I quotidiani e la cronaca nera: il caso Girolimoni

Abstract

Crime news is now an important narrative theme: the subject of the proposed study is the relationship developed between the crime news itself and the mode of storytelling that made it to the newspapers in one of the most famous historical cases, that so far has been explored in little depth. Numerous newspapers followed the chilling facts and deeply influenced its eventual outcome. The “Girolimoni” case (1924-1928) represents an interesting and original case study which developed the theme of the relationship between media and history. Thus, this offers a moment of reflection on the role of newspapers in the early years of Fascism and on their almost “osmotic” relationship with public opinion.

 

 

 

La cronaca nera occupa un ruolo fondamentale nei mass media[1]. Questo saggio vuole contribuire all’analisi del rapporto tra questo tema cronachistico e l’opinione pubblica, in riferimento al “caso Girolimoni”[2], una delle serie delittuose più famose, ma finora poco approfondite[3], che abbiano interessato Roma.

Tra il 1924 e il 1927 un mostro si aggira nella Capitale e rapisce quattro bambine: Bianca Carlieri, Rosina Pelli, Elsa Berni e Armanda Leonardi. Vengono tutte ritrovate morte e seviziate. Il terrore si impadronisce dei romani fino a quando, dopo lunghe e infruttuose indagini e molteplici sospetti rivelatisi poi infondati, nel 1927 viene accusato di tali orrendi crimini il mediatore di cause Gino Girolimoni. Seppur successivamente riconosciuto innocente, vedrà per sempre il proprio nome macchiato da queste tristi vicende. Fin dal principio i quotidiani svolgono in questa vicenda un ruolo essenziale, creando persino il soprannome con cui è appellato il “mostro” comunemente chiamato “l’uomo vestito di grigio”, secondo quanto scritto dal Corriere della Sera che per primo fornisce una prima, sommaria descrizione del rapitore: «un uomo ancora giovane d’aspetto vestito di grigio»[4].

Gli omicidi non sono però sempre seguiti con la stessa intensità mediatica. Infatti i giornali scrivono molto diffusamente e con ampie e numerose pagine solamente sulle prime due bambine mentre pubblicano scarni trafiletti di poche righe per i successivi casi. Tale difformità, che segna due diversi modi di affrontare lo stesso genere d’informazione, è dovuta all’importante cesura rappresentata dal regio decreto n.3288 del 15 luglio 1923, secondo il quale il prefetto può diffidare il gerente di un giornale se, «con notizie false e tendenziose», intralcia l’azione diplomatica del governo nei rapporti con l’estero, danneggia «il credito nazionale all’interno o all’estero», desta «ingiustificato allarme» nella popolazione, dà motivi di turbamento dell’ordine pubblico, istiga a commettere reati o eccita all’odio di classe o compromette la disciplina degli addetti ai servizi pubblici[5]. Anche se non viene immediatamente reso esecutivo[6], la sola minaccia della messa in opera di questo provvedimento ha, agli occhi di Mussolini, il grande pregio di costituire una «spada di Damocle sospesa sul capo delle opposizioni»[7] e gli avrebbe permesso di controllare tutta la stampa, anche e soprattutto attraverso le numerose disposizioni (le cosiddette “veline” o ordini di stampa) sul contenuto degli articoli, sull’importanza dei titoli e della loro grandezza fatte pervenire ai quotidiani dall’Ufficio stampa del capo del governo[8]. Accade così che il 31 maggio 1925 il ministro dell’Interno Luigi Federzoni diffonde il telegramma n.12286 recante la seguente indicazione: «Oggi mattina 31 maggio è stato rinvenuto greto Tevere cadavere bambina Berni Elisa con evidenti tracce stupro strozzamento […]. Astenersi dare eccessiva pubblicità truce delitto»[9].

