresaglie nei confronti di quegli aviatori italiani che fossero stati catturati nel corso delle loro missioni di sorvolo e lancio del materiale propagandistico.

L’adesione dell’Italia al primo conflitto mondiale oltre ad un notevole ed inevitabile impegno di uomini e mezzi, comportò una ricerca di elementi necessari ed efficaci a costruire un lavoro di propaganda da esercitare all’interno e all’esterno dei propri confini, a difesa e vanto del proprio operato, ma in grado anche di demonizzare il nemico agli occhi dell’opinione pubblica.

 

4. Letteratura di guerra: Il buon soldato Sc’veik di Jaroslav Hašeck

All’interno della copiosa produzione letteraria sulla grande Guerra, due sono i volumi dedicati a raccontare la guerra attraverso le vicende di un soldato che, grazie al suo atteggiamento sempre corretto e ossequioso nei confronti dei superiori (le sue esternazioni sono sempre precedute dal “faccio rispettosamente notare”), riesce a far emergere le tante contraddizioni presenti nella società dell’epoca, sia all’interno del fronte, che tra la popolazione incontrata dal suo reggimento durante i vari spostamenti.

Le ansie, le paure, le battute, la fame, la superbia, la stupidità di tanti personaggi con i quali Sc’veik si trova ad interagire offrono uno spaccato estremamente interessante che ci permette di conoscere, attraverso il racconto di Jaroslav Hašeck, molti di quegli aspetti caratterizzanti le vicende del tempo.

Le logorroiche storie raccontate da Sc’veik per fare similitudini con fatti che riguardavano i suoi commilitoni, o i suoi superiori, lasciano trasparire una certa acutezza intellettuale che l’autore riesce a far sembrare casuale rendendo il soldato apparentemente inconsapevole degli effetti che le sue parole riescono a produrre su chi lo ascolta.

Nei paragrafi precedenti si è parlato di informazione facendo riferimento ai canali e ai controlli che su di essi venivano esercitati. La pubblicazione di un libro come quello di Jaroslav Hašeck, uscito a guerra finita, gioca un ruolo importante, perché riuscendo ad ironizzare e a rendere grottesche molte vicende accadute in un momento storico di estrema drammaticità, è in grado di offrire uno spaccato meritevole di contribuire ad accrescere la conoscenza dei fatti attraverso impressioni ed opinioni che, seppur appartenenti ad un romanzo, riflettono realtà presenti nel fronte austro-ungarico.

Sc’veik è un allevatore e mercante di cani, uomo tranquillo che improvvisamente si trova proiettato in un contesto che spesso non comprende, ma che affronta con tutta la sua ingenuità, pronto ad obbedire ad ogni ordine ricevuto. Sarà la sua incondizionata obbedienza che spesso metterà in risalto le contraddizioni capaci di ridicolizzare situazioni e gerarchie. Molti gli episodi grotteschi all’interno dell’opera, ma soprattutto molte le affermazioni che lasciano emergere allusioni e critiche verso una guerra folle e inutile. Pungenti ad esempio i commenti sull’entrata in guerra dell’Italia:

