‘Che comandino dei reggimenti!’ L’attrito fra personale diplomatico e addetti militari nel caso della Legazione Italiana a Belgrado fra il 1929 ed il 1933

Introduzione

La questione dell’attrito fra addetti militari e personale diplomatico non nacque con il fascismo.  La crescente importanza ed indipendenza del ruolo degli addetti militari dal 1870 alla Grande Guerra fu all’origine di contrasti fra di essi e con i capi missione. Nell’aprile del 1913, i vertici militari difesero con energia l’addetto militare a Costantinopoli, tenente Ernesto Mombelli, cui l’ambasciatore italiano nell’Impero ottomano aveva in pratica ordinato di sottoporre preventivamente alla sua attenzione tutti i rapporti che egli inviasse al Comando del Corpo di Stato Maggiore. Pur ammettendo che l’addetto militare dovesse astenersi dal manifestare dissenso dalla linea decisa dall’ambasciatore, e che dovesse esprimere la propria opinione solo nei rapporti indirizzati allo S.M.R.E., questo difese l’indipendenza dell’addetto in termini tali da implicare, al di là di aspetti formali, una sua sostanziale indipendenza dal capo missione. Una posizione confermata nel settembre 1913 dalle nuove norme emanate dal Comando del Corpo di Stato Maggiore, dove si ribadiva che l’unico obbligo che gli addetti avevano verso il personale diplomatico era quello di trasmettergli solo i rapporti di maggiore importanza.[1] La Prima Guerra Mondiale e il dopoguerra dilatarono i compiti degli addetti e delle missioni militari, aumentando i motivi di attrito. Nel 1919, il Ministro della Guerra, Albricci, echeggiando i malumori del Ministero degli Esteri, richiamava gli addetti militari a tener presenti i limiti della loro funzione, e riconfermava la loro dipendenza dai Capi Missione – un messaggio ribadito l’anno successivo dal Presidente del Consiglio Nitti. Il nuovo Ministro della guerra, Bonomi, ed il Capo di Stato Maggiore, Badoglio, pur dicendosi in linea di massima d’accordo, tentarono tuttavia di mantenere una certa autonomia per gli addetti, in particolare per quelli presenti nelle missioni. La controversia servì a definire in maniera più chiara i rapporti fra militari e agenti diplomatici all’estero: gli addetti e le missioni militari rimasero subordinati al capo della missione diplomatica come da Regio Decreto 6090 del 1870, ma al contempo videro confermate le loro specifiche competenze.[2] Ciononostante, la questione avrebbe continuato a presentarsi. Nel 1927, Mussolini emanò una circolare ai Capi Legazione nella quale gli addetti militari venivano sollecitati a render loro conto di tutte le informazioni da essi detenute che non fossero meramente tecniche.[3] La questione era complicata dal fatto che, anche se gli addetti militari non dovevano in teoria occuparsi di spionaggio, in pratica si trovavano spesso coinvolti in questioni di tal fatta, come ad esempio accadde nel 1928 all’addetto militare a Parigi, Guglielmo Nasi, accusato di aver svolto attività di spionaggio in occasione del patto navale franco-inglese.[4]

Il caso jugoslavo, estremo per i suoi particolari e per la delicatezza della situazione politica internazionale in cui si svolse, nonché per i suoi risvolti spionistici, può essere preso ad esempio della natura ibrida del ruolo dell’addetto militare e dei problemi che da ciò potevano sorgere, tanto più in un contesto totalitario.  

Carlo Galli, Ministro a Belgrado

Carlo Galli, diplomatico di scuola contariniana e ritenuto vicino agli ambienti nazionalisti, venne nominato ministro plenipotenziario a Belgrado nel giugno del 1928, andando a sostituire il generale Alessandro Bodrero, divenuto oggetto di una campagna jugoslava ostile dietro l’accusa di aver incaricato il console italiano a Lubiana di entrare in contatto con elementi autonomisti sloveni.[5] Precedentemente considerato un moderato, che vedeva in un accordo con la Jugoslavia la base per una futura, pacifica, penetrazione italiana nei Balcani, Galli, forse per riscattarsi da questa nomea, continuò per molti mesi a prevedere come inevitabile un crollo della Jugoslavia – stato considerato inevitabilmente legato alla Francia – a causa delle tendenze centrifughe delle varie popolazioni presenti nel regno, e non si peritò di raccomandare e prender parte allo stabilimento di contatti con i separatisti croati. In seguito, tornato su posizioni più moderate, tendenti alla riappacificazione con Belgrado, il diplomatico giustificò questo suo precedente atteggiamento accusando i suoi collaboratori della legazione italiana – e in particolare gli addetti militari –  di avergli fornito cattive informazioni.[6]

Dalla fine degli anni Venti, Galli fu protagonista di una serie di tensioni con gli addetti militari le quali misero in evidenza lo scontro sempre latente fra la missione diplomatica e la sua componente militare e contribuirono a focalizzare il ruolo dell’addetto militare, sempre in sospeso fra funzioni di rappresentanza diplomatica e più sotterranee funzioni di “intelligence”.

Già nel Maggio del 1929, il Ministro scrisse a Guariglia, descrivendo i problemi ed i pericoli derivanti dalla natura del Servizio Informazioni italiano in Jugoslavia. Galli sosteneva di avere grande esperienza nel settore:

“Ho fatto il servizio informazioni per più di sette anni a Trieste, personalmente ed a mio rischio e pericolo. Ho superato ogni difficoltà […] Ma se considero la cosa ora a distanza veggo che poi in fondo il mio compito non era difficile, perché sano e non equivoco, nel senso che i miei informatori, meno una circostanza o due casuali, erano tutti ottimi patriotti.”

In Jugoslavia, scriveva Galli, le cose erano diverse. Qui, bisognava assolutamente distanziarsi dal Servizio Informazioni, che pur rendeva buoni servigi, poiché c’era il problema che [7]

“Dato l’ambiente balcanico (…)[il servizio] è tale che non può essere esercitato che da gente di bassissimo rango, e solamente per stretti moventi pecuniari. E difatti esso costa profumatamente, anche per il fatto che esso è sempre una macchina a scarso rendimento in proporzione al costo. (…) Dal momento che un serbo può tradire per lucro il suo paese, perché per un lucro anche minore non tradirebbe lo straniero che lo ha pagato fin qui?”

Egli era convinto che, per evitare che le conseguenze di un incidente legato al servizio informazioni si riverberassero sul governo italiano, fosse necessario separare le responsabilità degli agenti subalterni da quella dei gradi superiori, e le responsabilità di questi ultimi da quelle del governo centrale. Era chiaro che quanto più basso era fosse stato il livello dell’agente implicato tanto minore sarebbe stato il coinvolgimento del governo nazionale.

