Una risorsa per la storia della Psichiatria: gli archivi dei manicomi in Toscana

Il caso della città di Firenze

Il malato di mente povero o privo di qualsiasi supporto familiare condivise per molti secoli un destino di emarginazione, di punizione e di segregazione. Sin dagli inizi del XIV secolo nella città di Firenze i pazzi venivano rinchiusi nel carcere delle Stinche situato nel rione di Santa Croce. Il folle veniva ospitato nella “Pazzeria” una delle celle più oscure e terribili del carcere fiorentino[1]. La struttura era riconosciuta come luogo di correzione per il pazzo che aveva avuto atteggiamenti sconvenienti, fastidiosi o violenti[2].

Nel XVII secolo, nel capoluogo Toscano nascono due strutture destinate ad accogliere i folli: i malati più agiati che inizialmente avevano trovato alloggio in alcuni locali della Fortezza da Basso vennero poi trasferiti nell’ospedale a pagamento del Santa Dorotea[3], mentre i meno abbienti, dapprima rinchiusi nel Carcere delle Stinche, vennero allocati a partire dal 1688 nella “Pazzeria” annessa all’Ospedale del Santa Maria Nuova[4]. Le due strutture furono uno spazio reale e simbolico nel quale il pazzo trovò una accoglienza adeguata e per la prima volta se ne tentò anche la cura[5]. I due istituti chiusero i battenti nel 1789 quando venne istituito l’Ospedale di Bonifazio per volontà di Pietro Leopoldo. La struttura fiorentina viene considerata tradizionalmente il primo manicomio in senso stretto nel nostro paese, sia per il suo regolamento che per la presenza del Chiarugi che in campo psichiatrico ha rappresentato la figura più illustre in Italia tra il Settecento e l’Ottocento[6]. Nel 1891 fu inaugurato il nuovo Manicomio fiorentino intitolato alla memoria del grande alienalista Vincenzo Chiarugi, che andava a sostituire la vecchia struttura del Bonifazio[7]. L’Ospedale Psichiatrico sorgeva ai margini del centro abitato, nel quartiere del San Salvi da cui prese il nome. Il 1° maggio del 1896 venne istituita la Clinica universitaria che era annessa al Manicomio[8]. La Clinica funzionava come Istituto di Osservazione e aveva il compito di esaminare i malati per i quali era richiesta l’ammissione in Manicomio. Nel 1998 si ha la chiusura definitiva dell’Ospedale psichiatrico di San Salvi.

Grazie ai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze che nel tempo è diventato l’Istituto di concentrazione della follia fiorentina, è possibile ricostruire 700 anni di disagio mentale per la città di Firenze.

I fondi del disagio mentale conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze

L’archivio dell’Ospedale psichiatrico di San Salvi era conservato nei locali seminterrati del padiglione 24 dell’ex complesso manicomiale di Firenze, un tempo utilizzati come dispense. Il materiale di carattere amministrativo era collocato in una stanza insieme alla documentazione di altri istituti fiorentini: l’Istituto per fanciulli Tardivi Umberto I, la Villa Basilewsky, l’Associazione Nazionale Spastici, l’Istituto Oftalmico e l’Istituto Medico Pedagogico Bice Cammeo; mentre le cartelle cliniche ed alcuni registri erano stati allocati in un’altra stanza. L’archivio era stato recuperato nel 1996 da un magazzino fatiscente di proprietà dell’ASL e trasferito poi nei nuovi locali della stessa struttura. La nuova sistemazione si dimostrò però inadeguata alla conservazione e alla fruizione della documentazione che fu depositata tra il 2010 e il 2011 presso l’Archivio di Stato di Firenze[9]. Anche gli archivi dell’Istituto Umberto I e dell’Istituto Bice Cammeo per motivi di sicurezza secondo l’articolo 43 del Codice dei Beni Culturali trovarono sistemazione presso l’archivio precitato. L’11 aprile del 2011 venne stipulata una convenzione tra l’USL 10 e l’Archivio di Stato, mentre l’approvazione definitiva da parte della Direzione Generale avvenne il 16 novembre dello stesso anno[10].