“Gli ufficiali del battaglione di linea s’erano adunati attorno al capitano Sàgner, il quale diceva loro qualcosa con tono concitato. Era tornato proprio in quel momento dal comando di stazione e stringeva in mano un telegramma assai confidenziale, e per di più autentico, del comando di brigata, un testo lunghissimo, che conteneva le istruzioni e le disposizioni cui era necessario attenersi nella nuova situazione in cui l’Austria era venuta a trovarsi il 23 maggio 1915. La brigata aveva telegrafato che l’Italia aveva dichiarato guerra all’Austria-Ungheria. Già a Bruck sulla Leitha, al circolo ufficiali, in occasione di pranzi e di cene, s’era parlato con la bocca piena dello strano comportamento dell’Italia, ma tutto sommato nessuno si sarebbe aspettato che si sarebbero avverate le profetiche parole di quell’idiota del cadetto Biegler, il quale, a una cena aveva scostato il piatto dei maccheroni dichiarando: “Questi qui me li mangerò sotto le porte di Verona”. Il Capitano Sàgner, dopo essersi studiato le istruzioni ricevute fresche fresche dalla brigata, fece sonare l’allarme. Quando tutte le truppe del battaglione di linea si furono radunate, vennero disposte in quadrato, ed il capitano Sàgner lesse agli uomini con voce oltremodo solenne l’ordine del giorno trasmessogli telegraficamente dalla brigata. “Spinto da un desiderio di tradire senza eguali e da una folle avidità, il Re d’Italia ha dimenticato i fraterni legami dai quali era congiunto come alleato alla nostra monarchia. Fin dallo scoppio della guerra, in cui doveva schierarsi al fianco dei nostri valorosi eserciti, il re d’Italia ha recitato la parte dell’infido assassino mascherato, comportandosi come un ipocrita, e nel medesimo tempo intrattenendo segrete trattative coi nostri avversari, facendo finalmente culminare il suo tradimento nella notte dal 22 al 23 maggio con una dichiarazione di guerra alla nostra monarchia. Il nostro supremo comandante è convinto che le nostre truppe, sempre prodi e gloriose, sapranno rispondere al vile tradimento dell’infido nemico con un colpo tale che il traditore avrà ben presto ad accorgersi come, avendo iniziato vergognosamente e subdolamente questa guerra, non ha fatto altro che provocare la propria rovina. Crediamo fermamente che, con l’aiuto di Dio, verrà presto il giorno in cui le pianure italiane vedranno nuovamente i vincitori di Santa Lucia, di Vicenza, di Novara e di Custoza. Vogliamo vincere, dobbiamo vincere e sicuramente vinceremo!” Poi ci fu il solito “dreimal hoch!” (in tedesco tre volte evviva) e le truppe ripresero posto nel treno; piuttosto sconcertate. Invece dell’etto e mezzo di formaggio emmenthal si trovavano tra capo e collo la guerra con l’Italia”[15].

Dopo aver calcato la mano sull’atteggiamento italiano riguardo alla decisione di entrare in guerra, l’autore pone l’accento su un aspetto che a prima vista può sembrare superficiale, ma che in realtà rappresentò un problema sostanziale tra le fila dei soldati: la quantità di cibo disponibile, sempre scarso rispetto alle necessità, preoccupazione primaria della truppa che, già impegnata nel conflitto, non si curava più di tanto di avere un ulteriore avversario, quanto piuttosto di riuscire a sopravvivere anche alla fame, insidia non minore dei colpi d’arma da fuoco.

Al fronte, tuttavia le notizie arrivavano, ma dal fronte dovevano anche essere inviate; qui troviamo due momenti in cui l’informazione si diffonde su un percorso parallelo: il primo, attraverso la lettera del soldato Choudounský, in cui oltre alle legittime ansie nei confronti della moglie da parte di un marito al fronte, vengono raccontati momenti legati all’attività militare operativa[16]; il secondo, relativo alla necessità di individuare una figura addetta alla scrittura dei comunicati attraverso il ruolo del Bataillonsgeschichtschreiber, (letteralmente l’incaricato alla scrittura della storia del battaglione) che nel corso del racconto viene interpretato dal volontario a ferma annuale Marek, incaricato di scrivere le vicende legate al proprio reparto cercando quanto più di vantarne le gesta[17]. Quando Sc’veik conosce Marek, scopre che la sua missione è quella di “eternare” “sulla carta gli eroici difensori dell’Austria.[18] I racconti avrebbero dovuto contenere elementi celebrativi di quanto compiuto dai valorosi militari, tutto ciò sia a sostegno del morale dei soldati, che dell’immagine mostrata all’esterno; anche in questo caso, tuttavia, la censura avrebbe giocato il suo ruolo.

Leggiamo:

“Come vedi,” rispose Marek, “ sto eternando sulla carta gli eroici difensori dell’Austria, ma, non so perché, il brano non mi vuole venire bene, e quel che ne risulta è niente altro che una c……ta. Tengo a sottolineare questa ‘c’, lettera che è riuscita ad ottenere una straordinaria perfezione sia per il presente che per il futuro. […] Se anche ne dovessimo buscare di sonore, qui ci sono le documentazioni delle vittorie del nostro battaglione, dato che, nella mia funzione di Bataillonsgeschichtschreiber, (scrittore della storia del battaglione) io ho il privilegio di poter scrivere: ‘Si rivoltò nuovamente contro il nemico, che riteneva già di avere la vittoria in pugno. L’assalto dei nostri soldati e l’attacco alla baionetta fu questione di un attimo. Il nemico si dà alla fuga disperato, si getta nelle proprie trincee, noi lo incalziamo e lo infilziamo senza pietà, sì che è costretto ad abbandonare le sue trincee lasciando nelle nostre mani prigionieri feriti e non feriti. E’ questo uno dei momenti più gloriosi.’ Chi è sopravvissuto alla terribile mischia scrive a casa un biglietto tramite la posta militare: ‘le hanno avute sul sedere, cara moglie! Sono salvo. Hai già slattato il nostro marmocchio? Però non insegnargli a chiamare papà degli estranei, perché per me sarebbe troppo duro.’ La censura, poi, cancella dallo scritto la frase: ‘Le hanno avute sul sedere,’ perché non si sa esattamente chi è che le ha buscate, e la cosa potrebbe essere interpretata in varie maniere, dato che non è espressa in termini chiari[19].”

