Il ruolo assunto da Eduardo De Filippo all’interno della cultura teatrale napoletana risulta, da sempre, argomento delicato e complesso. Il riconoscimento internazionale dell’inconfutabile grandezza dell’autore, dell’attore, del capocomico, del regista, ha rischiato spesso di semplificare i giudizi sull’artista e ingiustamente sottovalutare la restante parte dell’espressione teatrale partenopea nel corso dei decenni, con deduzioni inesatte ai fini di una obiettiva valutazione della drammaturgia e dello spettacolo appartenenti alla cultura partenopea. Le ragioni di tale egemonia sono molteplici, oggetto di riflessione per tanti studiosi che ne hanno analizzato gli aspetti e hanno prodotto preziosi contributi dai quali è impossibile prescindere[1]. Tuttavia, non si tenterà, in questa sede, di superare analisi e opinioni che a questo ambito appartengono e che costituiscono la rete analitica sviluppatasi nel tempo intorno al caso Eduardo, ma si cercherà solo di individuare la posizione assunta dall’artista nei confronti della “cuccagna”, ovvero, la reazione (consapevole o istintiva) rispetto alle trasformazioni del presunto miracolo economico dell’Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
L’arco temporale in esame rappresenta un periodo determinante nella costruzione del mito eduardiano tanto dal punto di vista artistico quanto da quello imprenditoriale. La significativa produzione drammaturgica, nonché l’affinarsi dello stile attorico maturato nel decennio in questione, coincidono con alcuni eventi importanti della carriera dell’artista partenopeo: la straordinaria ma sofferta parabola del Teatro San Ferdinando (1954-1961), la formazione della compagnia “La Scarpettiana” attraverso la quale Eduardo prova amantenere viva la tradizione, la pubblicazione per la Einaudi de La cantata dei giorni dispari nel 1951 e, nel 1959, de La cantata dei giorni pariche connotano di significatola sua attività di drammaturgo. E’ questa, inoltre, l’epoca delle prime fortune estere di Eduardo, condite dal rapido succedersi di traduzioni in diverse lingue e di interpreti stranieri che vestono i panni dei personaggi nati dal suo estro creativo[2]. Si tratta di una crescita già da tempo in atto che si sviluppa irrefrenabile fino alla metà degli anni Settanta ma che, nella possibilità di intervenire sul territorio cittadino con l’apertura del “suo” teatro, vede Eduardo superare le insicurezze storiche del mestiere di “teatrante” (capocomico, attore, regista) e riunirle in un unico prodigio:
Era quello degli anni ’50 – sintetizza Trezzini – uno dei periodi più critici ed incerti per la vita teatrale italiana, sia dal punto di vista della consistenza organizzativa che di quella artistica […]. La sola compagnia che contasse un’attività di alto livello e di rilievo era la Morelli-Stoppa ritenuta un esempio, anche per la presenza di Visconti, difficile da seguire. Un caso a sé era rappresentato dalla formazione di Eduardo, non fosse altro che per la grande personalità dell’attore-scrittore impresario napoletano[3].
L’avventura artistica e finanziaria del teatro San Ferdinando non frena la produzione drammaturgica di Eduardoil quale, tra il 1951 e il 1960, compone di dieci operealle quali si aggiungono altre cinque nel corso degli anni Sessanta dopo la chiusura del teatro[4]. Un “corpus” eterogeneo all’interno del quale è possibile, tuttavia, individuare caratteristiche comuni e stabilire dei nuclei tematici. Le trasformazioni storiche e sociali emergenti dal generale clima di ricostruzione condizionano e determinano, com’è anche troppo ovvio immaginare, la scrittura teatrale di Eduardo (e non solo) di questo periodo che conquista via via un respiro europeo. Gli spunti di riflessione offerti attraverso la rappresentazione del «tragico quotidiano», denunciano da un lato le contraddizioni tra la situazione sociale e le inadempienze delle istituzioni, dall’altro le difficoltà insolubili nell’ambito dei rapporti affettivi. La ripresa economica tra le macerie napoletane, l’ascesa di un nuovo modello culturale, la progressiva crisi dei valori tradizionali messi ora sul tavolo per essere definitivamente contestati negli anni a venire, rappresentano le principali suggestioni intellettuali della produzione eduardiana di questo periodo. In particolar modo la trasformazione, se non il disfacimento, dell’istituzione “famiglia” e il ruolo civile dell’individuo all’interno di un contesto collettivo destrutturato e di non facile integrazione, sono al centro della scrittura drammatica. A queste problematiche si connette una irreparabile crisi della comunicazione che investe un livello di rapporti individuali che si riflettono in contesti più genericamente sociali. Un disagio che Eduardo veicola attraverso una lingua teatrale in trasformazione, un idioma che avverte la crisi del dialogo nella sua accezione funzionale, un’espressione alla ricerca di un nuovo codice comunicativo pubblico e privato in grado di conquistare un valore relazionale[5]. Le opere del nuovo decennio, fino alle ultime due composte agli inizi degli anni Settanta, continuano e approfondiscono in maniera disincantata tali tematiche fino a lasciare lo sfondo sociale in filigrana e dedicarsi ad una più intima e profonda immersione nei meandri dell’animo umano.