La Clinica psichiatrica di Firenze che si era trasferita dal 1958 dal complesso manicomiale di San Salvi all’Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi, in quell’occasione separò tutta la sua documentazione dal fondo manicomiale interrompendo così il vincolo archivistico[11]. L’archivio della Clinica era conservato presso il Centro traumatologico ortopedico dell’ospedale, inseguito per problemi logistici venne affidato all’azienda di outsourcing Coop Service di Calenzano. Il 20 ottobre del 2011 su proposta della Soprintendenza archivista della Toscana il fondo archivistico venne depositato presso l’Archivio di Stato di Firenze. Tale operazione aveva come obbiettivo la messa in sicurezza delle carte riunendole con quelle dell’Ospedale psichiatrico di San Salvi, già conservate presso l’Archivio di Stato[12]. I quattro fondi archivistici rappresentano un valido strumento per la ricostruzione della storia del disagio mentale vista l’abbondanza e la varietà di informazioni che sono in grado di fornire.

Il fondo dell’Ospedale psichiatrico di San Salvi si compone di 2053 pezzi, che coprono un arco cronologico dal 1871 al 1996. L’archivio è costituito da 4 nuclei principali:

la Corrispondenza conserva tanto i registri di protocollo e i relativi indici, quanto il carteggio comprendente in particolare la documentazione proveniente dall’esterno con riferimento ai degenti e ad altre istituzioni che fanno parte dei particolari sistemi di gestione ordinaria e straordinaria dell’Ospedale. I temi trattati e le informazioni sono molteplici: richieste di pagamento della retta, procedure di ammissione e dimissione, regolamenti interni, richieste ed iniziative del Direttore volte a migliorare la struttura ospedaliera, notizie sui ricoveri.

La documentazione di carattere amministrativo e contabile riguarda principalmente la gestione della struttura in ispecie: le spese per il vitto, per il riscaldamento e per l’illuminazione, la contabilità delle rette e del denaro dei ricoverati, la manutenzione ordinaria e straordinaria e le ristrutturazioni edilizie più consistenti.

La documentazione sanitaria comprende: le relazioni mediche, gli esami clinici ed i registri con i rapporti giornalieri dei diversi reparti utile per conoscere la vita quotidiana dell’ospedale. Nei diari di reparto, gli infermieri annotavano durante le 24 ore tutto ciò che accadeva sotto la loro responsabilità. Esempio: aggressioni, depressioni, rapporti con i parenti, visite, tentativi di fuga, farmaci somministrati. Da tali documenti è possibile fare indagini sulle terapie, sul rapporto tra paziente e personale, sulle contenzioni anche se queste testimonianze devono essere sempre filtrate poiché provengono dal personale stesso.

Il corposo nucleo delle cartelle cliniche rappresenta la documentazione sanitaria più significativa e consistente degli archivi degli ex manicomi, in quanto riveste un notevole interesse sia sotto il profilo medico-scientifico che sotto quello storico. All’interno possono custodire: il decreto di ammissione del Tribunale Civile e Penale, la corrispondenza con la Provincia, la modula informativa della Clinica Psichiatrica, i certificati medici, l’anamnesi familiare, il diario clinico, l’inventario degli oggetti del malato, le lettere del ricoverato, il certificato di morte. Il diario clinico veniva aggiornato periodicamente e segnalava: gli sviluppi della malattia, la sopravvenienza di altre patologie, gli eventuali esami diagnostici, le terapie, fino all’esito finale del ricovero per dismissione o morte del paziente. I fascicoli sono ordinati alfabeticamente per anno di chiusura della pratica, vale a dire secondo la data di dimissione o morte del paziente, e distinti tra uomini e donne. Talvolta è presente la corrispondenza privata del malato con parenti, amici ed istituzioni. Per i malati internati dal 1918 è possibile trovare la foto. Le cartelle cliniche sono la testimonianza della degenza dei pazienti ricoverati nelle strutture manicomiali, che ci permettono di ricostruire la vita dei malati all’interno dell’ospedale. La documentazione sanitaria e del personale degli ultimi ‘70 anni è conservata invece nell’area dell’ex Ospedale psichiatrico di San Salvi, in due locali idonei situati di fronte alla Biblioteca della Facoltà di Psicologia nel padiglione 26.