E’ dunque soprattutto nella trattazione dei primi due omicidi che si forma quel che potremmo definire il mito del “mostro di Roma”. I media scelgono infatti di utilizzare nella trattazione dei rapimenti di Bianca Carlieri e Rosina Pelli una terminologia fortemente emotiva: così ad esempio su il Corriere della Sera le prime parole dell’articolo annunciano che «un orribile delitto è stato scoperto stamane nei pressi della Basilica di San Paolo»[10]. La parola «orribile» assume in questo contesto un’accezione particolare e il suo significato è esaltato dalle forti contrapposizioni proposte negli articoli in cui vi sono sempre richiami all’innocenza della vittima. «In un piccolo fossato il cadaverino giaceva, […], nudo, mentre il vestito che appariva essere stato strappato a forza, era gettato lì presso. Sul collo della vittima apparivano segni di strangolamento insieme a lividure sulla faccia, mentre il corpo recava evidenti le tracce della violenza […]»[11]. Oppure, secondo Il Giornale d’Italia: «Tutta la notte la vittima è rimasta, uccisa turpemente, sotto il cielo stellato. Il sole è sorto e salito sull’orizzonte e quel cadaverino era ancora immobile, nella sua martoriata nudità […]. La piccola innocente vittima giace con la testina inclinata a sinistra, i braccini aggrappati al terreno, il corpo nudo, pieno di lividure: un piedino calzato, l’altro no. Dalla boccuccia socchiusa esce un grumo di sangue»[12].

L’uso di questo linguaggio “emozionale” è centrale per comprendere l’uso che il regime fa della cronaca nera e il rapporto tra questa e l’opinione pubblica romana, in cui suscita sentimenti di apprensione, odio, vendetta e giustizia. Sono gli stessi giornalisti a descrivere il ruolo fondamentale che questi termini hanno avuto nei numerosi episodi di suggestione legati a questi omicidi. Il Giornale d’Italia racconta ad esempio di un tentativo di linciaggio compiuto a Fiumicino, in provincia di Roma, compiuto ai danni di un ragazzo ritenuto rispondente alla descrizione del sospettato, all’indomani della notizia della morte di Bianca Carlieri: «Fu un momento di panico indescrivibile: e non solo per il giovane, ma anche per i carabinieri [….]», i quali «[…] si opposero con la loro forza, non solo morale, […] alla furia dei paesani, i quali […] volevano far giustizia sommaria, ma con la loro forza fisica! […] Il momento era veramente critico a drammatico. […] Urla e sibili partivano da quella marea di gente che cercava irrompere [sic!] all’interno per far sommaria giustizia del creduto assassino della piccola Bianchina»[13]. Simili episodi accadono sia al ventinovenne scaccino Enrico Mancinelli (segnalato dalla moglie di un appuntato dei carabinieri, è fermato e interrogato dalla polizia mentre i romani già festeggiano l’arresto del “mostro” per poi essere prosciolto e liberato)[14] sia a Francesco Imbardelli, anch’egli prima sbandierato colpevole e poi riconosciuto innocente[15]. La suggestione è probabilmente anche la causa principale del suicidio del soldato Luigi Balzo de Mucci, che si uccide dopo aver dichiarato ai giornali di essere in grado di fornire una descrizione del “mostro”[16]. Il suo caso avrebbe rappresentato un vero e proprio giallo, come si evince dalla domanda retorica che si pone il Corriere della Sera: «Il Balzo si era ucciso perché pentito di aver fatto una falsa testimonianza? Oppure per altre cause»[17].

Questo schema comunicativo permette di comprendere meglio il ruolo della carta stampata nella costruzione di quello che poi diventerà il “caso Girolimoni”. I quotidiani riescono infatti a orientare l’opinione pubblica, come testimonia anche la campagna di sottoscrizioni pubblicizzata da il Messaggero con la quale, in meno di tre settimane, si riesce a raggiungere l’importante cifra di 51.660,40 lire[18] grazie alle donazioni di quasi millecinquecento persone che vogliano contribuire alla costruzione di un ricordo marmoreo della prima vittima al cimitero romano del Verano. L’articolo – che si conclude significativamente con la frase: «ammirati, abbiamo stretto la mano al nobile Fedeli [il pittore-imbianchino che ha avviato, con 100 lire, la raccolta di fondi, ndr]» a cui sono attribuite anche frasi come «Mi auguro solamente che il mio esempio venga seguito» – riporta anche insolitamente un commento dello stesso giornalista: «Oh! Bontà e generosità infinita dell’anima popolare!…»[19]. Insomma, i quotidiani riescono a sviluppare una narrazione così coinvolgente e convincente dei fatti del “mostro di Roma” da riuscire a far assumere a quest’ultimo una posizione di rilievo nell’immaginario collettivo e nella cultura popolare locale che perdurerà anche dopo la caduta del fascismo[20].