Pertanto, da quando era arrivato a Belgrado, aveva accuratamente evitato di avere contatti personali con informatori[8] e aveva raccomandato la massima prudenza a chi, in loco, ne intratteneva. Permaneva però il rischio derivante dal fatto che egli, come Ministro, non aveva l’influenza necessaria per controllare gli addetti militari e far sì che essi si comportassero in maniera conforme : il Colonnello Sebastiano Visconti Prasca, addetto militare a Belgrado dal 1924,

“Non è alle mie dipendenze dirette e precise, ed io non posso avere su di lui che un controllo ed una azione investigativa generale (vedi circolare di codesto R.Ministero n.8375/c del 6 maggio 1927). Egli potrebbe anche rifiutarsi di indicarmi i suoi mezzi e le sue fonti di informazioni, i suoi criteri per esercitare tale sua attività (…), perché egli non ha tale obbligo verso di me, e ne risponde solo ai suoi superiori diretti.”[9]

Visconti Prasca

I timori di Galli divennero presto realtà. Nel dicembre 1929, una serie di retate da parte jugoslava, portò alla scoperta ed all’arresto di membri di un’estesa rete di spionaggio composta soprattutto da emigrati russi.[10] Fra di essi vi era un funzionario jugoslavo, arruolato nella rete d’intelligence costituita nel paese da Visconti Prasca. Il sistema d’informazioni stabilito da Visconti era particolarmente complesso. Per la sezione riguardante le informazioni sul sistema ferroviario jugoslavo (ossia quella che venne smascherata nel dicembre 1929), l’organizzazione era la seguente: tre “raccoglitori”, ignari di lavorare per una potenza straniera, raccoglievano informazioni e le passavano ad un “collettore”, il quale a sua volta le spediva in Italia ad un suo collaboratore, che le comunicava infine agli italiani. Non è chiaro come il sistema venne scoperto. Galli riferisce al riguardo di due ipotesi avanzate dallo stesso Visconti. Secondo la prima, fu proprio il detto collaboratore in Italia a fare il doppio gioco, passando le informazioni anche al corpo diplomatico francese, che si affrettò a trasmetterne le più preziose agli jugoslavi, causando lo smascheramento del sistema. Uno degli informatori di Visconti, un ingegnere di nome Zviet il quale forniva disegni e fotografie di materiale ferroviario, venne arrestato e costretto a confessare i suoi contatti. La seconda ipotesi implicava invece un altro addetto, quello aeronautico, Colonnello Cassone. Definito da Galli “uomo di ingegno vivace ma piuttosto leggero in tutte le manifestazioni della sua vita, non scevro da disordinate intemperanze notturne”, Cassone era già stato protagonista di un incidente che aveva messo in imbarazzo il Ministro. Nella notte fra il 7 e l’8 novembre 1929, era stato coinvolto in un diverbio con un cittadino jugoslavo che aveva pronunciato parole offensive nei riguardi dell’Italia. Cassone rimase ferito, e Galli si trovò in contrasto con il Ministero degli Esteri ed in particolare con Guariglia, il quale lo accusò di voler minimizzare le responsabilità dell’addetto militare e al  contempo collegare un incidente minore ad una più generale politica jugoslava di provocazione nei confronti dell’Italia, e ciò per paura di essere considerato dal Ministero o da altri[11]come non abbastanza energico o abbastanza anti serbo.[12]

 Ora, Cassone aveva consegnato all’addetto militare greco una monografia riservatissima sull’aviazione jugoslava, documento segretissimo elaborato dallo stato maggiore dell’aeronautica italiana e frutto soprattutto delle capacità d’osservazione di Visconti. L’aspetto peggiore della faccenda era che da detta monografia si poteva risalire alla persona che aveva fornito a Visconti alcune informazioni riservate, “e di costituire quindi una gravissima compromissione per Visconti, un’accusa documentata e provata a danno dell’informatore”. Come Visconti confermò in seguito a Galli, qualcuno, della Legazione di Grecia aveva effettivamente, dietro compenso, consegnato la monografia allo stato maggiore jugoslavo. L’ipotesi di Visconti era dunque che la prima falla nel suo sistema di informazioni fosse avvenuta in seguito all’arresto di qualcuno degli informatori legati alla monografia. Che fosse questo il caso o meno, l’azione di Cassone aveva provocato una dura reazione da parte dello stato maggiore jugoslavo, la cui conseguente stretta sulle possibili attività di spionaggio nel paese aveva portato alla scoperta del sistema informativo di Visconti.[13]

Infine, nel dopoguerra, un amareggiato Galli sosterrà di aver saputo, da fonte certa, che il sistema informativo di Visconti era in realtà ben conosciuto dagli Jugoslavi assai prima dell’incidente Cassone, e che

Io potrei (…) narrare come il Ministro di Cecoslovacchia (Sceba) mi raccontasse le grasse risa che i Ministri jugoslavi si facevano da Sceba stesso raccontandogli gli inganni dello Stato Maggiore jugoslavo col nostro grande informatore”.[14] Sembra in ogni caso che nemmeno nel dopoguerra Galli fosse sicuro di come fossero andate veramente le cose.

In ogni caso, Galli ricevette presto la richiesta da parte di Jeftic, Ministro aggiunto al Ministero degli Esteri jugoslavo, di ritirare ufficiosamente Visconti senza che gli jugoslavi dovessero richiederlo ufficialmente, aggiungendo che la “vasta rete spionistica” messa in piedi da Visconti svolgeva un lavoro intensissimo, “e che le sue investigazioni erano dirette a tali obiettivi quasi che si fosse alla vigilia della guerra”. Era d’altronde inevitabile, secondo Jeftic, che gli addetti militari fossero prima o poi tratti a valersi di “certi agenti prezzolati”. Era tuttavia necessario che Visconti venisse rimosso, dato che sarebbe stato altrimenti molto difficile impedire che il suo ruolo nella vicenda divenisse pubblico, rendendo la sua situazione nel paese insostenibile e rischiando di danneggiare pericolosamente i rapporti fra le due nazioni. La risposta di Galli, a suo dire condita di “espressioni di diniego e di sdegno”, era stata di difendere l’addetto militare, data la probabile assenza di prove, e che comunque egli si sarebbe dovuto rivolgere a Grandi prima di poter dare una risposta. Nella sua lettera a quest’ultimo, Galli chiese ulteriori istruzioni, specificando che il tono degli Jugoslavi era stato cortese ed addirittura riguardoso nei confronti di Visconti. E’ interessante notare che nella lettera Galli loda la personalità e la professionalità di Visconti, usando termini molto diversi da quelli che avrebbe usato in seguito. Soprattutto, risulta già evidente la scarsa considerazione in cui il Ministro a Belgrado teneva il ruolo di addetto militare. Secondo Galli, Visconti era noto

“per le sue rare qualità militari e politiche, dimostrate nelle missioni avute nel decennio dopo la guerra. Sicché la sua figura distanzia di molte lunghezze quella di un comune addetto militare e soprattutto quella dei suoi colleghi accreditati a Belgrado, che per mediocri qualità personali, e per le direttive politiche alle quali devono ispirare la propria opera sono figure di secondo ordine più o meno legate al carro della politica jugoslava e quindi innocue se non utili agli scopi dello stato maggiore jugoslavo quando, come il francese, non sono addirittura spioni esteri al servizio di questo governo ed agenti del controspionaggio jugoslavo ai nostri danni.”