L’Archivio della Clinica psichiatrica è costituito da 336 unità archivistiche dal 1896 data di apertura della Clinica al 1958 anno in cui la struttura abbandona l’Ospedale psichiatrico di San Salvi per trasferirsi al Policlinico di Careggi. La documentazione è di carattere sanitario in quanto la Clinica funzionava come Istituto di Osservazione; dopo un breve periodo i malati venivano infatti trasferiti o nei diversi reparti del San Salvi oppure veniva richiesto il loro immediato licenziamento. L’archivio conserva i documenti relativi all’ammissione provvisoria dei malati, richieste e risultati di analisi, diagnosi mediche, certificati di trasferimento in Manicomio, dimissioni del malato. La modula informativa veniva compilata al momento del ricovero del paziente all’interno della Clinica e conteneva i suoi dati anagrafici, le notizie storiche della sua malattia, la diagnosi effettuata dopo un periodo di osservazione che poteva durare massimo un mese.

L’Archivio dell’Istituto Umberto I conserva 494 unità archivistiche e 3559 cartelle cliniche dal 1889 al 1984 anno di chiusura della struttura. Il fondo presenta molte lacune a causa delle dispersioni subite nel tempo; le carte più antiche dell’Ente sono andate perdute mentre è possibile ricostruire la sua storia attraverso il carteggio a partire dagli anni ’40 del Novecento. La serie Corrispondenza è costituita dallo scambio di lettere con le autorità comunali, con le famiglie o altre istituzioni e riguarda l’ammissione o la dimissione dei minori presso l’Istituto nonché il pagamento delle loro rette.

La documentazione scolastica comprende: i registri di classe, le relazioni sull’andamento scolastico, il materiale didattico, i test psicologici, i certificati delle vaccinazioni. Sono presenti inoltre, le foto relative alle attività fisiche e ricreative degli alunni dell’Istituto, durante le gare sportive, le lezioni e le vacanze estive nelle colonie.

Il nucleo delle cartelle è costituito da 3559 fascicoli che raccontano la storia dei minori provenienti da tutta Italia, ricoverati presso l’Istituto Umberto I dal 1903 al 1984. Possono conservare all’interno: le note pedagogiche sull’evoluzione scolastica del minore, la corrispondenza con la famiglia, con la Provincia ed Enti benefici, l’anamnesi con i dati anagrafici e la storia della malattia mentale, il diario clinico, gli esami psicologici, i certificati medici, il trasferimento da un altro Ospedale psichiatrico o stanza di osservazione, il decreto di ammissione e di dimissione del Tribunale, il questionario, la scheda delle rette pagate, i certificati scolastici (come pagelle), i disegni, i certificati di vaccinazione, la fotografia d’ingresso. Nonostante sia andata perduta parte della documentazione, l’Archivio dell’Istituto Umberto I rappresenta una testimonianza unica della gestione del disagio mentale minorile e del suo trattamento sanitario.

L’Archivio dell’Istituto Bice Cammeo è costituto da 65 unità archivistiche dal 1923 al 1987. Purtroppo, il resto della documentazione è andato perduto ed è rimasto soltanto uno spezzone di archivio. Le carte conservate ci raccontano solo in parte la storia di questa struttura che era nata per recuperare i minori con gravi disturbi comportamentali. L’archivio conserva la serie Corrispondenza amministrativa costituita da documentazione piuttosto disomogenea che va dal 1953 al 1987; raccoglie il carteggio con: i genitori, il Ministero della Pubblica Istruzione, il Ministero della Salute, il Patronato Scolastico, la Regione, le fotografie relative all’attività dell’Istituto, il regolamento e la pianta organica del personale e le relazioni tecniche sull’andamento scolastico.

La documentazione di carattere sanitario comprende: le visite ambulatoriali, i test psicologici, gli esami specialistici, i trattamenti sanitari. Presso l’Istituto operava un Centro ambulatoriale di neuropsichiatria infantile che effettuava visite mediche specialistiche, esami e test psicologici. I test psicoattitudinali servivano poi per valutare lo stato psichico del bambino e l’eventuale ricovero presso l’Istituto.

La serie delle Cartelle cliniche è costituita da 21 fascicoli che coprono un arco cronologico compreso dal 1956 al 1983; possono conservare all’interno: la domanda di ammissione, l’anamnesi personale, la scheda sociale, la scheda pedagogica, l’esame pedo-neuropsichiatrico, l’esito pedo-neuropsichiatrico, la scheda per l’insegnante, la scheda per l’educatrice, la scheda neuropsichiatrica, la scheda ortofonica, la scheda psichiatrica, il diario clinico e la relazione medica. Attraverso le poche cartelle cliniche rimaste è possibile ricostruire la storia scolastica e medica dei minori che ricoverati presso l’Istituto Bice Cammeo trovavano un’alternativa di cura e di recupero rispetto all’internamento manicomiale.

