Francesco Antoniol, Sentire e sentirsi in trasformazione. Gli archivisti, il cambiamento e la libera professione
Il contributo analizza la natura dell’archivista odierno, da un lato riferendosi alle molteplici conoscenze, competenze e abilità che la legislazione e la normativa tecnica odierna attribuiscono alla figura, dall’altro prendendo spunto dall’esperienza quotidiana della libera professione per cui, il mestiere oscilla costantemente tra estremi che possono essere identificati quali quello dell’operatore ecologico e del consulente di alto profilo, un misto tra l’ingegnere gestionale e l’abile storyteller.
L’intenzione è quella di procedere su un duplice sentiero, quello dell’analisi della ricaduta, sulla figura professionale, della norma archivistica, non solo relativa alla formazione (a partire, per esempio dall’ordinamento delle Scuole di Archivistica Paleografia e Diplomatica) ma verificando le implicazioni relative, per esempio, all’evoluzione informatica della disciplina e dei connaturati elementi di diritto amministrativo e quello più sociologico, della rassegna di cosa offra realmente il mercato della libera professione, ma non solo, e di cosa effettivamente ci si aspetta che l’archivistica faccia e sia. Tale analisi, soprattutto per quel che riguarda l’aspetto normativo e prescrittivo sarà necessariamente cronologica, per quanto riguarda, invece, l’analisi del reale, aderente o difforme dalla norma, sarà concentrata su un arco temporale corrispondente, grossomodo, agli ultimi venticinque anni, periodo in cui la professione si è dovuta confrontare con pesanti cambiamenti tecnologici e conseguenti, voluti o sperati, adeguamenti della figura dell’archivista stesso.
Lorenzana Bracciotti, Il web archiving. Conservazione e uso di una nuova fonte
Negli ultimi vent’anni il web è diventato uno strumento fondamentale per la comunicazione, l’interazione e la memoria. Usato quotidianamente da milioni di persone, sarà una delle fonti principali per la storia della nostra epoca. L’affermazione del web come mezzo di comunicazione è stato affiancato dallo sviluppo di iniziative di conservazione: i primi progetti di web archiving si datano al 1996 (Internet Archive e Pandora ) e sono costantemente cresciuti in numero e complessità, assieme alla riflessione teorica e alle soluzioni tecnologiche e organizzative per la cattura, il miglioramento della qualità dei contenuti, la conservazione e l’archiviabilità, la creazione di strumenti di ricerca. In parallelo con lo sviluppo delle iniziative di web archiving è aumentata la consapevolezza, anche presso un pubblico di non specialisti, dell’importanza della rete come fonte, sia storica che legale, e della sua estrema deperibilità. Tra i molti esempi si possono citare LAFRANCE 2015, Raiders of the Lost Web. If a Pulitzer-‐finalist 34-‐part series of investigative journalism can vanish from the web, anything can e RUEST – MILLIGAN 2016, An Open-‐Source Strategy for Documenting Events: The Case Study of the 42nd Canadian Federal Election on Twitter o la recente proposta (estate 2017) del “Covfefe Act” per dichiarare presidential record anche i contenuti social della presidenza USA. Nella letteratura sul web come fonte si possono individuare due tendenze. In un primo tempo il web è stato considerato come uno strumento per pubblicare e reperire fonti secondarie (riviste online, testi digitalizzati, siti specialistici). Nel frattempo si è evidenziata la sua importanza come fonte primaria, che registra (e sempre più influenza e crea) avvenimenti e reazioni, con una quantità di dati prima impensabile.
