- Un seminario sullo stato dell’arte della storiografia sull’Integrazione europea in Italia
Dopo molti anni che pensavo di farlo, e grazie alla collaborazione di alcuni colleghi, ho organizzato presso il campus forlivese dell’Università di Bologna, dal 9 all’11 giugno 2016, il seminario di studi “L’Europa e il suo processo d’integrazione: il punto di vista della storiografia italiana”, promosso dal Centro d’eccellenza Jean Monnet Punto Europa dell’Università di Bologna, Campus di Forlì, in collaborazione con altri atenei italiani, in particolare con le Università di Padova, di Roma “Tor Vergata” e della Tuscia, nonché con l’Associazione universitaria di studi europei (AUSE), la Società italiana di storia internazionale (SISI) e la Società italiana per lo studio della storia contemporanea (SISSCO).
L’obiettivo principale del seminario era quello di definire lo stato dell’arte sulla storia dell’integrazione, sia per quanto riguarda la ricerca che la didattica. All’interno del mondo accademico italiano, infatti, la situazione della storia è di per sé preoccupante e quella della Storia dell’integrazione europea lo è in modo particolare. Sono oramai pochissime le cattedre di Storia dell’Europa contemporanea e negli ultimi anni si registrano anche dei passi indietro dal punto di vista del supporto a livello europeo: le cattedre Jean Monnet[1] di storia sono ben poche rispetto a quelle di diritto, politologia e economia. Eppure non credo affatto che sia già stato detto tutto, c’è ancora moltissimo da ricostruire nella storia del processo di integrazione, per poi poterne approfondire ed analizzare fenomeni e avvenimenti. Nel mio volume L’Europa e gli altri[2] propongo di ripartire dall’Europa per spiegare l’Europa, anche a livello storiografico. Occorre cioè senz’altro tenere in considerazione il quadro internazionale, le influenze e le risposte date alla Guerra fredda e alla decolonizzazione, tuttavia esiste un’Europa che compie delle scelte chiare, che diventa una realtà autonoma nelle sue decisioni, che non può essere analizzata soltanto in merito alle relazioni con gli altri.
Gli European Studies sono stati spesso condizionati dalle mode e dal favore o meno verso l’Unione europea. Gli studiosi dell’Ue sono sovente soggetti a critiche da parte dei colleghi, come se il loro studio dovesse essere finalizzato alla sponsorizzazione di un prodotto. Alcuni storici scelgono invece di ignorare del tutto l’Ue ed i suoi studiosi, come se fosse un soggetto irrilevante.
La storia dell’integrazione è stata soggetta a molte contrapposizioni, sia tra scuole di pensiero che tra l’essere parte della storia contemporanea o della storia delle relazioni internazionali[3]. Io ritengo che con la nascita della CEE, sia nata anche una storia propria della Comunità, una storia interna, che non è più solo una storia di relazioni fra stati diversi o di un’organizzazione internazionale. Dal punto di vista accademico, purtroppo, le contrapposizioni e non un dibattito costruttivo hanno contribuito all’attuale collocazione della storia dell’integrazione sotto storia delle relazioni internazionali, in un settore disciplinare in cui sono incluse, oltre alla storia dell’integrazione, la storia dei trattati, delle Americhe e dei paesi extraeuropei. Mentre invece la disciplina è ritenuta estranea dai contemporaneisti, perché storia internazionale. Insomma, in ambito storiografico vi è spesso una confusione che crea disagio agli studiosi del settore.
La storia dell’integrazione europea è sicuramente una storia di confine, è storia contemporanea perché interna alla vita della Comunità/Unione, alle sue istituzioni ed alle sue politiche, ma è indubbiamente anche una storia di trattati e di relazioni fra i paesi che la compongono ed in quanto tale oggetto dello studio degli storici delle relazioni internazionali. Occorre rivalutarla e considerarla nella sua globalità, sarebbe un errore considerarne solo alcuni aspetti e chiudere a chi invece ne considera altri o propone metodologie diverse. È già stato dimostrato che queste contrapposizioni servono solo ad indebolire la disciplina e a farla pian piano sparire.