Ma l’interpretazione più originale, benché acre, che Eduardo offre del cambiamento sociale non giunge dal teatro ma da un prodotto televisivo sperimentale che l’artista individua come passaggio ineludibile nella sua storia di uomo di spettacolo. Peppino Girella, infatti, costituisce un momento anomalo all’interno della variegata produzione di Eduardo De Filippo. Non si tratta né di un film né di un’opera teatrale, ma di un originale televisivo a puntate creato dall’autore napoletano per la RAI e andato in onda nel 1963. La programmazione ufficiale della televisione italiana comincia, com’è noto, agli inizi del 1954 con un duplice e contraddittorio atteggiamento del mondo artistico: da un lato un’immediata compromissione degli attori (teatrali e cinematografici) impegnati nell’adattamento ad un nuovo linguaggio ancora da inventare, dall’altro una conclamata diffidenza da parte di un folto numero di esponenti del mondo artistico[6]. A dispetto di unatradizionale ossatura artistica,Eduardo comprende sin dall’inizio le potenzialità del nuovo mezzo che avvicina e utilizza con curiosità. Con precoce intuizione, e senza mai rinunciare alla peculiare professionalità di uomo di teatro, egli coglie nella televisione l’occasione per rivolgersi a un pubblico particolarmente vasto e individua una inedita forma di palcoscenico capace di accogliere opere nuove per una nascente categoria di spettatori. Dall’inizio, infatti, fino al 1984 (anno della sua scomparsa) la presenza dell’opera di Eduardo è frequente nei palinsesti televisivi e, prima dell’andata in onda di Peppino Girella,l’artista napoletano ha già condotto da pioniere l’esperienza del teatro in diretta negli anni 1955, 1956, 1959[7], ha realizzato sei telefilm tratti da atti unici e ha trasmesso il primo ciclo delle versioni televisive delle sue commedie[8]. La creazione di Peppino Girella, dunque, è il risultato di anni di riflessionee progressivo avvicinamentoalla televisione da parte di un uomo di teatro che sperimenta con lucida curiosità il nuovo medium.
L’argomento dello sceneggiato si presenta all’attenzione di Eduardo diversi anni prima della realizzazione televisiva grazie alla novella Lo schiaffo che Isabella Quarantotti, agli inizi della loro conoscenza, gli sottopone[9]. La trama riguarda un bambino napoletano che la vita costringe a crescere prematuramente ea diventare un lavoratore anzitempo. Suo padre, vinto dal rancore verso la superiorità economica e il conseguente peso specifico del bambino in famiglia, litiga col figlio fino a colpirlo con un ingiusto schiaffo. La fantasia dell’artista napoletano, però, immediatamente tende a modificare la storia originalearricchendola di personaggi e situazioni che costituiscono un dramma iperbolico che si estende a una categoria sociale rimasta ai margini della società. Il tentativo di farne una commedia, però, naufraga di fronte all’atavico e irrisolto problema del tempo teatrale che Eduardo, mai come in questo caso, sente come irrimediabile in una vicenda che ha davvero tanto da dire ed esprimere in termini di azione scenica. Egli sente l’esigenza di dilatare il racconto in un’accezione simbolica, allusiva, dove i particolari contribuiscono in maniera fondante alla comprensione non solo di una questione individuale, ma di un’attualità storica da affrontare in senso critico. Per un breve periodo pensa di realizzarne una pellicola cinematografica, ma per alcuni anni altri impegni lo distolgono da questa idea. A giugno del 1961 la RAI gli chiede di scrivere un originale televisivo e la storia accantonata ritorna con prepotenza e si declina nel progetto di uno sceneggiato a puntate. La soluzione così immaginata da Eduardo risolve definitivamente il problema dei limiti spaziotemporali del teatro, questioni antiche dello spettacolo dal vivo che la televisione può invece mediare.