Visconti, aggiungeva Galli, aveva in passato ben meritato verso l’Italia, a prescindere dall’esito dell’incidente. La sua attività era culminata nella denuncia degli armamenti jugoslavi alla frontiera albanese, denuncia che gli Jugoslavi non avevano certo dimenticato. Tali risultati erano stati ottenuti tramite una vastissima rete di informatori, tessuta con sorprendente acume. Di tale rete, Galli ammetteva di sapere ben poco, non potendo “per evidenti ragioni di riguardo” chiedere di più. Contrariamente alla sua posizione successiva sull’argomento, Galli, in questa fase della vicenda, non sembrava turbato dalla propria ignoranza sui mezzi utilizzati da Visconti. [15]

In seguito, continuando le pressioni jugoslave, il Ministro si sforzò di mantenere di basso profilo la questione, cercando di ottenere dal governo di Belgrado la garanzia che avrebbe permesso a Visconti Prasca di esaurire il consueto sessennio di missione di imminente scadenza e che la nota emessa dal governo jugoslavo avrebbe evitato di dare l’impressione di avvalorare l’accusa di spionaggio a carico dell’addetto italiano. Il tutto avrebbe potuto essere inserito nel più generale quadro di un tentativo di distensione con la Jugoslavia, aiutato dall’attenuazione delle polemiche di stampa.[16] Grandi inizialmente appoggiò questa posizione, dichiarando che, per quanto da parte italiana si respingessero le accuse jugoslave,

“…siccome siamo, evidentemente, desiderosi che l’ufficiale che adempie presso codesta R. rappresentanza alle mansioni di addetto militare, non sia, comunque, men che gradito e possa godere dell’intera considerazione e fiducia del Governo jugoslavo, non insisteremo affatto al termine del normale periodo di servizio all’estero del colonnello Visconti, che sta per scadere, per una proroga del servizio stesso, ma sarà provveduto alla sua sostituzione con altro ufficiale di pari valore.”[17]

Jeftic rispose che tale soluzione non era accettabile in quanto il processo agli arrestati russi sarebbe cominciato a breve, ed a quel punto sarebbe stato impossibile evitare che venisse fatto il nome di Visconti, con il risultato che questi si sarebbe trovato in una posizione insostenibile. Il giorno dopo, Jeftic disse a Galli che l’ingegner Zviet aveva confessato di avere avuto numerosi colloqui con Visconti, e di aver da questi percepito da 40 a 50 mila dinari.[18] In un incontro successivo, Galli sembrò riuscire a imporre il punto di vista italiano sulla vicenda, riferendo a Grandi che

La conclusione di questo punto del nostro colloquio è stata da parte di Jeftic che non aveva importanza che Visconti partisse fra tre o quattro settimane, che tornando a Belgrado avrebbe parlato per il rinvio del processo.”[19]

In una lettera del 18 gennaio a Guariglia, il Ministro riferì che Jeftic lasciava a lui di regolare nel miglior modo il seguito della questione, e raccomandava di nominare al più presto il nuovo addetto militare, cosi da poterne richiedere il gradimento agli jugoslavi. Ancora una volta, inoltre, lodava le qualità di Visconti, che se

oggi per una malaugurata disgrazia si trova nella necessita di lasciare questo paese chiudendo il suo lavoro con un infortunio, ha agito per istruzioni e per ordini dei suoi superiori, non per vantaggio o utilità propria. Ne conviene menomamente egli appaia sconfessato o punito di fronte a queste autorità. Se perciò potrai [Guariglia] spendere una parola al riguardo presso il Ministero della Guerra farai buona e doverosa cosa non solo per lui, come anche per il prestigio del nostro addetto militare a Belgrado che non può partire da qui come un colpevole”.[20]

Visconti Prasca, tuttavia, non aveva intenzione di lasciar gestire la cosa dal Ministro. Sin dall’inizio della crisi, aveva scritto al Ministero della Guerra, accusando il controspionaggio francese di aver orchestrato la vicenda, e sosteneva che mostrarsi accomodanti con gli Jugoslavi avrebbe stabilito un pericoloso precedente. Il servizio informazioni da lui costruito era utile, aggiungeva, e con la sua eventuale partenza esso sarebbe stato inevitabilmente “smontato” “perché faceva carico alla mia persona. Qualche elemento potrebbe cadere nelle mani dell’autorità jugoslava, con un carico di materiale effettivamente compromettente.” Cedere al “ricatto jugoslavo” sarebbe stato un grave colpo al prestigio italiano, ed avrebbe stabilito un precedente secondo il quale “qualsiasi funzionario civile e militare della Regia Legazione potrebbe essere minacciato”.[21] Stesso parere aveva espresso l’addetto navale, Cattaneo.[22]

Intanto, la tensione intorno alla Legazione italiana cresceva. In una lettera del 7 gennaio 1930, l’Incaricato d’Affari a Belgrado, Barbarich, lamentava come l’incidente Visconti fosse divenuto pretesto per una serrata sorveglianza della Legazione italiana, “possibile solo nella Russia sovietica”, con un alone di paura che circondava i membri della Legazione.

Io non vedo più alcuno dei miei informatori. Spariti tutti: isolamento completo [] nei ristoranti e nei pubblici ritrovi vediamo dal contegno dei camerieri e delle persone conosciute che qua e là si incontrano che c’è qualcosa di mutato. Siamo evitati, non si risponde al nostro saluto.”

Barbarich proponeva di reagire a questo trattamento disertando il ballo a Corte del 9 gennaio e la cerimonia religiosa del mattino dello stesso giorno. Ironicamente, in seguito Visconti farà del proprio invito al ballo di corte un punto d’onore.[23]

Probabilmente incoraggiato dalla situazione sempre più tesa, Visconti attaccò duramente i metodi di “appeasement” di Galli, criticò l’atmosfera di terrore creatasi intorno alla Legazione, e alzò costantemente i toni della polemica. In una lettera indirizzata al S.I.M, l’addetto ribadiva la sua posizione e deplorava che la soluzione della questione fosse stata lasciata nelle mani di Galli, che accusava di cedevolezza verso gli jugoslavi.[24] Sia lui sia Cattaneo tempestarono in pochi giorni Galli con rapporti in cui si denunciava la durezza della reazione poliziesca jugoslava. Il 23 gennaio, il Ministro scrisse a Grandi che non era

nelle mie intenzioni diminuire la gravità del provvedimento poliziesco che ha messo a rumore la città, né attenuare il fatto che in ultima analisi si e avuto per altra via lo scandalo che Jeftic prometteva di evitare. Ma non e nemmeno utile attribuire a quanto avvenuto una importanza drammatica come anche esagerare le conseguenze che ne sono derivate e la ripercussione che può essersene avuta in città o nell’ambiente diplomatico.”