Uno degli obiettivi principali del seminario era proprio quello di stimolare un confronto fra le varie anime della storiografia dell’integrazione europea, nel tentativo di superare le contrapposizioni del passato e dare spazio ad un dibattito aperto e costruttivo. Il nostro scopo non era quello di misurare la forza delle varie scuole e tantomeno decretare la qualità di una piuttosto che dell’altra. Personalmente ho sempre attinto ai lavori e alla ricerca dei colleghi che hanno analizzato il processo di integrazione da diversi ambiti e prospettive. Abbiamo quindi voluto organizzare un seminario che superasse lo schema classico dei convegni delle singole scuole, a cui non partecipano i rappresentanti delle altre. Il nostro tentativo era di riunire davvero tutti o almeno moltissimi di coloro che lavorano sulla storia dell’integrazione nelle università italiane, con un metodo di lavoro che non fosse una carrellata di relazioni, ma un seminario condiviso e costruttivo, in cui a partire da alcuni elementi di apertura si potessero sviluppare ampie discussioni. Il seminario è andato oltre il semplice stato dell’arte, perché ha approfondito in maniera trasversale i diversi studi, in modo da riuscire ad elaborare una riflessione complessiva che potesse rilanciare la ricerca sulla storia dell’integrazione europea, anche mediante il rafforzamento di un dialogo tra le diverse discipline storiche, ma anche la diffusione del suo insegnamento all’interno dell’università italiana.
- Lo svolgimento del seminario
Il seminario si è articolato in quattro sessioni incentrate su: le principali aree di interesse storiografico; gli orientamenti interpretativi e le prospettive di analisi; gli strumenti e le modalità di ricerca; la domanda e l’offerta di insegnamento, per concludersi poi con una tavola rotonda finale.
Le discussioni che si sono svolte nel corso delle quattro sessioni hanno quindi affrontato la storia dell’integrazione europea, sia dal punto di vista della ricerca che da quello dell’insegnamento. Ne è emersa una grande complessità di temi e metodologie, che hanno evidenziato la natura al confine fra le discipline storiche, che conferisce alla storia dell’integrazione una grande capacità di dialogare con esse in chiave inter e multidisciplinare.
La prima sessione, dedicata alle principali aree di interesse storiografico ha messo in evidenza quanto siano estremamente rilevanti gli studi che sono stati dedicati alle istituzioni e alle politiche comunitarie, nonché all’interazione della Comunità con gli altri attori internazionali. Proprio questi studi, infatti, hanno consentito, da un lato, di capire il percorso storico delle Comunità nella sua evoluzione politica e istituzionale, dall’altro di evidenziare quanto siano importanti nel processo di integrazione i diversi livelli: internazionale, europeo, nazionale e regionale, che vanno considerati nella loro compenetrazione per capire la complessità del processo integrativo.
Nella seconda sessione si è invece analizzato più nel dettaglio il dibattito storiografico, attraverso la presentazione dei diversi orientamenti interpretativi e le più importanti tendenze di ricerca e analisi, sia in ambito nazionale che internazionale, con un focus particolare sul contributo degli studi italiani sull’integrazione nel contesto della storiografia nazionale.
La terza sessione è stata dedicata ad un approfondimento sugli strumenti e le modalità di ricerca, a partire, chiaramente, dal ruolo delle fonti nella ricostruzione storica e dall’analisi delle diverse tipologie di fonti stesse. In particolare è stato evidenziato il supporto fondamentale fornito alla ricerca sull’evoluzione del processo di integrazione dagli Archivi storici dell’Unione Europea. Il seminario si è inoltre concentrato sulle diverse metodologie di ricerca e sulla collocazione della storia dell’integrazione nell’ambito della “global history”.