Il lavoro di sceneggiatura, in stretta collaborazione con Isabella Quarantotti, dura circa tre mesi e produce sei puntate della durata di un’ora ciascuna[10].In questa esperienza inedita, la formula dello sceneggiato consente ad Eduardo la costruzione di un racconto per immagini di accentuata misura realistica. Egli elabora un nucleo tematico mediante una disposizione narrativa capace di inglobare personaggi e situazioni minori, tratti “marginali” che il teatro inevitabilmente tende ad abbozzare e finalizzare all’espressione generale del protagonista.
La contemporaneità è al centro degli episodi costruiti intorno alla figura di un bambino costretto dalle necessità a lavorare, un presentedenso e varioche volta per volta trova un eloquente spazio di rappresentazione in riprese girate tanto nei teatri di posa quanto negli esterni cittadini. Nel complesso, pur non negando i risultati di una faticosa ripresa post-bellica e gli effetti di un’innegabile miglioramento delle condizioni generali, la vicenda ideata dall’autore partenopeo evidenzia le forti contraddizioni e le anomalie ancora presenti in una città come Napoli nella quale la ricostruzione è stata più accidentata che altrove. Lavoro minorile, disoccupazione e contrabbando convivono con un processo di sviluppo (comunque più lento rispetto alle città del nord Italia)che non tiene conto di persone e situazioni difficilmente allineabili ai nuovi tempi. La visione che Eduardo restituisce della nuova realtà non è, dunque, del tutto rassicurante e non tradisce entusiasmi nei confronti di un presunto miracolo economico, considerato genericamente italiano, che pure emerge in diversi momentidello sceneggiato.
Peppino Girella è un ragazzino di 11 anni, oggi definibile un “evasore scolastico”, sveglio e con la furbizia di un adulto. L’impiego di garzone del bar, che gli viene offertograzie all’arguzia mostrata durante una conversazione casuale, lo trasforma in sostegno di famiglia. Suo padre Andrea (in realtà il vero protagonista della commedia e, non a caso, interpretato da Eduardo) è disoccupato da tempo e vive l’ibrida condizione di un cinquantenne uscito dalla guerra, analfabeta e non qualificato, troppo giovane per arrendersi e troppo vecchio per adattarsi alla nuova epoca che non gli concede possibilità lavorative. Sua madre Jolanda, non più giovanissima, si barcamena tra il lavoro ad ore presso le case borghesi e il mestiere di camiciaia nel tentativo di mantenere l’equilibrio familiare minato dall’orgoglio di Andrea che mal sopporta la dipendenza dal figlio minore che, come da plot di base, in un momento di ira colpisce con una pretestuosa sberla.L’intraprendenza di Peppino, che arrotonda con il contrabbando le entrate del bar, alla fine riesce a trovare un lavoro anche ad Andrea,finalmente libero dall’ingiusta accusa di furto mossa in malafede dal cognato farmacista.
Alle dinamiche della storia centrale, fanno da corollario vicende parallele di amore e di amicizia, che ruotano intorno ad ambienti spesso distanti che testimoniano un inarrestabile cambiamento storico. Man mano che gli avvenimenti si sviluppano, affiora da parte dell’autore uno sguardo contraddittorio che, in molteplici punti, pare essere coltivato di proposito. Nonostante sia facilmente riconoscibile l’universo teatrale eduardiano collaudato nelle commedie, lo sceneggiato tenta di mettere in relazione motivi tradizionali di una umanità pulsante con ambienti e modelli antropologici nascenti che, in più di un’occasione, risultano prevedibilmente stridenti.