Conclusioni

Molteplici sono gli studi che si possono effettuare attingendo dalle informazioni fornite dall’archivio di un ospedale psichiatrico: la storia della medicina in quanto ci permette di tracciare le tappe fondamentali della psichiatria; l’aspetto economico poiché l’ente si reggeva sui propri mezzi, salvo qualche intervento esterno e quello sociosanitario che analizza il rapporto tra il personale ospedaliero e il paziente. Attraverso la documentazione del personale è possibile inoltre ricostruire la carriera delle diverse figure che hanno lavorato nei villaggi manicomiali dai medici agli infermieri, agli inservienti, alle persone che operavano pur non avendo specifiche funzioni sanitarie come i cappellani e le suore.

L’archivio ci racconta la storia dell’Ospedale psichiatrico attraversato da un duplice movimento quello delle classi più povere della società, che vedevano nel manicomio una sorta di organo di assistenza e quello del potere amministrativo che voleva farne un garante della sicurezza sociale. I documenti parlano linguaggi diversi quello dei malati, quello politico amministrativo della autorità, da quello tecnico dei medici, a quello quotidiano di tutti gli altri, vale a dire familiari, amici, fiduciari, postulati, mediatori.

Particolare menzione meritano le cartelle cliniche che consentono di ricostruire non solo la malattia di ogni singolo paziente, ma anche la storia della sua vita prima del ricovero e durante la sua permanenza in istituto. Possono contenere infatti scritti, lettere ricevute, ma anche lettere non spedite, espressione di un’attività censoria esercitata dai medici al fine di segretare quanto avveniva in manicomio. Sono documenti unici che mettono in luce la dimensione privata, intima di queste persone che ci restituiscono aspetti della loro soggettività, il loro punto di vista, il loro vissuto e la loro stessa esistenza[13]. L’archivio offre la possibilità di entrare nelle istituzioni, recuperare le esperienze reali che si rivivono attraverso la memoria, i comportamenti, le rappresentazioni, i sentimenti ed i loro valori dimenticati dalla società. Spero con queste mie poche note, di aver suscitato un interesse per gli archivi della follia come fonte insostituibile di ricerca di questa misteriosa malattia, della sua evoluzione, dei suoi aspetti socioculturali nel corso dei tempi.


[1] L’Archivio Soprastanti alle Stinche è costituito da 525 pezzi archivistici dal XIV secolo al 1808. Il fondo conserva il “Libro dei malati e dei discoli condotti nelle Stinche” che contiene i nomi dei pazzi e dei discoli che furono ospitati presso il carcere delle Stinche dal 1596 al 1644. Nel registro sono riportati i seguenti dati: nome del detenuto, data di ammissione, chi ha dato ordine di carcerazione (Otto, magistrato dei pupilli), motivo della carcerazione e le spese a carico della famiglia. Viene inoltre indicata la data di liberazione o morte del detenuto. Nella sala studio dell’Archivio di Stato di Firenze è possibile consultare quello che viene chiamato l’inventario n. 119 dove sono elencate le diverse unità archivistiche del fondo.

[2] L’isola delle Stinche e i percorsi della follia a Firenze nei secoli XIV-XVIII, a cura di Vittorio Biotti, Graziella Magherini, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992, pp. 25-26.

[3] L’Archivio del Santa Dorotea è costituito da 65 unità dal 1440 al 1778 anno di chiusura della struttura. Parte della documentazione purtroppo è andata distrutta durante l’alluvione del 1740. La documentazione è soprattutto di carattere amministrativa e riguarda per lo più la gestione del ricovero, in ispecie: le spese per vitto, il riscaldamento e l’illuminazione, la contabilità delle rette e delle spese dei ricoverati. Filze di particolare interesse risultano quelle del Motuproprio che conservano i dossier dei malati dal 1750 al 1785. I dossier raccolgono le suppliche che rivolgevano i parenti più stretti alla Congregazione per l’ammissione dei propri cari all’interno della Pia Casa. Attraverso il volume Istrumenti e ricordi ed il Libro dei verbali delle riunioni della congregazione, è possibile ripercorrere la storia della Pia Casa dalla sua nascita fino al 1754. Nella sala studio dell’Archivio di Stato di Firenze è possibile consultare quello che viene chiamato l’inventario n. 150 dove sono elencate le diverse unità archivistiche del fondo.