Le attenzioni alla scrittura e ai suoi contenuti accomunano, come si vede, i due opposti fronti. Le figure dei combattenti non riescono in ogni caso a nascondere, sia attraverso documenti ufficiali, che nei contenuti della letteratura, i complessi intrecci di sentimenti presenti nell’umanità coinvolta nella terribile vicenda bellica. A Jaroslav Hašeck va il merito di aver saputo sottolineare le tante assurdità della guerra attraverso un personaggio divenuto inconsapevolmente un eroe sovranazionale. Se è vero che ogni grande epoca ha i suoi grandi uomini, Sc’vèik può essere collocato tra quegli eroi

“ignorati e oscuri…l’esame della cui indole darebbe ombra perfino alla gloria d’Alessandro Magno. Oggigiorno si può incontrare per le vie di Praga un uomo trasandato, che non sa quanta importanza abbia avuto la propria opera nella storia di un’epoca grande e nuova come questa. Egli percorre tranquillamente la sua strada, senza che nessuno gli dia noia e senza dar noia a nessuno, e senza essere assediato dai giornalisti che gli chiedano un’intervista. Se gli domandaste come si chiama, vi risponderebbe con l’aria più semplice e più naturale del mondo: “io sono quello Sc’vèik…”[20]

così l’autore amò presentare l’eroe del suo racconto[21] .

fig1

 

5. Conclusioni

Il parallelismo trattato vuole offrire una chiave di lettura comparata, rivolta ad un periodo scuro della storia, oggetto di una notevole produzione raccontata attraverso le immagini, i documenti istituzionali, la storia militare, la letteratura: comunicazione, informazioni, cronaca, racconti, un confronto in cui la guerra ha trovato il modo di esprimersi coinvolgendo combattenti e popolazione, evidenziando l’importanza del diffondere notizie e testimonianze .

Le celebrazioni del centenario dell’“inutile strage” cadono in un momento di notevole tensione globale che induce a chiedersi se le innovazioni che hanno interessato negli anni la diffusione delle informazioni, possano giocare a favore o sfavore di un percorso di consapevolezza, capace di produrre azioni orientate ad arginare una minaccia sempre latente. Ricordare una guerra iniziata nel 1914, in uno scenario come quello attuale, pone l’imperativo di andare oltre l’aspetto puramente commemorativo, conduce piuttosto ad una seria presa di coscienza transnazionale da parte della classe politica, delle istituzioni e delle stessa società civile verso la ricerca di soluzioni possibili adatte a costruire una pace duratura. Il ruolo dell’informazione risulta essere quanto mai centrale nella comparazione di ciò che avvenne cento anni fa e ciò che caratterizza l’attuale scenario internazionale. Le numerose iniziative indette per rievocare il primo conflitto mondiale, oltre ad offrire l’opportunità di ripercorrere i tanti momenti del periodo bellico, servono a far emergere quegli elementi che, nostro malgrado, accomunano i due contesti temporali quasi a farci notare che, nonostante i tanti cambiamenti politici, sociali, economici e tecnologici, lo spettro dell’indole conflittuale umana non risulta sconfitto.

Se l’informazione dal fronte dovette fare i conti con la censura, la letteratura ha potuto sicuramente tracciare fisionomie più sottili e per questo maggiormente capaci di raggiungere l’individuo, consentendogli di capire e di conoscere molti di quegli aspetti spesso nascosti dai canali ufficiali.

 

APPENDICE[22]

 

MANIFESTI

 

manifesto1

 

Manifesto cinematografico che raffigura una compagnia di bersaglieri a passo di corsa, in alto sventola il tricolore italiano.