Esiste un mondo “antico”, dove è ubicato il basso di Girella e dei suoi sradicati amici, in forte antitesi ad uno spazio “moderno” dove la vita quotidiana scorre laboriosa: il bar, la sartoria, la farmacia, l’atelier, la banca, il teatro, luoghi nei quali agiscono freneticamente operai, impiegati, funzionari, professionisti, artisti ecc. Ad una disoccupazione subìta (quando non ostinata scelta di vita, come nel caso di Matteo) si contrappongono attività e figure professionali in crescita che apparirebbero in anacronistica convivenza su uno stesso territorio se non fossero, come invece sono, funzionali ad una denuncia preventiva operata dall’autore.E, dunque, lo splendore del bar, l’eleganza della casa di moda, i marmi luccicanti della banca, la casa dello zio maresciallo fornita di elettrodomestici e altri effetti visibili di un sopraggiunto benessere, non annientano il monolocale buio del giovane baristache è il paradigma di vicoli e abitanti lontani dalla “cuccagna”, immobili e cristallizzati a prima del conflitto.
In effetti anche l’immagine da cartolina che Achille Lauro, armatore monarchico sindaco di Napoli dal 1952 alla fine del 1957, si era impegnato a diffondere con tutti i mezzi extra moenia è irrimediabilmente sbiadita e restano le lacerazioni già segnalate da Eduardo nel suo difficile rapporto con il “Comandante”[11]. Quando Eduardo scrive Il figlio di Pulcinella (1958) traduce, con puntuale ed esplicita attenzione, la particolare situazione napoletana legata agli anni laurini[12]. Attraverso quest’opera l’autore consegna, in forma drammatica e riconoscibile, la sua visione dei fatti affidando alla scena il compito di decifrare una stagione culturale molto difficile per Napoli. In un certo senso Peppino Girella continua la linea della denuncia sociale, non più mediante la scrittura teatrale ma attraverso il mezzo televisivo che consegna alle immagini e al racconto episodico molteplici punti di osservazione dei fatti.In un’acuta quanto immediata intuizione la stessa televisione, espressione di un innegabile sviluppo tecnologico, è riconosciuta dal maestro napoletano come lo strumento destinato a dominare il sistema di comunicazione dell’immediato futuro e utilizzato per esprimere, nella maniera rapida e capillare che gli appartiene, le antinomie del presente.
Di grande interesse appare, nel confronto fra progresso e arretratezza, il ventaglio dei personaggi femminili dove risulta particolarmente evidente un processo di emancipazione. A figure di tradizionale ruolo sociale (come Jolanda e sua sorella Mafalda, mogli e madri, o il gruppo delle giovani sartine) si alternano donne risolute, volitive e affermate, forti di un’autonomia finanziaria che le rende padrone del proprio spazio vitale. L’avvenente Clotildegestisce il bar di sua proprietà e ha una relazione clandestina con Amerigo,ben più giovane di lei, con passione e consapevole leggerezza; Lucia ha lasciato il marito parassita e amministra con competenza la sua sartoria e le sue operaie; Marilisa organizza raffinate sfilate nel suo atelier; Loredana è una richiesta indossatrice veneziana che rifugge facili avventure con uomini facoltosi e vive della sua professione.
L’affresco che ne emerge è corale e articolato, mappa genetica delle conseguenze di una guerra che appare lontana nelle situazioni nelle quali è evidente il superamento degli effetti, mentre traspare come effetto collateraleladdove permane una certastasi sociale. In questo senso, la macchina da presa interviene decisacon le sue peculiarità alternando, in un montaggio ancora acerbo ma efficace, immagini di vicoli degradatiaffollati da scugnizzi e venditori a riprese di strade moderne lastricate da automobili e costellate da negozi dalle insegne vistose.
All’interno di questo sistema, il personaggio centrale di Andrea Girellavaria la sua funzione nel contesto di una realtà sociale in rapida trasformazione e diventa osservatorio di un presente talvolta faticoso e ingannevole. «Ci siamo trovati nel rimpasto e ne siamo stati travolti», dice lui, rappresentante emblematico di una classe incolta e priva di qualifica professionale che, in età ormai matura, non riesce a recuperare la propria dignità nel mondo del lavoro che ha cambiato velocemente le sue regole. Egli si reputa nato troppo tardi per fare il servo e, cosa peggiore, troppo presto per vivere in una città e in un mondo nel quale sono solo i valori concreti e le capacità reali a contare. «Non possiamo assumervi. Siete troppo vecchio: i sindacati non ce lo consentono», oppure «È necessaria la patente di guida», sono le risposte ricorrenti ad ogni colloquio dell’attempato padre che cerca di riscattarsi dall’onta di essere sfamato dal lavoro nero del figlio undicenne.