[4] L’Archivio Santa Maria Nuova conserva la documentazione relativa alla gestione del reparto la “Pazzeria” istituita nel 1688 e chiusa nel 1754. Il fondo raccoglie le carte inerenti alla gestione dell’Ospedale di Bonifazio che nel 1785 venne aggregato al Santa Maria Nuova. Le serie riguardano principalmente: gli ordini di servizio del personale, la manutenzione e la ristrutturazione dell’edificio, le forniture, la tabella giornaliera dei consumi di vitto dei malati, le ammissioni dei malati di mente e le suppliche dei parenti per un buon trattamento dei propri cari. Nella sala studio dell’Archivio di Stato di Firenze è possibile consultare quello che viene chiamato l’inventario n. 149 dove sono elencate le diverse unità archivistiche.

[5] Vittorio Biotti, Folli senesi nel “Santa Dorotea dè pazzarelli” di Firenze (1647-1788), in San Niccolò di Siena: storia di un villaggio manicomiale, a cura di Francesca Vannozzi, Milano, Mazzotta, 2007, p. 22.

[6] Fabio Stok, L’Officina dell’intelletto. Alle origini dell’istituzione psichiatrica in Toscana, Roma,Il pensiero scientifico, 1983, p. 6.

[7] Lelio Pera, Brevi cenni sui manicomi in genere e specialmente intorno al manicomio provinciale di San Salvi presso Firenze, Fucecchio, Tip. Bertoncini, 1905, pp. 21 -23.

[8] Archivio di Stato, Firenze, Fondo Clinica psichiatrica, serie Affari diversi, faldone 1, fascicolo 1, c.12.r.

[9] Sara Landini, L’archivio dell’Ospedale Psichiatrico” Vincenzo Chiarugi” in San Salvi – Firenze (1850-1996) Guida –Elenco, tesi di laurea specialistica in “Scienze archivistiche e biblioteconomiche”, anno academico 2009-2010, presso l’Università degli Studi di Firenze, relatrice professoressa Laura Giambastiani, p. 84. Con la chiusura dei manicomi la cura dei malati venne affidata ai servizi extra ospedalieri istituiti presso ospedali pubblici o privati. Il patrimonio degli istituti manicomiali costituito oltre che dai beni immobili, dagli archivi, dalle biblioteche, dalle raccolte museali di strumenti ed arredi manicomiali, venne affidato alle ASL di competenza.

[10] Elisabetta Angrisano, Le carte della follia. Gli archivi dei manicomi in Toscana, Torre del Lago, Civita, 2017, p. 286.

[11] Donatella Lippi, San Salvi: storia, cit., p. 139: “Se la Toscana ha impostato la propria politica di conservazione degli archivi sanitari e manicomiali sul loro mantenimento presso le vecchie sedi ospedaliere, in base alla tendenza di lasciare le carte nelle località dove sono state prodotte, in realtà, questo vale per l’Ospedale psichiatrico, in quanto in seguito al trasferimento della clinica, l’archivio di quest’ultima è confluito presso l’Archivio Storico del Centro Traumatologico Ortopedico (C.T.O) di Careggi, rendendo materialmente impossibile il raccordo tra questi due fondi, che sarebbe invece importantissimo per la ricerca”.

[12] https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=417827, (ultima data di consultazione 22 gennaio 2020).

[13] Anna Ricca, Corpi d’eccezione. Storie di uomini e donne internati nel manicomio di Aversa 1880-1920, Napoli, Filema, 2005, p.6.

  • author's avatar

    By: Elisabetta Angrisano

    Docente a contratto dell’insegnamento del Laboratorio di Archivistica della Laurea Triennale in Storia e tutela dei beni archeologici, artistici dell’Università degli Studi di Firenze. Assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università degli Studi di Salerno. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienze bibliografiche del Testo e del Documento presso l’Università degli Studi di Udine.

  • author's avatar


  • author's avatar


    See all this author’s posts

Print Friendly, PDF & Email