Ente di appartenenza: Biblioteca Universitaria Alessandrina

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/manifesto/RML0193804_01

 

manifesto2

 

Manifesto cinematografico raffigurante un alpino italiano che da una rupe sventola la bandiera italiana.

Ente di appartenenza: Biblioteca Universitaria Alessandrina

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/manifesto/RML0193833_01

 

manifesto3

 

Manifesto cinematografico raffigurante i bersaglieri che conquistano una postazione nemica, abbattono la bandiera austriaca ed issano quella italiana.

Ente di appartenenza: Biblioteca Universitaria Alessandrina

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/manifesto/RML0193742

 

 

 

 

 

CARTOLINE

 

cartolina1

 

Titolo:….E là , nella trincea vigile ed ospitale, inneggia alla vittoria il soldato italiano nel giorno di Natale.

Ente di appartenenza: Museo Centrale del Risorgimento

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/cartolina/MCRR_CA_1_435/1

 

cartolina2

 

Titolo:1900 – 1918. … perché viva la Patria oggi si muore! Carducci

Ente di appartenenza:Museo Centrale del Risorgimento

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/cartolina/MCRR_CA_1_661/1

 

 

PERIODICI

 

periodico1

 

Pubblicazione:Milano : Sonzogno , 1915

Ente di appartenenza:Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/periodici/TO00185505/1915/1ser.n.1

 

periodico2

 

Titolo:Guerra europea

Pubblicazione: 1914

Ente di appartenenza:Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/periodici/IEI0274256/1914/n.1

 

 

OPUSCOLI

 

opuscolo1

 

Titolo:Canzonette popolari sulla guerra / Cesare Picchi

Pubblicazione:Firenze : Tip. Bernardi, [1917]

Ente di appartenenza:Biblioteca Universitaria Alessandrina

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/opuscolo/RML0349019_001

 

opuscolo2

 

Titolo:Agenda del soldato, 1916 / Illustrazioni di Aleardo Terzi

Pubblicazione:Roma : Novissima, 1916

Ente di appartenenza:Biblioteca di storia moderna e contemporanea

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/opuscolo/IEI0210981_001

 

VOLANTINI

 

volantino1

 

Titolo:’A guerra! / Aniello Califano

Pubblicazione: 1916

Ente di appartenenza:Biblioteca Universitaria Alessandrina

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/foglio/RML0348334_01

 

volantino2

 

Titolo:”Vittoria!” : pagine per i soldati, Maggio 1918

Pubblicazione: 1918

Abstract: Foglio che sostiene che “la guerra ci ha insegnato o riinsegnato tangibilmente due cose anzitutto, che siamo una nazione e che c’è prima d’ogni altro, l’interesse di questa nazione da tutelare per noi”

Ente di appartenenza:Biblioteca Universitaria Alessandrina

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/foglio/RML0350423_01

 

volantino3

 

Titolo:A Benedetto 15. infelicemente regnante per disgrazia di Dio e nessuna volontà della nazione

Pubblicazione: 1918

Abstract:Foglio che riporta la poesia con incipit “Quando il teutone immondo con barbari gesti … ”

Ente di appartenenza:Biblioteca Universitaria Alessandrina

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/foglio/RML0348341_01

 

GIORNALI DI TRINCEA

 

giornale1

 

Titolo:Collegamento morale : quaderni editi dall’Ufficio centro di collegamento P colle prime linee del 10. Corpo d’armata

Datazione:1918

Note:Periodicità sconosciuta

Indicazione di luogo: Zona di operazioni (presumibilmente in Dalmazia)

Descrizione basata su: 1918, n. 4 (primavera).

Ente di appartenenza:Biblioteca di storia moderna e contemporanea

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/giornali-di-trincea/IEI0109175/1918/n._5

 

giornale2

 

Titolo:La tradotta

Pubblicazione:Reggio Emilia : Istituto veneto di arti grafiche , 1918

Note:Termina nel 1919 Il luogo di ed. varia in: Venezia Dal n. 16 l’ed. varia in: Milano : Bestetti & Tumminelli

Ente di appartenenza:Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/giornali-di-trincea/TO00196620/1918/n.1

 

giornale3

 

Titolo:La trincea

Pubblicazione:1918

Datazione:1918

Note:Settimanale

Da n. 9 (31 mar. 1918) a n. 16 (19 mag. 1918) il compl. del tit. varia in: periodico dei soldati del Grappa