In realtà la sequenza della storia, articolata nelle sei puntate che accolgono protagonisti e personaggi minori, si impone come una lunga «cantata dei giorni dispari» nella quale si stempera una visione del mondo bruciante e fiduciosa al contempo, che non riscatta chi non riesce a trovare un ruolo nel mutato stato delle cose ma che offre timidi orizzonti di ripresa. La disoccupazione coincide con il disagio dell’isolamento, una sfasatura che esclude l’uomo dalla vita associata tanto dal punto di vista occupazionale che sotto il profilo umano. Andrea è figlio di una generazione provata dalla distruzione, dal dopoguerra e dalla ricostruzione, totalmente scompaginata nelle abitudini sociali. Il suo personaggio attraversa l’esperienza di una sorta di emarginazione, di un dolore lieve e penetrante che scava in profondità la coscienza della propria inadeguatezza in un quotidiano che, nel risollevarsi dal contingente storico, produce un arrivismo produttivo che non lo include. Nella nuova realtà trova maggiore spazio un bambino di undici annidi certo intraprendente ma, soprattutto, già compromesso e catturato dal fascino del guadagno. Ne è chiaro emblema il momento in cui il piccolo Peppino riesce a farsi confezionare un vestito “da uomo” su misura: la solenne misurazione da parte del sarto viene festeggiata dalla famiglia come un ambizioso obiettivo raggiunto e, per quanto vinto dallo sconforto e dall’umiliazione, commuove lo stesso Andrea.
Dal punto di vista formale, Peppino Girella presenta delle caratteristiche non del tutto omogenee. Anche in questo caso il tratto caratteristico è la dissonanza, ovvero, la coesistenza di stili e metodologie divergenti, non sempre felici nell’esito, ma strutturali e coerenti con le modalità narrative utilizzate. Tratti squisitamente teatrali si combinano con le tecniche della ripresa televisiva che, solo in parte, si assimila a quella cinematografica in un prodotto che rivela la sua giovinezza storica e il suo carattere pionieristico. La sceneggiatura, ad esempio, si presenta quasi come un testo teatrale in sei atti privo della specificità linguistica e compositiva di questo genere di testualità destinata, invece, ad una registrazione in interni e non già ad un rapporto in presenza[13]. Tale aspetto è quanto mai evidente nei momenti comici che (soprattutto nella scena surreale della truffaldina pomata antiatomica) riproducono impianti rappresentativi tipici della commedia dialettale, a tratti esasperata in tempi e dinamiche da varietà.
Nella realizzazione in studio degli episodi è possibile cogliere una tecnica di base: scenografia a più ambienti interni, creazione di rudimentali esterni, registrazioni dal vivo quasi decontestualizzate (come, ad esempio, le strade di Napoli), riprese effettuate da più telecamere che agiscono intorno agli attori, impiego di controcampi. Tutto ciò consente di valorizzare il gioco degli attori, mediante l’utilizzo dei primi piani nelle scene con pochi personaggi, ma sacrifica le scene corali che mostrano un impianto ancora teatraleper essere tradotto con efficacia dalle possibilità dello studio televisivo[14].
Discorso analogo è riservato agli attori, presi in massima parte dalla compagnia de “Il teatro di Eduardo”, collaudati nel tempo ma che qui vengono impegnati in un esperimento ad alto rischio. Qualche interprete, infatti, appare troppo ancorato allo stile teatrale, ovvero, ad una cifra recitativa che in scena risulta naturale e in video viene smascherata nel suo artificio. Ciò è particolarmente evidentenelle personalità attoricheformatesi tanto nel repertorio di tradizione (commedia dialettale e sceneggiata) quanto nelle molteplici forme del varietà, personalità eclettiche depositariedi quel genere di arte rappresentativa fondata sull’esperienza, il mestiere e l’artigianato più autentico. Quando Eduardo fonda la compagnia “La Scarpettiana” con l’apertura del teatro San Ferdinando (1954), sceglie di affiancare a giovani promesse del teatro personalità di consolidata tradizione. Di questa gamma di attori egli alimenta la componente recitativa autoriale, l’invenzione scenica che si propone come efficace terreno di accoglienza e rinnovamento del testo che resta rigorosamente inalterato. Si tratta di attori provenienti da forme teatrali impropriamente definite intermedie, dall’avanspettacolo alla sceneggiata, che negli anni Cinquanta conoscono una genia artistica di particolare completezza e inevitabile esaurimento, specchio di una matura e consolidata pratica scenica che nei primi anni Sessanta decreta la fine di una intera (forse l’ultima) scuola attorica napoletana.La selezione individua artisti maturati all’interno di consuetudini teatrali di tipo artigianale, capaci di trasmigrare con facilità in diverse forme rappresentative e donare un rinnovato contributo espressivo ad ogni rappresentazione. Si tratta di una testimonianza ancora tangibile dell’arte recitativa partenopea, motivo di orgoglio per Eduardo, riflessione per autori, registi, musicisti napoletani degli anni a venire, compagni di viaggio che Eduardo riconosce come grandi e che cerca di assorbire nel suo approdo alla televisione.