Secondo Galli, d’altronde, la situazione non era nuova, dato che lui stesso aveva più volte riferito sulla vigilanza cui erano sottoposti i consoli nel paese. Non si poteva, insomma, considerare compromesso il prestigio italiano.[25]

Visconti la pensava diversamente. In una lettera del 31 gennaio parlò di “dovere patriottico: ristabilire giuridicamente e diplomaticamente una situazione dannosa nel presente e specialmente in avvenire al prestigio dell’Italia e del regio esercito[26]

In una lettera dello stesso giorno a Gazzera ringraziava ironicamente Galli per la possibilità da questi ventilata di chiedere agli jugoslavi una nota che mettesse a tacere le polemiche, sostenendo che tale nota, in quell’ambiente, non avrebbe sortito alcun effetto, ed aggiungeva che la situazione era andata ben oltre la sua persona. Bisognava, secondo Visconti, avanzare “una nostra richiesta scritta di prove al governo jugoslavo”.[27]

I suoi sforzi furono parzialmente coronati da successo. Gazzera scrisse a Grandi, chiedendo che a Visconti fosse concessa dagli jugoslavi una onorificenza, che si pretendesse da loro la trascrizione dei colloqui fra Galli e Jeftic e che la partenza di Visconti fosse ritardata il più possibile. La ragione di quest’ultima richiesta era di guadagnar tempo per tenere in piedi il servizio informazioni organizzato da Visconti.[28]

La vicenda era divenuta abbastanza importante da interessare lo stesso Mussolini. Il tono del suo intervento fu morbido con Visconti, definito uomo di alto patriottismo e di grandi qualità militari[29], ma anche deciso ad evitare un ulteriore aggravarsi della vicenda. Egli scrisse a Gazzera che:

E’ evidente […] che tutto lo scopo cui mira la difficile trattativa col Governo di Belgrado è stato appunto quello di togliere il Visconti dal vespaio nel quale per circostanze indipendenti egli era purtroppo venuto a trovarsi. Noi non possiamo né dobbiamo nemmeno ammettere che il Governo jugoslavo ci precisi per iscritto delle accuse di spionaggio contro un nostro ufficiale, accuse che noi sosteniamo insussistenti, ed appunto per evitare questa discussione (sempre per noi offensiva) abbiamo cercato di concordare un modus procedendi da cui il Colonnello Visconti dovrebbe uscire come “inattaccabile” e troncare così quella possibilità di ulteriori polemiche che il Visconti stesso si preoccupa di evitare

Visconti, concludeva il Duce, doveva rendersi conto che il Governo aveva fatto tutto quanto necessario per adempiere al proprio “dovere patriottico”. Mussolini, inoltre, confermava la sua fiducia in Galli, specificando che il Regio Ministro a Belgrado seguiva le istruzioni del R. Governo, con la necessaria e completa visione di tutta una non facile situazione, il cui apprezzamento sfuggiva all’addetto miliare.[30]

Quello che veniva richiesto a Galli era di ritardare il più possibile la partenza di Visconti, come desiderato dai militari, richiedere una lettera confidenziale in cui si esprimeva stima per l’addetto ed il suo operato, ed ottenere che l’addetto partisse con tutti gli onori. Con Mussolini schierato su questa linea Galli, recalcitrante, dovette obbedire.[31]

Ma Visconti era andato troppo oltre. All’inizio di marzo, apprese di non essere stato invitato al ballo di Corte (per volontà, come in seguito Jeftic ammise con Galli dello stesso Re Alessandro). Offeso, Visconti scrisse una lettera al Maresciallo di Corte jugoslavo, palesando tutto il suo sdegno, ed entrando inopportunamente nel merito della questione delle accuse di spionaggio. Jeftic informò Galli che, per quanto da parte jugoslava si sarebbe fatto di tutto per evitare di dare pubblicità alla questione, la richiesta di una lettera che confermasse la stima per l’addetto non poteva essere accolta proprio a causa dell’iniziativa di Visconti.[32]

Il 3 marzo, Guariglia scrisse a Grandi, descrivendo una situazione deprimente. Secondo quanto riferitogli da Gazzera,

Tutti i militari: Visconti, Cattaneo ed il famigerato Cassone (che ignoro se sia stato messo o meno, come avrebbe dovuto essere, sotto Consiglio di disciplina) sono furiosi contro Galli e gridano contro i (sic) jugoslavi. Tutti sono eccitati, Consoli, militari, funzionari etc. A Belgrado si vive alla Legazione come in una specie di fortezza guardata dai carabinieri [] la situazione è preoccupante ed occorre farla cambiare, ciò che spero avverrà con l’arrivo prossimo di nuovi rappresentanti militari. Io ho la sensazione che si è tanto esagerato da cadere persino un po’ nel ridicolo.”

Per quanto l’operato di Galli fosse anch’esso criticato (Guariglia scrisse che egli era stato all’inizio forte, per poi divenire debole con gli jugoslavi, o comunque “ondeggiante”) Guariglia, attraverso Gazzera, richiamò Visconti alla disciplina e, dato che nella lettera Visconti aveva sostenuto di essere un rappresentante dell’esercito italiano invece che un membro della Regia Legazione, al Colonnello fu chiesto di recarsi a Roma per essere ricondotto“ad una più esatta funzione? delle sue funzioni e dei suoi doveri”. Il commento di Guariglia fu che

poiché mi risulta [] che il [] Colonnello sia in un tale stato d’animo di eccitazione che parla perfino di inviare i padrini a Galli, non ho mancato di far presente a Gazzera che il Visconti, come militare, dovrebbe avere più di ogni altro il senso della disciplina, e che occorre fargli comprendere che in questi casi non vi è un onore da difendere [] gli addetti militari debbono essere anzitutto dei diplomatici. Altrimenti è meglio che comandino dei reggimenti”.[33]

Alla fine, Visconti partì ben più tardi del 6 marzo, il 29 aprile, e partì sentendosi punito e chiedendo di lasciare Belgrado senza un comitato della Legazione presente a salutarlo. Malato, amareggiato e, secondo Galli, animato da propositi di vendetta verso di lui, Visconti riteneva che Galli si fosse dimostrato debole verso Belgrado e non avesse protetto la sua dignità. Galli commentò che

“… se le relazioni Italo-Jugoslave continueranno possibili come oggi e con speranza di miglioramento ulteriore, della questione Visconti non si parlerà più. Mentre se i rapporti dovessero ripeggiorare e tornare dove erano alla fine dello scorso anno non vi saranno impegni bastevoli ad impedire al governo jugoslavo di tentare scandalo a suo vantaggio.”[34]