Nella quarta sessione ci si è invece concentrati sulla didattica e sull’insegnamento della storia dell’integrazione europea nelle università, mediante un’analisi ed una mappatura della situazione accademica italiana, in particolare approfondendo il rapporto tra insegnamento della guerra fredda e della storia dell’integrazione europea ed anche presentando alcune proposte innovative nel campo della didattica.
Il seminario si è concluso con una tavola rotonda moderata dal giornalista del quotidiano “la Repubblica” Andrea Bonanni, che si è concentrata in particolare sul ruolo della storia dell’integrazione europea nel contesto della storia europea del ’900, mettendo in evidenza quanto sia indispensabile lo studio dell’evoluzione del processo integrativo per poter capire la complessità delle trasformazioni occorse in Europa a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
- Il dibattito storiografico
Le relazioni e le interconnessioni della storia dell’integrazione europea con la storia contemporanea e quella internazionale sono emerse con forza e come elemento estremamente positivo del dibattito accademico. In questo contesto, lo studio della storia dell’integrazione europea, con gli approfondimenti e le connessioni che è in grado di fare, può offrire un contributo molto importante anche per la più generale conoscenza della storia dei vari paesi europei, che al processo di integrazione hanno partecipato, così come alla comprensione della storia dell’Europa nel suo insieme a partire dal secondo dopoguerra. Proprio grazie a questa capacità di leggere in modo nuovo il processo di integrazione europea gli studiosi italiani potranno esercitare un ruolo estremamente significativo nel dibattito storiografico internazionale.
La crisi economica e politica che l’Unione europea sta attraversando da alcuni anni suggerisce la necessità di sviluppare ulteriori e profonde riflessioni sul processo di integrazione, in modo da capire come collocare l’attuale crisi nel contesto del processo stesso, per comprendere quanto di essa sia congiunturale e quanto invece sia di lungo periodo. Non aiuta queste riflessioni il fatto che spesso gli storici dell’integrazione sono tenuti ai margini del dibattito sulla crisi attuale, mentre invece essi più di altri potrebbero contribuire a interpretarla, anche in base al confronto con le crisi del passato. Tuttavia il fatto che gli storici non vengano coinvolti in queste riflessioni deve far riflettere tutta la comunità scientifica che studia e insegna la storia dell’integrazione europea.
Anche per questo è importante che si superino le contrapposizioni ideologiche fra le diverse scuole storiografiche. La storia dell’integrazione europea è una storia complessa, che richiede gli strumenti di varie discipline storiche: soprattutto all’inizio è sicuramente storia delle relazioni fra i paesi che danno vita alla comunità, ma, allo stesso tempo, è anche storia interna di questi stessi paesi. La Comunità infatti va ben oltre lo studio delle diplomazie e dei trattati che la originano e non sarebbe possibile capire quel che è divenuta, senza conoscere e approfondire la storia delle persone e dei movimenti per l’unità europea, ad esempio, che all’interno dei vari paesi hanno avuto un ruolo innegabile di pressione sui governi e sui partiti politici perché questi considerassero l’idea dell’integrazione europea[4]. Per poter comprendere in profondità il fenomeno che ha dato vita al processo di integrazione europea occorre quindi la storia delle relazioni per l’analisi dei rapporti fra i vari paesi e dei trattati che ne scaturiscono, ma anche la storia contemporanea, che ci dà gli elementi per capire perché questi sei paesi proposero o aderirono al processo di integrazione europea. Ma occorre anche la storia del pensiero politico, i cui studiosi, per lo più di tendenza federalista, sono stati i primi a studiare i movimenti che già dalla fine della prima guerra mondiale in poi hanno auspicato e propugnato l’unificazione europea.