Attori come Luisa Conte (Iolanda), Ugo D’Alessio (Matteo), Rino Genovese (il cavaliere Dabbene), ed altri, appartengono a questa generazione e si muovono sul set televisivo ancora con la tecnica e l’efficacia comunicativa del teatro dal vivo.Altri interpreti, ed è questo il tratto più interessante, mostrano chiari i segni di un lavoro condotto per sottrazione che, sebbene in maniera non ancora convincente, prosegue alla ricerca di un’essenzialità espressiva che asciuga eccessi e istrionismi, uno stile nuovo destinato a raffinarsi nel tempo nei cicli delle versioni televisive delle commedie di Eduardo.Mentre Enzo Cannavale (Rafele), Pietro Carloni (il direttore della banca), Giuliana Lojodice (Angela) si muovono consapevolmente in questa direzione, fa notizia la bravura istintiva del piccolo Giuseppe Fusco/Peppino Girella (figlio della donna delle pulizie della villa al mare di Eduardo), per il quale questa resta l’unica esperienza artistica[15].
Nonostante gli sforzi e le intenzioni, però, le aspettative nutrite dall’esperimento dello sceneggiato televisivo da parte di Eduardo risultano parzialmente disattese agli occhi della critica. Da più parti si lamenta un appuntamento mancato con una possibile analisi sociologica, un approfondimento storico e psicologico annunciato e non mantenuto. La convenzionalità delle situazioni, intervenuta a dispetto di una novità molto attesa, porta il marchio di un retaggio performativo tradizionale, un impianto rivelatosi ibrido per il prodotto video che mantiene un livello superficiale anche laddove i temi e le circostanze avrebbero permesso un naturale approfondimento: «Eduardo, in sostanza, nel passaggio dalla “cantata” al “romanzo”, ha mancato il suo obiettivo più ambizioso, che consisteva appunto nell’articolare il destino del suo personaggio in una dimensione sociologica assai più varia e vasta di quella che gli è consentita e le aperture sui diversi ambienti del “basso” e della città gli si sono ristrette e banalizzate in altrettanti quadretti di genere»[16].
Laddove Eduardo vince anche le critiche più aspre è nell’interpretazione del suo personaggio che, a differenza di tutti gli altri, già e meglio si adatta alla forza del mezzo televisivo. La sua arte attorica risulta sobria e pertinente, più che mai risolta in pause, gesti minimi e scatti improvvisi che compongono un campionario di atteggiamenti controllati, per nulla manieristici, corrispondenti ad un’abilità espressiva esatta e rigorosa. Spaesamento, dolore, ribellione, rancore, sconfitta, speranza segnano i termini di una condizione umana autentica, ricca di risonanze emotive e morali che Eduardo restituisce nella sobrietà di una recitazione intensa e funzionale alla formula dello sceneggiato che, soprattutto nei primi piani, ne esalta la potenza espressiva.