Galli non aveva torto nel credere che Visconti cercasse vendetta. Tornato in Italia, Visconti iniziò una campagna contro il Ministro, in particolare accusandone la moglie di essere una informatrice della Legazione di Francia. Galli venne convocato a Roma e dovette difendersi dalle accuse con Grandi e Guariglia. Galli ebbe modo di pentirsi di non aver denunciato in quell’occasione Visconti al Consiglio di disciplina, come indirettamente suggerito da Guariglia. “Sarebbe stato meglio per l’Italia”, commenterà dopo la guerra.[35]

Sangiorgio

Gli incidenti causati dagli addetti militari, tuttavia, non cessarono con la partenza di Visconti. Sin dal marzo 1930, prima della partenza dell’addetto, Galli aveva scritto di essere

costretto a rinnovare ogni mia riserva per il caso che dal prolungarsi del soggiorno del Colonnello Visconti possano venirne eventuali nuove complicazioni, sia perché la sua attività non mi risulta cessata, sia per altre imprevedute ragioni.”[36]

Nel giugno 1931, un impiegato del Ministero della Guerra jugoslavo, di nome Novakovic, venne arrestato e condannato a morte. Egli era informatore dell’addetto militare aggiunto, Sangiorgio. Questi venne prontamente inviato a Sofia per evitare rischi. Il primo giugno, scrivendo a Grandi, Galli parlò degli

inconvenienti politici, sociali e personali derivanti dalla costante permanenza di tre addetti militari a Belgrado, che ripeto ancora una volta e ripeterò fino alla sazietà rappresentano un vero inutile sperpero per finalità comuni e compiti analoghi che finiscono col sovrapporsi, [e chiedendo se non fosse] il caso che V.E. risolva una volta per sempre questo problema d’accordo con le altre amministrazioni militari per certo, ma facendo tuttavia prevalere un superiore punto di vista politico ed una superiore necessità che metta fine una buona volta ad una situazione che non può non avere le sue ripercussioni sulla azione della rappresentanza diplomatica, e sui rapporti generali dei due paesi”.[37]

In un’altra lettera a Grandi del 10 giugno, il Ministro riassunse le circostanze che avevano portato all’incidente.

Data la situazione, Galli riferì di aver scritto al Colonnello Amari, successore di Visconti, di astenersi “almeno per vario tempo” da qualsiasi rischioso servizio informativo di carattere spionistico. Amari aveva promesso di accontentarlo.

Tuttavia, già nei primi mesi dell’anno, Galli era venuto a sapere che, nonostante quanto gli era stato assicurato da Amari, il sistema informativo aveva ripreso la sua attività, ed anzi forse non era mai stato interrotto. Peggio ancora, ad esso si era aggiunta l’attività degli altri addetti militari: il capitano Sacerdoti, addetto aeronautico, aveva infatti ammesso di aver pagato di tasca sua (approfittando del lauto assegno di cui disponeva) alcune informazioni richiestegli dal suo Stato Maggiore, e l’addetto navale prestava a sua volta servizi informativi. Infine, la stessa vita di società degli addetti militari contribuiva a creare problemi.[38]

In breve era divenuto chiaro che il sistema d’informazioni di Visconti era stato da questi mantenuto in piedi ed era passato nelle mani di Sangiorgio: Visconti, il quale, “malgrado le mie richieste e preghiere (…) continuò i suoi contatti, sia per dimostrare che le scoperte fatte dal Governo Jugoslavo a suo danno erano infondate e senza valore, quindi poter per piccoli motivi personali rimanere a Belgrado, sia per spavalderia e bravura professionale. Si trattava specialmente dei rapporti con un impiegato del Ministero della Guerra col quale egli aveva da circa un anno e mezzo dei misteriosi e romantici convegni notturni. Questi forniva regolarmente ogni mese o due, e dietro largo compenso, delle informazioni, talune delle quali assai importanti utili ad inquadrare e lumeggiare tutte le altre notizie che il Colonn. Visconti riusciva a raccogliere da altra parte attraverso la rete spionistica davvero impressionante che egli era riuscito a costituire”.

Gli informatori propriamente detti sono [] in mano dell’Addetto Militare che a mezzo del suo addetto militare aggiunto (Sangiorgio) si vale ancora della vecchia organizzazione Visconti nelle parti che non sono state toccate dalle note scoperte”.

Il Novakovich era stato arrestato con ancora 6.000 dinari in tasca, ed aveva confessato (probabilmente sotto tortura) i suoi contatti con gli Italiani.

L’incidente dimostrava ancora una volta i rischi della situazione. Fra l’altro, notava Galli,

se anche gli altri due addetti militari si mettessero in mente di avere fonti riservate informative, le possibilità di compromissione si moltiplicano (sic), a parte la possibilità che uno stesso informatore si faccia pagare da due addetti militari, se non addirittura da tutti e tre.”

Peggio ancora, già nei primi mesi dell’anno, Galli aveva capito che la maggior parte delle informazioni spedite a Roma dagli addetti militari a lui non pervenivano. Aveva pertanto ordinato che tutti i documenti che era suo diritto conoscere gli fossero comunicati, senza tuttavia che ciò venisse fatto. Sia Sangiorgio sia Amari avevano confessato di aver agito secondo ordini superiori, e che quindi Galli era volutamente tagliato fuori da Roma. La tensione intorno alla Legazione, dopo qualche mese di tregua seguita alla partenza di Visconti, ora cresceva di nuovo, e la cappa di controllo poliziesco voluta dagli jugoslavi rendeva difficile il lavoro al personale italiano. Il Ministro sembrava ora meno restio nel denunciare le proporzioni del controllo poliziesco intorno alla Legazione e soprattutto agli addetti militari italiani. Secondo lui

“…i nostri addetti militari, ed in genere gli italiani sono in una casa di vetro, nella quale ogni movimento minimo è veduto e considerato in ogni suo possibile pernicioso effetto sugli interessi jugoslavi, e tutto quanto si riferisce allo stato in genere ed alla difesa militare in ispecie è circondato da un morboso segreto.”

Questo stato di cose comportava che i risultati dello spionaggio italiano in Jugoslavia non erano comparabili con quelli dello spionaggio jugoslavo in Italia, dove una simile atmosfera di sospetto e controllo non esisteva. Come ci si poteva stupire, dunque, che il servizio informativo italiano organizzato dagli addetti fosse stato tanto facilmente scoperto? I Regi consoli, invece, erano stati più fortunati degli addetti militari, e le loro, analoghe, attività non avevano causato gravi incidenti. Essi sottolineava Galli, raccoglievano gran parte delle informazioni di indole militare. Ciò avveniva

“… per una maggiore cautela dei funzionari, per una maggiore esperienza e conoscenza di ambiente, per una maggiore coscienza nello evitare incidenti e poi perché essi non sono come avviene per gli addetti militari, quotidianamente spinti alla raccolta delle notizie, ma anzi trattenuti costantemente da opportuni richiami.”