In questo modo quando, dopo tanti annunci e sospetti, la mattina del 10 maggio 1927 la città viene svegliata dall’annuncio che «Gino Girolimoni, l’osceno martoriatore di bambine, è stato arrestato»[21] il nome dell’arrestato sarà per sempre legato a queste vicende. Dopo il silenzio che ha avvolto gli omicidi di Elsa Berni e Armanda Leonardi, i giornali dedicano ora nuovamente al caso ampie e dettagliate pagine, secondo quanto richiesto dall’Ufficio stampa del capo del governo. Lo stesso comunicato Stefani annunciante la cattura appare insolitamente lungo e ricco di particolari, quasi come se fosse un articolo di giornale: «Le incessanti, febbrili indagini per la scoperta dell’autore degli assassinii di Leonardi Armanda e di altre bambine, condotte silenziosamente ma tenacemente sotto la personale direzione del Questore di Roma, sono state coronate da pieno successo. Dopo una lunga serie di appostamenti e osservazioni, l’assassino, […], è stato identificato ed arrestato. Egli è il mediatore Girolimoni Gino, […]. Vero tipo di degenerato si è potuto accertare, durante il periodo in cui è stato sottoposto a pedinamento, che ha un’abilità davvero eccezionale nell’eclissarsi dopo tentativi di adescamento, ricorrendo anche a travestimenti, […]. Procedutosi all’arresto, l’assassino, sottoposto a stringenti interrogatori, ha mostrato il più ributtante cinismo, negando sempre e rivelando quell’audacia e quella scaltrezza che aveva già dimostrato nei suoi orribili delitti; ma contro di lui stanno prove schiaccianti raccolte, e particolarmente gli atti di ricognizione eseguiti con le numerose persone che lo avevano precedentemente veduto e che lo hanno riconosciuto senza possibilità di equivoco e di inganno»[22]. «Vero tipo di degenerato» si sentenzia dunque già nel comunicato. Nasce con queste quattro parole l’intensa vicissitudine mediatica e processuale di Gino Girolimoni che non sarebbe mai stato presentato all’opinione pubblica come un semplice sospettato ma sempre come il responsabile dei quattro omicidi.

I quotidiani trasmettono una sicurezza totale all’opinione pubblica circa le sue colpe tanto che viene descritto come un essere «ributtante»[23] o come un Orco infame: «Colui che ha vissuto per circa quarant’anni in mezzo alla società civile con il nome infamato di Gino Girolimoni è già morto: è una preparazione di gabinetto, un pezzo anatomico, un numero, un ricordo doloroso e tragico: è l’Orco della favola, è l’Uomo nero. Per grazia di Dio Cappuccetto Rosso può passare tranquillo la sua testolina bionda sul guanciale del suo lettino, e addormentarsi quietamente sotto il bacio e la carezza della sua mammina, può giuocare liberamente al sole. La mala bestia non si aggira più sotto le ombre del bosco…»[24]. Ancora una volta lo strumento narrativo più utilizzato è la contrapposizione: il Bene contro il Male o l’Angelo contro Satana, fra cui «si può ora dire che si sia incuneata violentemente l’ultima novissima figurazione dell’uomo»[25].

L’attenzione mediatica sull’arresto di Gino Girolimoni si esaurisce il 15 maggio del 1927, quando il silenzio dei mezzi d’informazione trasmette il messaggio all’opinione pubblica che il “mostro di Roma” giace definitivamente in galera. Dopo il clamore, il silenzio è quindi l’altro elemento narrativo essenziale per comprendere il “caso Girolimoni”. Infatti, anche se l’8 marzo 1928 il mediatore di cause viene assolto dalla Corte d’Assise di Roma «per non aver commesso i fatti»[26], la notizia della sua innocenza non viene diffusa dai quotidiani[27]. Gino Girolimoni sarebbe così diventato un marchio di infamia, tanto da costringerlo a inoltrare inutilmente domanda per l’ottenimento di un nuovo cognome[28]. Solo nel 1952, in occasione del processo Egidi[29], ci si ricorderà del suo caso: «Quando sentimmo pronunziare per la prima volta quel nome? [di Girolimoni, ndr]. Forse eravamo ancora bambini e qualcuno voleva spaventarci, ci minacciava. Bastava un nome, allora: l’orco, la strega, il lupo, il bau-bau, l’uomo nero. Qualche volta però ci dovettero anche dire: Girolimoni. E il nome c’era rimasto impresso nella memoria. […] tutti credevano di conoscere la storia […]. Pochi sapevano che si trattava della tragica storia di un innocente»[30].