Ente di appartenenza:Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea

Fonte: 1418 – Documenti e immagini della grande guerra, ver 3.0 © 2010-2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, http://www.14-18.it/giornali-di-trincea/MOD0348133/1918/n.1

 

 

ALCUNE IMMAGINI DEL BUON SOLDATO SC’VEIK

 

moneta

 

Moneta da 1 Euro commemorativa di Sc’veik

 

illustrazione

 

Illustrazioni di Josef Lada riprodotte sulla copertina dell’edizione italiana pubblicata da Feltrinelli

 


[1] Si veda a questo proposito la Lettera del Santo Padre Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti, 1 agosto 1917, Acta Apostolicae Sedis IX (1917), P. 421 – 423. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xv/letters/1917/documents/hf_ben-xv_let_19170801_popoli-belligeranti_it.html, consultato in data 10 novembre 2014. L’affermazione dell’ “inutile strage” non risparmiò di suscitare polemiche e numerose riserve da parte delle nazioni belligeranti, soprattutto da quella parte di opinione animata da spirito nazionalista. Allo stesso tempo, negli ambienti più sensibili ai valori della fede e del rispetto reciproco fu apprezzata e considerata come una sollecitazione per le sorti dell’umanità minacciata di smarrire la propria natura civile e cristiana. Se nell’ambiente diplomatico vi furono risposte possibiliste, da parte degli Stati Uniti così come dalla Germania, Austria e Belgio, da parte italiana e dagli alleati dell’Intesa vi furono imbarazzanti silenzi; si distinse in questo contesto il ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino il quale si adoperò a che qualsiasi risposta alle sollecitazioni del Pontefice venisse bloccata da parte dei governi dell’Intesa.

[2] N. della Volpe, Esercito e propaganda nella grande guerra (1915 – 1918), Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1989, p. 8.

[3][ …] Qualche giornale ci arrivava ogni tanto e ce li passavamo fra di noi. Erano tutti gli stessi e c’irritavano. La guerra vi era descritta in modo così strano che ci era irriconoscibile. La Valle di Campomulo che, dopo Monte Fior, noi avevamo attraversato senza incontrare un ferito, vi era dipinta “imbottita di cadaveri”. Di austriaci, naturalmente. La musica ci precedeva negli assalti ed era un delirio di canti e di conquiste. Anche i nostri giornaletti militari erano molto noiosi. La verità l’avevamo solo noi, di fronte ai nostri occhi. [ …], E. Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi, Torino, 1994, p.112

[4] C. Clark, The sleepwalkers – How Europe went to war in 1914, Penguin books, London, 2013, introduction, pp. XIX –XX.

[5] Ivi, pp. XXI – XXII. Sull’argomento delle chiavi interpretative sulla Grande Guerra risultano di sicuro interesse nella copiosa bibliografia anglosassone e germanica A. Mombauer, The Origins of the First World War: Controversies and Consensus, Longman, London, 2002; J. Winter and A. Prost, The Great War in History. Debates and Controversies, 1914 to the Present, Cambridge University Press, 2005; W. Jäger, Historische Forschung und politische Kultur in Deutschland. Die Debatte um den Ausbruch des Ersten Weltkriegs 1914 – 1980, Göttingen, 1984.

[6] Il romanzo di Hašek fu pubblicato in quattro parti tra il 1921 e il 1923 anno della sua morte. Le prime tre parti restano di proprietà integrale dell’autore mentre i diritti della quarta furono acquistati, dopo la morte di Hašek, dal suo amico giornalista Karel Vanek, che per completare il racconto aggiunse una quinta e sesta parte, considerate tuttavia di qualità mediocre rispetto al resto dell’opera. J.Hašeck, Il buon soldato Sc’veik, Feltrinelli, Milano, 2003.

[7] Va ricordato come personaggi del calibro di Gabriele D’Annunzio per la letteratura e tutta la corrente futurista, per l’arte, sostennero l’idea che la guerra sarebbe stata uno strumento di purificazione e rigenerazione della società sperando in “un caldo bagno di sangue nero, dopo tanto umidiccio e tiepidume di latte materno e lacrime fraterne”, come scrisse il poeta, scrittore, aforista Giovanni Papini nel suo articolo “Amiamo la guerra”, pubblicato il 1 ottobre 1914 nella rivista “Lacerba”, fondata da lui e Ardengo Soffici nel gennaio 1913.