 Ancora una volta, Galli sosteneva che il gran numero di addetti militari provocava confusione ed incrementava il rischio di creare situazioni di crisi come quella attuale.[39] Le pressioni di Galli ottennero almeno parzialmente il risultato sperato, e nel Consiglio dei Ministri dello stesso 10 giugno, su proposta di Mussolini, il numero degli addetti militari a Belgrado venne ridotto.[40]

Nonostante ciò, Galli non era soddisfatto. Il 5 Agosto scrisse nuovamente a Guariglia, sostenendo che gli incidenti che coinvolgevano gli addetti militari si sarebbero certamente ripetuti:

Gli incidenti si succedono e si succederanno […] finché non si farà quanto chiedo ed io non abbia indiscutibile autorità anche sugli addetti militari per regolare persino la loro condotta privata […] Conviene o no al nostro Governo che ciò avvenga? Conviene che nel Governo Jugoslavo si produca una indistruttibile convinzione su quelli che si suppongono obiettivi e finalità militari italiane e che da ogni nuovo incidente i militari jugoslavi traggano argomento per armarsi a difesa? Conviene che questa attività sia nota (perché lo è in tutti i suoi dettagli, non bisogna credere il contrario) alle cancellerie europee e non? […] conviene che la mia posizione qui ed il mio prestigio personale siano progressivamente svalutati?”[41]


Franceschini

Gli incidenti con gli Jugoslavi a questo punto ebbero termine, ma non per questo Galli ebbe pace. Amari fu sostituito dal Ten. Col. Franceschini il quale a sua volta si rese protagonista di un nuovo, grave incidente, in questo caso non con gli jugoslavi, ma fra militari e corpo diplomatico. Nell’estate del 1932, il nuovo addetto militare fu aspramente rimproverato per aver risposto alla domanda di Galli circa il possibile schema di mobilitazione jugoslavo sul fronte austriaco. Nel novembre dello stesso anno, dietro richiesta di Galli di avere informazioni sul possibile utilizzo delle forze mobilitabili jugoslave in caso di conflitto[42], Franceschini gli inviò un notiziario su tali forze, delle quali faceva una valutazione, soffermandosi sul fatto che la Francia vedeva nei piani offensivi jugoslavi un mezzo efficace per dirottare contro la Jugoslavia una parte considerevole delle forze italiane. Galli informò l’addetto militare della sua intenzione di inviare il rapporto a Mussolini.[43] Gazzera allora scrisse a Franceschini, dandogli un’altra lavata di capo. Egli scrisse che l’analisi che l’addetto aveva fornito al Ministro

…esula[va] dalla sua competenza e dalle sue possibilità, in quanto Ella [] non può essere al corrente dei risultati degli studi condotti dal Comando del Corpo di Stato Maggiore”.

Sarebbe stato preferibile che l’addetto si fosse limitato a fornire i risultati di tali studi, piuttosto che una propria sintesi.[44] Le ragioni di questa dura reazione, come avrebbe in seguito scritto Galli ad Aloisi, erano da ricercarsi, secondo lo stesso Franceschini, in tre fattori: il primo, quello ufficiale, era che Franceschini non disponeva delle informazioni necessarie per giungere a conclusioni proprie. Il secondo, espresso in via privata e confidenziale, era che, pur disponendo egli di tali elementi e pur concordando le sue conclusioni con quelle dello Stato Maggiore, da dette conclusioni dipendevano le disposizioni offensive e difensive delle forze italiane, col conseguente pericolo che il segreto su di esse potesse essere pregiudicato. La terza ragione indicata da Franceschini era definita da Galli

privatissima e sola convincente. Esiste una gelosia ed una rivalità fra Ministero della Guerra e Stato Maggiore, ed entrambi temono di essere diminuiti nelle loro funzioni se una notizia od un apprezzamento di carattere militare giunga a S.E. il Capo del Governo per altra via che non sia la loro. In sostanza, con l’eventuale comunicazione del suo promemoria a S.E. il Capo del Governo si temeva che il Colonnello trovasse modo di farsi indebitamente avanti”.[45]

Galli fu profondamente offeso dall’iniziativa di Gazzera, tanto più che poco dopo il S.I.M. inviò al Ministero degli Esteri una lettera in cui si richiedeva che Galli fornisse all’addetto militare le informazioni di natura militare raccolte dai Regi Consoli. Il S.I.M. non poteva ignorare, rispose Galli, che tutte le informazioni raccolte dai Regi Consoli venivano già trasmesse all’addetto militare, il quale invece non forniva al Ministro le informazioni che era tenuto ad inviargli. Coglieva, inoltre, l’occasione per riprendere la sua annosa polemica sulla ben maggiore utilità dei Regi Consoli, i quali fornivano il grosso delle informazioni militari e non causavano incidenti. Era suo proposito pertanto, a tale riguardo, di raccogliere e spedire al Ministero degli Esteri su base trimestrale tutte le notizie raccolte dai Regi Consoli, “per provare la opportunità di determinate proposte di economie da me avanzate a suo tempo.”[46]

Il nocciolo del problema era il ruolo dell’addetto militare. Visconti Prasca era solito inviare a Galli tutte le informazioni che spediva a Roma, mentre il suo sostituto, Amari, si limitava a inviargli il notiziario mensile. Poiché con Franceschini (pur stimato da Galli, a differenza di Amari) il metodo era rimasto lo stesso, Galli era portato a credere che l’ordine venisse da Roma. Ora la situazione era aggravata dal fatto che Franceschini era messo in difficoltà dai suoi superiori. Dopo il richiamo di Gazzera, ormai incerto e intimorito, Franceschini avrebbe rinunciato ad elaborare dati e giungere a conclusioni proprie, limitandosi a fornire dati tecnici che per loro natura non interessavano il Ministro di Legazione.[47] Un esempio di questa situazione era che a metà gennaio, Franceschini aveva fatto avere a Galli due rapporti, con la preghiera di non inviarli al Ministero degli Esteri, per paura di incorrere nell’ira di Gazzera, e ciò anche se i rapporti non contenevano nulla di più di quanto riportato dai consoli. Una situazione, sosteneva il Ministro, assurda.[48]

Il braccio di ferro si concluse con un compromesso. Aloisi scrisse a Galli dando ragione a Gazzera sul fatto che Franceschini non disponeva delle informazioni necessarie per formulare la sua sintesi, ma quest’ultimo, evidentemente per ordini superiori, cominciò a dare notifica a Galli delle sue comunicazioni.[49]

Amareggiato, Galli si lanciò in uno sfogo contro lo Stato Maggiore:

Se tutte le cose al Ministero della Guerra sono viste da cervelli simili, stiamo freschi. Io già, e non da ora, sostengo che il nostro Stato Maggiore nella sua costituzione e mentalità attuale, (che è […] quello che avrebbe dovuto essere nel maggio ‘14 e allora non era) ci condurrebbe domani ad una ben penosa situazione, se dovesse scoppiare un conflitto militare chicchessia, anche con questi miserabili [jugoslavi] soltanto.”[50]

Epilogo

Nell’ottobre del 1945, Galli scrisse un appunto in cui ricordava quanto era accaduto in quegli anni in Jugoslavia (una esperienza da lui significativamente ricordata come un “manicomio”). Negli anni passati dalla partenza di Visconti da Belgrado, i due principali protagonisti della vicenda, Visconti stesso e Galli, avevano entrambi vissuto l’esperienza della guerra, del campo di concentramento e della fine delle proprie carriere. Il Carlo Galli del 1945 descrive la vicenda Visconti in toni ben diversi da quello del 1929. Il Colonnello (che nel frattempo era divenuto Generale) non viene più descritto come uomo capace, seppur di complessa personalità.