Non si tratta certo di un capolavoro, se paragonato alla compiutezza di commedie e personaggi memorabili scaturiti dall’estro dell’artista, ma di certo Peppino Girella rappresenta un esperimento interessante, primitivo e sperimentale dal punto di vista dei contenuti, della forma, delle scelte attoriali e degli stili recitativi. È la storia di un contraddittorio momento storico che si racconta attraverso lo strumento dello sceneggiato che, in tempo reale, sta inventando il suo codice e segna un punto di non ritorno nella produzione di Eduardo.I testi teatrali composti dopo il 1963 sono opere amare nelle quali si sciolgono problemi sociali e disagi umani vecchi e nuovi, assoluti e atemporali. Le versioni televisive delle commedie si susseguono con una certa costanza e mostrano i risultati maturi di uno stile recitativo elaborato in studio, sussurrato, diretto al pubblico dei telespettatori per mezzo dell’occhio vitreo della macchina da presa.
Parole chiave: Eduardo, Teatro, Napoli, Sceneggiato, Televisione
Key words: Eduardo, Naples, Theater, Series, television
Peppino Girella: Eduardo and the television series
Eduardo De Filippo arrives to television since the early years of its foundation. Since 1955, and until the early 60s, the Neapolitan artist grants the newborn RAI to resume live some plays in the theater, realizes six telefilms drawn by unique actions and produces two television versions of his plays. However, PeppinoGirella is the first production conceived since its genesis for the television, a series in six episodes. On the background of an Italy stunned by the economic growth, Eduardo describes the visible lines of the change (in the characters, situations and language) comparing them with permanent difficulties in Neapolitan area in the years of the reconstruction (the problems of child labor, unemployment, social rescue etc.). The television series (written by Eduardo with Isabella Quarantotti) uses the potentialities of the new mean of communication to illustrate situations that reflect the historical moment, the Italian contradictions of the economic growth. This new kind of television series is different from the others mostly inspired to the great historical and literary narrations. Nevertheless, Eduardo shape a new generation of actors who, though mostly from the scene, inaugurating a style of interpretation that moves away from both the theater and the cinema.
[1] Il riferimento va innanzitutto agli studi condotti nel tempo da Anna Barsotti tra i quali vanno menzionati almeno, Eduardo drammaturgo: fra mondo del teatro e teatro del mondo, Bulzoni, Roma, 1988; Introduzione a Eduardo, Laterza, Bari, 1992; le edizioni critiche dei testi di Eduardo curate dalla studiosa in Cantata dei giorni pari e Cantata dei giorni dispari per i tipi dell’Einaudi. E’ necessario, altresì, citare all’interno della robusta e significativa bibliografia sul teatro di Eduardo, anche altri apporti critici come A. Ottai e P. Quarenghi (a cura di), L’arte della commedia, Bulzoni, Roma, 1990; F. C. Greco (a cura di), Eduardo a Napoli, Eduardo e l’Europa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1993; B. de Miro d’Ajeta, Eduardo De Filippo.‘Nu teatro antico sempeapierto, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1993; P. Quarenghi, Lo spettatore col binocolo. Eduardo De Filippo dalla scena allo schermo, Kappa, Roma, 1995; N. De Blasi e P. Quarenghi (a cura di), Cantata dei giorni pari e Cantata dei giorni dispari, Mondadori, Milano, 2000.
[2] Ciò accade in particolar modo per il personaggio di Filumena Marturano: nel 1951 KäteDorsch a Berlino e Valentine Tessier a Parigi riscuotono grande successo; in Russia analogo clamore è destato da Cecilia Mansurova nel 1956 e da ElizavetaDalskaja nel 1959. Inoltre, nel 1956, Eduardo è invitato a Parigi ad allestire Questi fantasm! (nella versione francese di Jean Micheau) con la compagnia del Vieux-Colombiers.
[3] L. Trezzini, Geografia del teatro. Rapporto sul teatro d’oggi, Bulzoni, Roma, 1977, p. 27.
[4] Al primo insieme appartengono Paura numero uno (1951), Mia famiglia (1955), Bene mio e core mio (1955), De Pretore Vincenzo (1957), Sabato, domenica e lunedì (1959), Il figlio di Pulcinella (1958) e Il sindaco del rione sanità (1960). A queste si aggiungono gli atti unici I morti non fanno paura (1952), Amicizia (1952), Dolore sotto chiave (1958).Gli anni Sessanta sono segnati da Il sindaco del rione Sanità (1960), Tommaso d’Amalfi (1962), L’arte della commedia (1964), Il cilindro (1965), Il contratto (1967). Negli anni Settanta, com’è noto, Eduardo compone soloIl monumento (1970) e Gli esami non finiscono mai (1973) terminando così la sua attività di autore. Unica eccezione sarà, tra il 1983 e il 1984, la traduzione de La tempesta di Shakespeare nella quale è presente una forte componente creativa. Cfr. A. Sapienza, «Dalla scena elisabettiana al teatro di figura. La Tempesta di Shakespeare nella traduzione di Eduardo De Filippo», in Testi e Linguaggi, n. 6, 2013.