E’ dunque cambiato il rapporto tra cronaca nera e opinione pubblica, come testimonia la notizia data da alcuni quotidiani l’8 marzo 1961 della morte di Gino Girolimoni. Paese Sera scrive ad esempio che «Emergono dalla polvere del passato le file dell’infernale macchinazione che la nequizia degli uomini e l’ottusa meschinità della burocrazia dello “Stato” autoritario tesserono intorno alla persona di un innocente fino a infamarlo per la vita tanto che per anni il suo nome fu sinonimo di perversione sessuale e mostruosità»[31]. Il Corriere della Sera racconta invece: «Per molti anni Girolimoni fu sinonimo di “mostro”. […] Per trentatre anni Girolimoni non potè pronunciare il proprio cognome senza far rabbrividire il prossimo. Per quasi metà della sua vita le generalità di quest’uomo venuto dal popolo, […], si associarono all’idea di delitti innominabili. Sull’Italia tramontarono regimi, si avvicendarono guerre, bombardamenti a tappeto polverizzarono il territorio nazionale, orrori di ogni genere ci riempirono di dolori e di lutti; ma nessuno dimenticò Girolimoni, il cui nome per molto tempo su usato come sinonimo di “mostro”»[32].

Utilizzato come atto d’accusa verso il regime mussoliniano, lo studio del “caso Girolimoni” può costituire un valido contributo all’analisi della posizione del fascismo rispetto ai fatti di cronaca nera. Le vicende che lo hanno caratterizzato rappresentano inoltre un interessante case study per approfondire il ruolo della carta stampata nella formazione dell’opinione pubblica tra il 1924 e il 1928 quando, in un costante rapporto osmotico, i giornali e la folla sembrano riuscire a creare “nuovi contesti urbani” (immaginari o reali) e originare profonde e durature trasformazioni culturali e sociali. Attraverso l’analisi dei fatti e del linguaggio mediale utilizzato dai mezzi d’informazione, intrecciati allo spazio in cui prendono vita, riusciamo così a descrivere le dinamiche di una città impaurita e il rapporto che i suoi abitanti sviluppano con i media. In un contesto dominato dalla funzionalizzazione del potere mediatico alla legittimazione del regime e della sua immagine di paterno custode dell’ordine e della sicurezza, il “caso Girolimoni” può così contribuire a una riflessione più ampia sul ruolo svolto dai quotidiani tra il 1924 e il 1928 anche come strumento di manipolazione della psicologia collettiva.

 

 

 


[1] Sono poche tuttavia le ricerca sul rapporto tra cronaca e stampa, ad eccezione di Cesare Fiumi, LItalia in nera: la cronaca nera italiana nelle pagine del Corriere della Sera, Milano, Rizzoli, 2006. Per uno studio più generico si rimanda, tra gli altri, a Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Bologna, Il Mulino, 2000; Giancarlo Carcano, Il fascismo e la stampa 1922-1925. Lultima battaglia della Federazione nazionale della stampa italiana contro il regime, Milano, Guanda, 1984; Luciana Giacheri Fossati e Nicola Tranfaglia, La stampa quotidiana dalla grande guerra al fascismo, in La stampa italiana nelletà liberale, a cura di Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, Bari, Laterza, 1979.