[8] F. Orlando, 1914 La neutralità tormentata, “La Stampa”, 18 gennaio 2014.

[9] In Doppio Fronte – oratorio per la Grande Guerra una pièce teatrale estremamente toccante, capace di ripercorrere i tratti della guerra nel quotidiano, dalle trincee alle famiglie, prodotta dal Teatro Biondo Stabile di Palermo, con Moni Ovadia e Lucilla Galeazzi si recita come vi fosse un’ “Italia sempre più povera con le donne che dovettero provvedere a mantenere la famiglia mentre i propri uomini combattevano al fronte e un’Italia che vide i soldati veneti e friulani già arruolati nel 1914 nell’esercito austriaco, ritrovarsi nel 1915 in trincea contro l’esercito italiano”.

[10]Cfr. B. Vigezzi (a cura di), Olindo MalagodiConversazioni della guerra 1914- 1919, R. Ricciardi Editore, Milano – Napoli, 1960.

[11] N. Della Volpe, cit., p.12.

[12] I casi di diserzione “furono severamente repressi ed impietosamente pubblicizzati. In alcuni Comuni invalse il costume di additare al pubblico ludibrio i nomi dei militari condannati per diserzione”. N. Della Volpe, cit., p.14. L’accusa di diserzione, tuttavia poteva nascondere anche un semplice atteggiamento di insubordinazione legato a fatti non direttamente legati alla partecipazione operativa. Una figura che si distinse per l’inclinazione a fucilare gli ipotetici disertori (a volte semplicemente distratti inosservanti di atteggiamenti formali), successivamente elencati all’interno dei bandi affissi nei paesi luoghi dell’accaduto, fu il generale Andrea Graziani, ribattezzato “generale fucilatore” o “generale delle fucilazioni” pronto ad applicare una disciplina ferrea che scoraggiasse eventuali comportamenti colpevoli di “mettere in giuoco la salvezza dell’Italia”, mediante esecuzioni sommarie. Una campagna di stampa contro questo tipo di esecuzioni ad opera del Graziani (presumibilmente più di 56 in due anni), fu condotta dal quotidiano “L’Avanti!” tra l’estate e l’autunno del 1919.

[13] Alcuni tratti biografici di Romeo Gallenga Stuart ci mostrano come dopo le elezioni del 1913 costituì, con Luigi Federzoni, Luigi Medici del Vascello e Piero Foscari, il primo nucleo nazionalista alla Camera. “Interventista della prima ora e presidente dell’Associazione Trento e Trieste, dopo l’entrata in guerra dell’Italia si arruolò volontario e prese parte ai combattimenti come tenente del reggimento Piemonte Reale Cavalleria. Passò, quindi, alle dipendenze dell’Ufficio di propaganda di guerra all’estero costituito dal governo nel 1916, sotto la direzione del ministro senza portafogli Vittorio Scialoja, allo scopo di convincere l’opinione pubblica, soprattutto dei paesi alleati, della validità delle aspirazioni dell’Italia. Nell’estate del 1917 venne incaricato dallo Scialoja di compiere una missione in Inghilterra per guadagnare simpatie e appoggi alla causa italiana. Ben introdotto negli ambienti aristocratici inglesi, incontrò numerosi esponenti del mondo politico e industriale, riscontrando in loro grande apertura e fiducia nei confronti dell’Italia; nel corso della missione ebbe anche ripetuti contatti con i rappresentanti jugoslavi, le cui ragioni trovavano benevola udienza in Inghilterra. Si convinse allora che i nodi della “questione adriatica” avrebbero potuto essere sciolti trovando un accordo tra le aspirazioni italiane e quelle jugoslave, al fine di sconfiggere uniti quanti si opponevano allo smembramento dell’Impero austro-ungarico e, allo stesso tempo, cercando il modo di contemperare le rivendicazioni di ambedue le parti, nel nome dell’unità e dell’indipendenza nazionali, alle stesse terre. In questo quadro, il Gallenga riteneva che “insistendo con tatto, il movimento jugoslavo [avrebbe finito] per rassegnarsi alle pretese italiane sulla Dalmazia” (lettera del G. a V.E. Orlando del 13 ag. 1917, in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Carte Orlando, b. 5, f. 236). Il Gallenga ebbe modo di far valere questa linea di condotta allorché, nel novembre 1917, venne messo a capo del sottosegretariato per la Propaganda all’estero e per la stampa, che era stato proprio allora costituito rilevando le competenze dell’ufficio diretto da Scialoja, e posto alle dipendenze del ministero dell’Interno, di cui il presidente del consiglio Orlando reggeva l’interim. Legato da vincoli di amicizia e di collaborazione politica a Orlando, fu scelto per l’esperienza maturata in questo genere di attività e anche perché “per le sue origini e per aver fatto parte del comitato interparlamentare alleato aveva moltissime conoscenze negli ambienti inglesi e francesi”; in particolare era in contatto con personalità quali il ministro degli esteri francese S.-J.-M. Pichon e il proprietario del Times, nonché direttore dell’Ufficio di propaganda britannico, lord A.Ch. Harmsworth Northcliffe, “che più erano sensibili al problema delle nazionalità oppresse dell’Austria-Ungheria”. Cfr. Dizionario biografico degli italiani Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/gallenga-stuart-romeo-adriano_%28Dizionario-Biografico%29/, consultato il 20 novembre 2014.