L’osmosi tra le diverse scuole storiografiche è, a mio giudizio, l’unica soluzione in grado di spiegare pienamente l’andamento e la complessità del processo di integrazione. Consente infatti di capire appieno il ruolo che hanno avuto i vari attori della società civile e dei governi nei vari livelli nazionali, ma anche a livello europeo e internazionale. Il processo di integrazione del resto è nato e si è sviluppato per motivazioni nazionali e internazionali, economiche e politiche: la necessità di risolvere il problema franco-tedesco, di una ricollocazione internazionale delle piccole, medie e grandi potenze europee, nonché della costituzione di un blocco occidentale nel contesto della guerra fredda, della decolonizzazione e della conseguente perdita degli imperi da parte delle potenze europee. Il processo di integrazione, sostenuto da una cultura politica europeista e federalista, ha rappresentato per i leaders politici europei del tempo la risposta migliore e più adeguata rispetto a queste molteplici esigenze.
La sola storia delle relazioni internazionali non riesce a spiegare il processo di integrazione dopo la nascita delle Comunità. Infatti se, sino ai Trattati di Roma, effettivamente le fonti principali per la storia dell’integrazione sono gli archivi dei ministeri degli Esteri e la storia del processo è essenzialmente una storia diplomatica (al netto delle motivazioni che comunque spingono i paesi, di cui sopra), tuttavia con la nascita della CEE la Comunità diventa altro, la sua storia non si trova più, o almeno non prevalentemente, negli archivi dei ministeri degli Esteri, ma è la comunità stessa oggetto della storia e produttrice di documentazione. Si arriva quindi ad una storia “interna” della Comunità, con una parte di sovranazionalità in determinati settori e politiche intergovernative nella maggior parte. Sicuramente non sono più assolutamente sufficienti gli strumenti tipici degli storici delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo non è neppure possibile ridurre la storia della Comunità Economica Europea ad una ricostruzione soltanto economica. Le politiche che la Comunità ha sviluppato, pur interessantissime nei loro risvolti economici, hanno soprattutto motivazioni e risvolti politici. Sono stata fra i primi nel seminario permanente di storia dell’integrazione europea all’IUE a studiare la storia delle politiche portate avanti dalla CEE, in particolare della PAC, e si trattava di storia politica, in cui avevano enorme importanza i gruppi di pressione più che il prezzo delle arance, per banalizzare un dibattito di altissimo livello svoltosi durante il mio primo anno, con Milward come supervisor. Adesso questo è un fatto riconosciuto da molti e le politiche comunitarie sono oggetto di studio diffuso nell’ambito della storia dell’integrazione. Per comprendere appieno il processo di integrazione è fondamentale avere chiavi di lettura e di interpretazione che si muovano su tutti e tre i livelli su cui cresce e si sviluppa la Comunità: internazionale, comunitario sovranazionale e nazionale. I politologi da tempo hanno individuato strumenti che consentono loro un’analisi complessa dei tre livelli, mentre non sempre lo stesso avviene nel campo della storia dell’integrazione europea, dove spesso si tende ancora a considerare rilevante soltanto uno di questi tre livelli.
Il seminario forlivese ha cercato soprattutto di far dialogare questi diversi settori della storiografia dell’integrazione, superando blocchi e chiusure che appaiono essere ideologiche molto prima che storiografiche e che sicuramente non aiutano lo sviluppo degli studi e della ricerca.
[1] L’azione Jean Monnet della Commissione europea è volta a rafforzare e diffondere gli Studi europei, attraverso corsi specifici (moduli e cattedre) con un’intensa attività di corollario, sia per mezzo di progetti di ricerca e diffusione, che attraverso la costituzione di network per la ricerca e la didattica.
[2] G. Laschi, L’Europa e gli altri. Le relazioni esterne della Comunità dalle origini al dialogo Nord-Sud, Il Mulino, Bologna 2015.
[3] Si veda per una più approfondita ricostruzione delle scuole storiografiche sull’Integrazione europea il mio La storia dell’integrazione europea: dai trattati di Roma alla Facoltà “Roberto Ruffilli”, in Gli Studi Europei nelle Facoltà di Scienze politiche, a cura di M. Borraccetti, G. Laschi, R. Lizzi, Clueb, Bologna 2008, pp. 19-48.
[4] Cfr. G. Laschi, I movimenti per l’unità europea e la storia dell’integrazione europea, in “Europea”, 2017, a. II, n. 2, pp. 27-37.