[2] Sul “caso Girolimoni” sono state scritte solo alcune opere di narrazione, tra cui probabilmente la più famosa è quella di Damiano Damiani, Girolimoni: il mostro e il fascismo, Bologna, Cappelli, 1972. Inoltre si ricordano: Fabio Sanvitale, Un mostro chiamato Girolimoni: una storia di serial killer, di bambine e di innocenti, Roma, Sovera editore, 2011; Federica Sciarelli, Il mostro innocente. La verità su Girolimoni condannato dalla cronaca e dalla storia, Bologna, Rizzoli, 2010; Sabina Marchesi, I processi del secolo: enigmi, retroscena, orrori e verità in trenta casi giudiziari italiani da Gino Girolimoni a Marta Russo, Sesto Fiorentino, Olimpia Editore, 2008; Massimo Polidoro, Cronaca nera. Indagini sui delitti che hanno sconvolto lItalia, Segrate (Mi), Edizioni Piemme, 2005. Caso diverso è il volume di Giuseppe Dosi, Il mostro e il detective, Firenze, Vallecchi, 1973, a metà tra la narrazione e un prezioso diario memorialistico. Per una ricerca di taglio più storico, anche se sempre narrativo, cfr. Fabio Ecca, Gino Girolimoni, Una mostruosa storia romana, Roma, Palombi editori, 2014.

[3] Il “caso Girolimoni” è il soggetto del film di Damiano Damiani Girolimoni, il mostro di Roma (tratto dal volume dello stesso regista Girolimoni: il mostro e il fascismo, cit.) con protagonista Nino Manfredi, in cui si compie una riflessione critica sulla caccia ai mostri, veri e presunti, e sul rapporto tra stampa, opinione pubblica e politica fascista e denuncia il sistema oppressivo e liberticida del regime mussoliniano. Per una riflessione critica sul film cfr. tra gli altri Giovanni Ziccardi, Il diritto al cinema: centanni di courtroom drama e melodrammi giudiziari, Milano, Giuffè, 2010, pp.221-222.

[4] Lo scempio e luccisione duna bambina per opera dun bruto, “Corriere della Sera”, 6 giugno 1924, p.7. Questa descrizione è riportata anche da altri quotidiani: Lorrendo delitto di un bruto fa scempio e uccide una bimba di tre anni, “Il Giornale d’Italia”, 6 giugno 1924, p.4 e Il Messaggero avrebbe invece scritto di «un giovane alto, slanciato, vestito di un abito grigio» (Rapisce una bimba di quattro anni e la strangola, “Il Messaggero”, 6 giugno 1924, p.5). Questa figura sarebbe poi diventata, nel paragrafo successivo, il «giovanotto in grigio».

[5] Questo Regio Decreto promuove di fatto importanti limitazioni alla libertà di stampa affidando a un prefetto, espressione del potere esecutivo, il controllo del contenuto di ogni pubblicazione (cfr. ad esempio Mauro Forno, La stampa del ventennio: strutture e trasformazioni nello Stato totalitario, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2005, pp.26-64. Il testo del provvedimento è consultabile in Alberto Aquarone, Lorganizzazione dello stato totalitario, Torino, Einaudi, 1995, pp. 344-346 mentre una sua analisi è a pp. 39-40). E’ opportuno ricordare inoltre che se un quotidiano avesse subito due diffide in un anno, questo sarebbe potuto essere chiuso.

[6] Annunciato dal governo il 12 luglio 1923, viene controfirmato da Vittorio Emanuele III tre giorni dopo ma pubblicato solo l’8 luglio dell’anno successivo.

[7] A. Aquarone, Lorganizzazione dello stato totalitario, cit., p. 40. Nonostante i numerosi problemi riscontrati, il provvedimento rimane in vigore fino alla promulgazione della legge sulla stampa (Legge 31 dicembre 1925, n.2307), elaborata dal ministro dell’Interno Federzoni e dai Guardasigilli Oviglio e Rocco, che costituisce una sua integrazione. In esso si stabilisce che possono essere pubblicati solo giornali con un responsabile riconosciuto dallo Stato, pena l’accusa di un reato penale con arresto immediato. Ciò limita maggiormente la cronaca nera, come sostiene orgoglioso Il Popolo d’Italia: «il provvedimento di Luigi Federzoni […] ha dato i suoi desiderati, nobilissimi risultati. […] I clamori dell’informatori del pubblico; il becero commercio delle edizioni straordinarie, questa volta, non ci sono stati. Ed il pubblico non per questo si è turbato: non per questo ha protestato. […] Tanto meglio. Intorno al delitto non mancheranno, a suo tempo, notizie, articoli e discussioni. Per ora, silenzio. […]. I risultati ottenuti dal silenzio – o relativo silenzio – della stampa sulla terza vittima del sadico delinquente che la Questura affannosamente ricerca, dovrebbero convincere i “commercianti della cronaca nera” che non v’è peggior mestiere di quello di esasperare ed inorridire il popolino con racconti a nere tinte ed a macabri sfondi» (Un martirio rispettato, “Il Popolo d’Italia”, 6 giugno 1925, p.5).