[14] Il Comando Supremo d’intesa con il ministero dell’Interno informarono le armate sulla presenza di alcuni giornalisti autorizzati a rimanere al fronte e a prendere atto della situazione di fatto. Gli scritti prodotti dovevano, tuttavia essere sottoposti alla censura operata dall’Ufficio Stampa. Tra i giornalisti presenti al fronte si ricordano tra gli altri Luigi Barzini (Corriere della Sera), Luigi Ambrosini (La Stampa), Arnaldo Fraccaroli (Corriere della Sera), Rino Alessi (Messaggero).

[15] J.Hašeck, Il buon soldato Sc’veik, Feltrinelli, Milano, 2003, Tomo II, pp. 569 – 570.

[16] Si legge testualmente:

“Mia carissima Boženska,

Quando riceverai queste righe, sappi cha abbiamo or ora terminato una grande battaglia, nella quale la fortuna delle armi ha arriso alla nostra parte. Tra l’altro, abbiamo abbattuto una decina di aeroplani nemici ed un generale con una grande verruca sul naso. Quando più infuriava la battaglia, mentre sulle nostre teste scoppiavano gli shrapnels, io pensavo a Te, cara Boženska, a quello che facevi, a come stavi ed alle novità che potevano esserci a casa. E mi ricordavo sempre di quella volta che siamo stati insieme alla birreria di “San Tommaso”, quando mi riportasti a casa e, il giorno dopo, ti fece male la mano per il grande sforzo compiuto. Adesso continuiamo ad andare sempre avanti, così che non ho più tempo per proseguire questa lettera. Spero che mi sia rimasta fedele, perché sai bene che, da questo punto di vista, sono una carogna. Ma ormai è tempo di mettersi in marcia! Ti invio mille baci, cara Boženska, ed abbi fiducia che andrà a finire tutto bene.

Il Tuo Tonouš”, J.Hašeck, Il buon soldato Sc’veik, cit. Tomo III, p. 732

[17] “[…]Sc’vèik se ne stava già nell’ufficio del battaglione, dove non c’era nessuno tranne il volontario con ferma annuale Marek, il quale, in quanto storico del battaglione, approfittava della sosta del reparto a Zòltance per descrivere in anticipo alcuni combattimenti vittoriosi che, secondo le sue previsioni, si sarebbero svolti in futuro”, Ivi, p. 822.

[18] Ibidem.

[19] Ibidem.

[20] Ivi, introduzione.

[21] In appendice alcune immagini dell’ “eroe” Sc’vèik.

[22] Obiettivo dell’appendice è quello di mostrare alcuni esemplari delle immagini che raccontano i vari aspetti della grande guerra. Risulta piuttosto interessante la fonte dalla quale sono state estratte, precisamente, il sito http://www.14-18.it/home all’interno del quale è possibile approfondire la propria conoscenza consultando un grande archivio di immagini di straordinario interesse storico che consente la conoscenza e la valorizzazione di collezioni possedute da istituzioni diverse tra cui archivi, musei, biblioteche. Le immagini dell’archivio si compongono anche di numerosissime foto suddivise in album, foto negative e foto positive. I disegni del buon soldato Sc’veik riproducono la copertina della traduzione italiana edita da Feltrinelli, mente la moneta è stata fotografata appositamente per essere aggiunta in appendice.

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