[5]Diverse e singolari sfumature assume, invece, la trilogia del “realismo fantastico”: De Pretore Vincenzo (1957),Il figlio di Pulcinella (1958) eTommaso d’Amalfi (1962).
[6] F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia: costume, società, politica, Marsilio, Venezia, 2006.
[7] Tra il 1955 e il 1956 Eduardo inaugura la stagione del teatro in diretta dalla sala dell’Odeon di Milano rappresentando Miseria e nobiltà, Non ti pago! e Questi fantasmi!; nel 1959 la televisione trasmette Tre cazunefurtunatedal teatro Valle di Roma, La fortuna con la effe maiuscola dal Teatro Odeon di Milano e Il medico dei pazzi dal Teatro San Ferdinando di Napoli.
[8] I telefilm prodotti sono Il dono di Natale (19 maggio 1956), Quei figuri di tanti anni fa (16 giugno 1956), I morti non fanno paura (16 giugno 1956), San Carlino 1900… e tanti (30 giugno 1956), Amicizia (14 luglio 1956), La chiave di casa (4 agosto 1956). Il primo ciclo televisivo de Il Teatro di Eduardo è del 1962 e comprende Tipi e figure (tre macchiette del teatro di Varietà degli anni Venti), poesie di Eduardo lette dall’autore e le commedie L’avvocato ha fretta, Sik-Sik l’artefice magico, Ditegli sempre di sì, Natale in casa Cupiello, Napoli milionaria!,Questi fantasmi!, Filumena Marturano, Le voci di dentro, Sabato, domenica e lunedì.
[9] Com’è noto, Isabella Quarantotti è l’ultima compagna di Eduardo De Filippo conosciuta nel 1955 e sposata, dopo una lunga relazione, nel 1977. Tale incontro rappresenta una fase importante nella carriera di Eduardo che stabiliscecon Isabella Quarantotti (scrittrice, drammaturga e traduttrice) anche un sodalizio professionale.
[10]Peppino Girella è andato in onda per a prima volta il 14, 21, 28 aprile e il 5, 12 e 19 maggio 1963. Lo sceneggiato è stato poi riproposto dalla RAI il 5, 12, 19, 26 ottobre e il 2, 9 e 16 novembre 1973.
[11] A. Sapienza, Il padrone del vapore. Teatro a Napoli ai tempi di Achille Lauro, Liguori, Napoli, 2015, pp. 101-134.
[12]E. De Filippo, Teatro – Cantata dei giorni dispari, cit., vol. III, t. II, pagg. 337-528.Risultato di una gestazione durata alcuni anni, l’opera è datata ufficialmente 1958, pubblicata nel 1960 dalla rivista Siparioe rappresentata per la prima volta il 20 ottobre 1962 al teatro Quirino di Roma.
[13] E. De Filippo, Peppino Girella, Editori Riuniti, Roma, 1964; E. De Filippo, I. Quarantotti, Peppino Girella: originale televisivo in sei episodi, Einaudi, Torino, 1988.
[14] Cfr. P. Quarenghi, Lo spettatore col binocolo: Eduardo De Filippo dalla scena allo schermo, cit.; P. Quarenghi, Il personaggio assente: il teatro di Eduardo nei documenti audiovisivi, in A. Ottai (a cura di), L’arte del teatro in televisione, RAI-ERI, Roma, 2000;
[15] G. Lugato, «Peppino Girella e suo padre Eduardo», in Radio Corriere TV, 14-20 aprile, 1963.
[16] A. Ferrero, «Una storia italiana di Eduardo», in Mondo Nuovo, n. 11, 26 maggio 1963. A distanza di dieci anni, lo sceneggiato viene riproposto dalla RAI e raccoglie recensioni ancora più severe. Cfr. El. R., «Napoli non milionaria», in Paese Sera, 5 ottobre, 1973; M. Dol, «Il bozzettismo di Eduardo in Peppino Girella», in Il Tempo, 12 ottobre 1973.