[8] L’Ufficio stampa del capo del governo, precursore del Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop), è istituito nel 1922 con il compito di diffondere i comunicati ufficiali dell’esecutivo. L’anno successivo è posto sotto le dirette dipendenze di Mussolini per fornire ai giornali la versione ufficiale di ogni evento (cfr. tra gli altri: Giancarlo Ottaviani, Il controllo del Minculpop sulla pubblicità, il cinema, la moda, la cucina, la salute e la stampa, Milano, Todariana, 2007; Id., Le veline del Minculpop: aspetti della propaganda fascista, Milano, Todariana, 1999. Per gli anni successivi al “caso Girolimoni”: Nicola Tranfaglia, La stampa del regime 1932-1943: le veline del Minculpop per orientare l’informazione, Milano, Bompiani, 2005).

[9] Archivio Centrale dello Stato, Roma, Ministero della Cultura Popolare, Gabinetto b.3, f.11, sf. Cronaca nera.

[10] Lo scempio e luccisione duna bambina per opera dun bruto, cit., p. 7.

[11] Ibidem. Articoli dello stesso tenore sono pubblicati da tutti i maggiori quotidiani, ad esclusione de l’Unità e la Voce Repubblicana.

[12] Lorrendo delitto di un bruto fa scempio e uccide una bimba di tre anni, cit., p.4.

[13] Larresto a Fiumicino del supposto autore del delitto di San Paolo. La folla tenta di fucilarlo, “Il Giornale d’Italia”, 7 giugno 1924, p. 4.

[14] Dà notizia dall’arresto e del proscioglimento del Mancincelli anche Il Popolo d’Italia in Uno scaccino si dichiara il seviziatore della piccola Rosina. Ma si tratta di un secondo caso Imbardelli, “Il Popolo d’Italia”, 3 dicembre 1924, p. 5. La notizia è illustrata più diffusamente il giorno dopo: Una clamorosa montatura che cade, “Il Popolo d’Italia”, 4 dicembre 1924, p.5. Cfr. anche ad esempio Il romanzo delle indagini sul delitto al Prataccio, “Corriere della Sera”, 3 dicembre 1924, p.4.

[15] Cfr. Nessuna luce sullassassino della bambina, “Il Giornale d’Italia”, 11 giugno 1924, p. 4; La farsa nella tragedia, “La Voce Repubblicana”, 11 giugno 1924, p. 2 e Limmondo carnefice di Bianca Carlieri assicurato alla giustizia, “Il Messaggero”, 11 giugno 1924, p. 3 per quanto riguarda l’arresto. Sul suo proscioglimento cfr. anche LAutorità Giudiziaria continua a vagliare prove e controprove della confessione dellImbardelli, “Il Messaggero”, 13 giugno 1924, p. 5; Nella ridda delle contraddizioni una nuova traccia, “La Voce Repubblicana”, 12 giugno 1924, p. 2; Nessuna luce sullassassino della bambina, cit., p. 4; Lesame indiziario sembra escludere sempre più ogni colpabilità dellarrestato di ieri, “Il Giornale d’Italia”, 12 giugno 1924.

[16] Il soldato che ci rese la strana testimonianza sul delitto alla Balduina si è ucciso con un colpo di moschetto, “Il Messaggero”, 11 dicembre 1924, p.5. In merito a questa notizia “Il Giornale d’Italia” avrebbe scritto che il soldato aveva sviluppato «una vera ossessione»: «contribuire in qualche modo alla scoperta del nefando assassino» (Il giovane era minato da uninguaribile nevrosi, “Il Giornale d’Italia”, 13 dicembre 1924, p.4).

[17] Il soldato che ci rese la strana testimonianza sul delitto alla Balduina si è ucciso con un colpo di moschetto, cit., p.5.

[18] La febbrile caccia della polizia per raggiungere il responsabile del turpe delitto, “Il Messaggero”, 7 giugno 1924, p. 5 e giorni seguenti.

[19] Rapisce una bimba di quattro anni e la strangola, cit., p. 5.