Il più torbido (degli incidenti causati dalla rete spionistica degli Addetti) fu Visconti Prasca, di scarsa competenza tecnica (sic), ma di oscura finalità politiche e di una presunzione senza fine. Per alcuni mesi mi imbrogliò sulla consistenza del movimento croato affermando che Makek aveva 40 mila fucili etc.”.

La ragione di questo cambiamento di tono fu che, come affermava Galli, soltanto dopo la partenza di Visconti egli seppe per certo che “la maggior parte degli (sic) informazioni militari gli [a Visconti] veniva dallo stesso stato maggiore yugoslavo e che egli le pagava profumatissimamente.”

Quando lo stato maggiore jugoslavo ne aveva avuto abbastanza

colse in flagranza l’informatore, che fu condannato a morte (Ma sarà poi stato vero?). Altro informatore condannato a morte era in rapporto col suo sostituto Sangiorgio. Ed ad incidenti analoghi dettero luogo il Comandante Giartosio (cognato di De Courten) e poi il Col. Cassone aeronautico.”

Alla fine, scriveva Galli, era riuscito a liberarsi di “questi falsi salvatori della patria”, ed il Colonnello Franceschini che li segui svolse il suo compito con “raro equilibrio e serenità”.[51]

Visconti Prasca e Carlo Galli si incontrarono nuovamente nel febbraio del 1946.Il Generale, scrivendo quella sera stessa a Galli, cosi descrisse l’incontro:

Oggi, alle 19.30, nell’atrio del Grand-Hotel a Roma ho salutato V.E. che non ha risposto al mio saluto in maniera che a me è parsa ostentata. Se ciò fosse io dovrei definire l’atteggiamento di V.E. nei termini più severi. Spero che si tratti di un equivoco e, perciò, prego V.E. di volermi chiarire se quell’atteggiamento sia stato intenzionale in modo che io ne possa trarre deduzione e norma.”[52]

Galli non rispose.


[1]Gli addetti militari italiani alla vigilia della grande guerra, 1914-15”, a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari, Roderigo editore, 2015, pp. 30-32.

[2] Alessandro Gionfrida, Missioni addetti militari Italiani in Polonia (1919-1923). Le fonti archivistiche dell’ufficio storico, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1996, pp. 69-76. Vedi anche Maria Gabriella Pasqualini, Breve storia dell’organizzazione dei Servizi di Informazione della R. Marina e della R. Aeronautica 1919-1945, Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa, Ministero della Difesa e Commissione Italiana di Storia Militare, Roma, 2003.

[3] Dispaccio/Circolare N.8375/C dell’8 maggio 1927.

[4] ASMAE: Rappresentanza diplomatica Francia, busta 89. “Addetto militare Nasi, con doc. di anni seguenti”, Oggetto: “Dichiarazione del colonnello Nasi”, datato 6 settembre 1930.

[5] Le relazioni italo-jugoslave, sempre problematiche, avevano subito un deciso peggioramento dal 1927, pare per volontà di Mussolini, per cui l’appoggio italiano al separatismo croato assunse le sue forme più vistose a partire dal biennio 1927-1928. Cfr. Fascismo e Politica di Potenza, Politica estera fascista 1922-1939, di Enzo Collotti, con la collaborazione di Nicola Labanca e Teodoro Sala, La Nuova Italia, febbraio 2000.

[6] “Manicomio Jugoslavo”, “L’ambasciatore Carlo Galli e le relazioni italo-jugoslave fra le due guerre mondiali”, in “Clio”, 2002, n.3, pp., 493-497.

[7] Significativamente, Guariglia non era d’accordo con Galli al riguardo, e rispose che “Quanto però ai reali servigi che ha reso e che rende la nostra organizzazione informativa in Yugoslavia (compresa quella militare) debbo fare le mie più ampie riserve. E non solo per quanto riguarda la Jugoslavia!” ASMAE, Archivio di Personalità, Carlo Galli 1865-1938, Busta 3. Lettera del Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, al Ministro a Belgrado, Galli, 3 giugno 1929.

[8] Come si è visto, Galli diceva forse la verità parlando degli informatori, ma aveva in realtà stabilito, anche personalmente, contatti con esponenti secessionisti croati.

[9] ASMAE, Archivio di Personalità, Carlo Galli 1865-1938, Busta 3. Lettera del Ministro a Belgrado, Galli, al Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, 31 maggio 1929.

[10] ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 739, Colonnello Sebastiano Visconti Prasca, addetto militare alla Legazione di Belgrado, lettera del Ministro a Belgrado, Galli, al Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, 9 dicembre 1929.

[11] In corsivo nel testo. Probabilmente riferito a Mussolini.

[12]Documenti Diplomatici Italiani, Serie Settima, Vol. VIII, 182. Il Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, al Ministro a Belgrado, Galli, lettera del 22 novembre 1929. In questa lettera, Guariglia fa presente a Galli che il suo comportamento durante l’incidente Cassone non era l’unica cattiva impressione destata dal comportamento del Ministro a Belgrado negli ultimi tempi presso il Ministero.

[13]ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 739, Colonnello Sebastiano Visconti Prasca, addetto militare alla Legazione di Belgrado, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 21 dicembre 1929, e anche Ivi Il Ministro a Belgrado, Galli, al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 17 dicembre 1929.

[14]ASMAE, Archivio di Personalità, Carlo Galli, Busta 3, 1865-1938, senza titolo, 21febbraio 1946. Vedi anche ASMAE, Archivio di Personalità, Carlo Galli, Busta 3, 1865-1938, senza titolo, 10 ottobre 1945.

[15] ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 739, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Col. Visconti Prasca, lettera del 12 dicembre 1929.

[16]Ivi, Il Ministro a Belgrado, Galli al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 6 gennaio 1930. Effettivamente, il 12 febbraio Mussolini ordinò che le polemiche via stampa fossero smorzate. Cfr. Documenti Diplomatici Italiani, serie settima, volume VIII, 360, Il Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, al Ministro a Belgrado, Galli, lettera del 12 febbraio 1930.

[17]Ivi, Il Ministro a Belgrado, Galli al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 21 dicembre 1929.

[18]Documenti Diplomatici Italiani, Settima serie, XVIII, 290, Promemoria del Ministro a Belgrado, Galli, per il Ministro degli Esteri, Grandi, 3 gennaio 1930.