[20] Il fatto ha avuto in effetti una grande attenzione mediatica: oltre al già citato film di Damiano Damiani, Il mostro di Roma, si ricordano le due puntate nella programmazione 2009/2010 dedicate dalla trasmissione Chi lha visto? su Rai Tre e i numerosi riferimenti presenti nella filmografia italiana, come nel film di Monicelli, Parenti serpenti, 1992. Inoltre si ricorda la presenza nella cultura popolare romana di espressioni come «fare il Girolimoni», come si è ricordato nella presentazione del “Premio Girolimoni – per un’informazione responsabile” (Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Sapienza di Roma, 30 gennaio 2009).

[21] Gino Girolimoni, losceno martoriatore di bambine, è stato arrestato, “L’Impero”, 10 maggio 1927, p.1.

[22] Comunicato Agenzia Stefani del 9 maggio 1927.

[23] Le vittime venivano trasportate dopo luccisione nei luoghi in cui più tardi furono rinvenute?, “Il Giornale d’Italia”, 13 maggio 1927, p.5.

[24] LOrco è già morto, “L’Impero”, 12 maggio 1927, p.1.

[25] Unaltra bimba ignara ha subito il martirio di Bianca Carlieri, Il Giornale d’Italia, 26 novembre 1924, p.1.

[26] Archivio di Stato, Roma, Tribunale di Roma – Sentenze Sezione d’Accusa 1928, b. 1218, f. 34, p. 1 e p. 32. Si tratta sicuramente di una decisione delicata, visto anche l’investimento mediatico che sull’arresto di Girolimoni aveva fatto il fascismo. Ne portano testimonianza le motivazioni del provvedimento che constano di ben trentadue pagine.

[27] Alla sua assoluzione contribuisce in maniera decisiva il commissario di Pubblica Sicurezza Giuseppe Dosi che per questo verrà punito e rinchiuso in un manicomio per diversi mesi (cfr. Archivio Centrale dello Stato, Roma, Ministero Grazia e Giustizia, Magistrati, Fascicoli Personali, b.781 e Archivio Centrale dello Stato, Roma, Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Personale Pubblica Sicurezza, vers.1973, b.164 bis, f. Dosi).

[28] Molti anni più tardi il giornalista del Corriere della Sera Gerardini, all’epoca dell’arresto cronista alle prime armi, avrebbe testimoniato che «la sera del 13 marzo 1928 […] l’usciere del giornale in cui lavoravo m’annunciò la visita di un signore che desiderava parlarmi. Entrò un uomo sulla quarantina, alto, sbarbato, con lo sguardo mite, i capelli neri. Disse: “eccomi: sono Girolimoni; mi hanno scarcerato un’ora fa; assolto per non aver commesso il fatto. Ha capito bene? Mi dica adesso che ne sarà di me. Mi concederanno almeno di cambiarmi questo nome maledetto?”. Si mise a piangere sopraffatto da un dolore disumano» (Arturo Gerardini, Per molti anni Girolimoni fu sinonimo di mostro, “Corriere della Sera”, 2 novembre 1961, p.7.

[29] Cfr. Cristiano Armati, Roma criminale: il lato oscuro della Città Eterna. Misteri, delitti, crimini e fattacci, Roma, Newton Compton, 2013.

[30] Girolimoni ci narra il suo dramma. Il caso Egidi di 25 anni fa, “l’Unità”, 25 gennaio 1952, p.1.

[31] Lamore di una donna perdè Girolimoni, “Paese Sera”, 28 novembre 1961, p.5.

[32] Per molti anni Girolimoni fu sinonimo di mostro, “Corriere della Sera”, 21 novembre 1961, p.7.

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    By: Fabio Ecca

    è dottorando al terzo anno presso l’università degli studi di Roma “Tor Vergata”, è inoltre cultore di storia contemporanea presso il dipartimento di Studi Umanistici dell’ateneo di Roma Tre. Dopo aver pubblicato “Cristo si è fermato a Eboli? I confinati politici a Eboli e Aliano” (Gedit 2009), sono recentemente uscite la sua monografia “Gino Girolimoni. Una mostruosa storia romana” (Palombi 2014) e diversi saggi sul rapporto tra industria e politica durante la Grande guerra.

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