[19]ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 739, Colonnello Sebastiano Visconti Prasca, addetto militare alla Legazione di Belgrado, Il Ministro a Belgrado, Galli al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 6 gennaio 1930.

[20]Documenti Diplomatici Italiani, Serie Settima, Vol. VIII, 312. Il Ministro a Belgrado, Galli, al Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, lettera del 18 gennaio 1930.

[21]ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 739, Colonnello Sebastiano Visconti Prasca, addetto militare alla Legazione di Belgrado, Col. Sebastiano Visconti Prasca, addetto militare a Belgrado, al Ministero della Guerra, Gabinetto del Ministro e Corpo di Stato Maggiore, lettera del 14 dicembre 1929.

[22]Ivi, Cattaneo, addetto navale a Belgrado, a Ernesto Bruzagli, Capo di Stato Maggiore della Marina, lettera del primo gennaio 1930.

[23] Documenti Diplomatici Italiani, Settima serie, VIII, 299, L’incaricato d’affari a Belgrado, Barbarich, al Ministro Galli, a Roma.

[24]Ivi, Col. Sebastiano Visconti Prasca al comando del S.I.M., lettera del 1 gennaio 1930.

[25]Documenti Diplomatici Italiani, Settima serie, XVIII, 322, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Ministro degli Esteri, Grandi, 23 gennaio 1930.

[26]Ivi, Col. Sebastiano Visconti Prasca al comando del S.I.M. e Ministero della Guerra, lettera del 31 gennaio 1930.

[27] Ivi, l’addetto militare a Belgrado, Visconti Prasca, al Ministro della Guerra, Gazzera, lettera del 31 gennaio 1930.

[28]Ivi, Il Ministro della Guerra, Gazzera, al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 3 febbraio 1930.

[29] La stima di Mussolini per Visconti Prasca non diminuì in seguito all’incidente. In una lettera del 6 marzo 1934, il Duce scriverà a Badoglio di stimare moltissimo Visconti, il quale venne inviato poco dopo in Eritrea per un sopralluogo sugli apprestamenti bellici nella regione.

[30]Documenti Diplomatici Italiani, Settima serie, XVIII, 373, Il Ministro degli Esteri, Grandi, al Ministro della Guerra, Gazzera, 18 febbraio 1930. Annotazione marginale: “La presente lettera, siglata dal Capo del Governo, e stata personalmente rimessa a S.E. Gazzera da S.E. Fani, oggi 18 febbraio 1930”.

[31]ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 743, Gab. 436, fascicolo 3, Il Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, al Capo Gabinetto del Ministro degli Esteri, Ghigi, a Londra, lettera del 18 febbraio 1930. Vedi anche Documenti Diplomatici Italiani, Settima serie, XVIII, 370, Il Segretario agli Esteri, Fani, al Ministro a Belgrado, Galli, 17 febbraio 1930.

[32]Ivi, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 4 marzo 1930.

[33]Ivi Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, al Ministro degli Esteri, Grandi, lettera del 13 marzo 1930.

[34]Ivi, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Direttore Generale per l’Europa e Levante, Guariglia, lettera del 2 maggio 1930.

[35]ASMAE, Archivio di Personalità, Carlo Galli, Busta 3, 1865-1938, Lettera di Carlo Galli al Conte Quinto Mazzolini, 21 febbraio 1946.

[36]Documenti Diplomatici Italiani, Settima serie, XVIII, 322, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Ministro degli Esteri, Grandi, 8 gennaio 1930.

[37]Documenti Diplomatici Italiani, Settima serie, X, 307, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Ministro degli Esteri, Grandi, 1 giugno 1931.

[38] In particolare la moglie dell’addetto navale, comandante Giartosio, la quale era secondo il Ministro una persona “di temperamento assai vivace che in preda ad una vera smania di trattenimenti e ricevimenti è in agitazione perenne.” La signora aveva tentato di penetrare nell’ambiente militare serbo, senza avere alcuna conoscenza delle difficolta dell’impresa. I richiami di Galli alla prudenza erano stati da lei ignorati. Vedi nota successiva.

[39]ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 743, Gab. 436, fascicolo 3, lettera del Ministro a Belgrado, Galli, al Ministro degli Esteri, Grandi.Lettera del 10 giugno 1931.

[40] ACS, Verbali del Consiglio dei Ministri, 1931, Consiglio dei Ministri del 10 giugno 1931. Dato che il verbale riporta “Su proposta del Capo del Governo si stabilisce la diminuzione degli addetti militari a Belgrado”, e che nel 1932 erano ancora presenti in Jugoslavia un addetto navale ed uno aeronautico oltre a quello militare, la diminuzione riguardò probabilmente gli addetti militari aggiunti (come Sangiorgio), i quali erano, sì, obiettivo delle richieste di “economie” di Galli, ma non l’unico.

[41] ASMAE, Archivio di Personalità: Carlo Galli 1865-1938. Busta 3. Lettera di Galli a Guariglia, Ministro Plenipotenziario R. Ministero Affari Esteri, 5 Agosto 1931.

[42] ASMAE, Gabinetto del Ministro e del Segretario Generale, busta 743, Gab. 436, fascicolo 3, Lettera del Ministro a Belgrado, Galli, al Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Aloisi, 10 gennaio 1933.

[43]Ivi Promemoria per il Ministro di S.M. Il Re d’Italia a Belgrado, 22 novembre 1932.

[44]Ivi Il Ministro della Guerra, Gazzera, al Regio Addetto Militare a Belgrado, Franceschini. Lettera del 5 dicembre 1932.

[45]Ivi Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Aloisi, Lettera del 30 gennaio 1933.

[46]Ivi, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Aloisi. Lettera del 23 dicembre 1932. Galli accludeva alla lettera alcuni documenti che comprovavano il suo punto di vista: le disposizioni dell’articolo 67 del regolamento diplomatico, (del regolamento speciale per gli addetti militari e della circolare del Capo del Governo dell’8 maggio 1927.)

[47]Ivi Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Aloisi, Lettera del 10 gennaio 1933.

[48]Ivi Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Aloisi, Lettera del 18 gennaio 1933.

[49]Ivi, Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Aloisi, senza data.

[50]Ivi Il Ministro a Belgrado, Galli, al Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Aloisi, Lettera del 18 gennaio 1933.

[51]ASMAE, Archivio di Personalità, Carlo Galli, Busta 3, 1865-1938, senza titolo, 10 ottobre 1945.

[52]Ivi, Carlo Galli al Conte Quinto Mazzolini. 13 Febbraio 1946.

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    By: Jacopo Pili

    Jacopo Pili è dottorando alla University of Leeds (Regno Unito), con un progetto intitolato ‘The New Carthage: The Image of Great Britain in Fascist Italy’. La sua ricerca si è concentrata sulla missione aeronautica italiana in Spagna durante la guerra civile, sugli addetti militari italiani in Europa durante l’era fascista, sulla propaganda anti-inglese durante la seconda guerra mondiale e sul razzismo fascista.

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