Gloria Camesasca, Avvicinare alle fonti archivistiche attraverso i percorso di Alternanza Scuola Lavoro
Gli Archivi di Stato si trovano di fronte a nuove sfide, prime tra tutte quella di avvicinare a contenuti spesso di difficile comprensione interlocutori non specialisti, come ad esempio gli adolescenti. Con l’entrata in vigore della legge n° 107 del 13 luglio 2015 molti Archivi di Stato sono stati scelti come sedi di percorsi di Alternanza Scuola Lavoro per i ragazzi delle scuole superiori, soprattutto dei licei. Gli istituti hanno dovuto quindi organizzarsi per progettare piani formativi coerenti con il percorso di studi dei ragazzi. L’obiettivo è duplice: da un lato fornire delle competenze di base agli studenti e avviarli però anche allo svolgimento di mansioni lavorative sotto la supervisione di un tutor, d’altro canto si punta ad avvicinare i ragazzi alle fonti archivistiche e ad una loro corretta interpretazione e contestualizzazione storica. La scelta degli Archivi di Stato come sedi per percorsi di Alternanza Scuola Lavoro è un’opportunità importante per gli istituti, perché consente di ampliare il proprio bacino di utenza anche a persone, come i ragazzi, che, almeno in questa fase della loro vita, spesso non sono frequentatori abituali di questi luoghi della cultura. L’archivista che ricopre il ruolo di tutor aziendale deve riuscire a far interagire i ragazzi con il patrimonio culturale conservato dagli Archivi e, attraverso l’acquisizione di un metodo di approccio alle fonti, sviluppare e sollecitare forme di partecipazione e di cittadinanza attiva. Il presente contributo intende riflettere su come si possa sfruttare l’attivazione di percorsi di Alternanza Scuola Lavoro per far conoscere ad un pubblico non specialistico le funzioni svolte dagli Archivi di Stato e le fonti conservate. Dopo un’introduzione generale sul quadro normativo di riferimento si passeranno in rassegna le varie fasi dei progetti. Si daranno poi degli spunti utili relativi allo svolgimento vero e proprio del tirocinio. In particolare ci si concentrerà sulle modalità mediante le quali è possibile avvicinare i ragazzi alle fonti archivistiche, guidandoli così verso una loro corretta interpretazione e contestualizzazione storica. Si forniranno infine degli esempi di percorsi di lettura e valorizzazione delle memorie storiche condotti dagli studenti e si analizzeranno sia le criticità, che le opportunità e le occasioni di crescita emerse durante l’ideazione e la realizzazione di tali progetti.
Laura Ceccarelli, I film di famiglia dell’Archivio Nazionale di Bologna: uso storico ma anche artistico di alcune fonti audiovisive contemporanee
L’epoca contemporanea è contrassegnata da una forte modificazione delle modalità di registrazione e quindi di trasmissione della memoria, anche di quella “privata”. Tra gli esempi più interessanti quelli costituiti dai film di famiglia, che si inseriscono nel più ampio universo della cinematografia amatoriale che, a partire dalla metà degli anni ’20, si sviluppa in modo costante e sostenuto in Italia, a seguito dell’introduzione di nuovi dispositivi tecnici di ripresa non professionali. I film di famiglia vengono realizzati principalmente per vivificare il senso di coesione del nucleo privato, per lo più da una persona che lavora da sola, che è dunque responsabile sia della ripresa che della fotografia e a volte anche del montaggio e della sonorizzazione, e le cui modalità di consumo sono lontane dai circuiti di distribuzione commerciale. In Italia la raccolta dei film di famiglia si inserisce nel più vasto ambito di recupero dei film amatoriali, svolto prevalentemente dalle cineteche regionali, che mantengono un maggiore legame con il territorio e dunque con gli archivi privati di film. Diverso il caso dell’Associazione Home Movies che fin da subito si orienta verso un obiettivo ambizioso: quello di diventare vero e proprio centro di aggregazione nazionale dei film di famiglia in Italia. Uno degli aspetti peculiari del lavoro svolto dagli archivisti che si occupano del recupero di tali materiali è quello di entrare in diretto contatto con i cineamatori – “enti produttori” – o con le persone che hanno avuto comunque un diretto contatto con questi, al fine di ricostruire, anche tramite interviste guidate, dettagli e contesti specifici. I Fondi descritti afferiscono all’Archivio nazionale del film di famiglia, e offrono uno spaccato dell’attività di diverse cineamatrici, accumunate tutte, “pur nella disparità delle biografie … [dal] desiderio di raccontare le proprie vite, di raccontarsi e dire di sé attraverso le pellicole, di abbracciare e restituire il mondo con il loro sguardo”
Flavio Conia, Un “mondo” di carte, diversissime fonti: l’archivio Romaeuropa come modello di narrazione della contemporaneità.
Diversi materiali compongono l’archivio storico della Fondazione Romaeuropa. La Fondazione, nata con la missione di promuovere le arti contemporanee nel contesto europeo, vedendo l’Italia (e Roma), come fulcro e punto d’incontro culturale, conserva nel suo archivio molteplici fonti utili a raccontare il processo di integrazione europea, stimolato e proseguito anche grazie alla diplomazia culturale. Nata infatti per favorire gli scambi artistici tra Francia ed Italia, la Fondazione ha collaborato in trent’anni di attività con tutti gli istituti di cultura presenti a Roma, rappresentando un modello nel dialogo tra paesi e culture. Oggetti di scena, corrispondenza con i più grandi artisti degli ultimi trent’anni, brochure, biglietti, inviti, programmi di eventi culturali, ma soprattutto una serie audiovisiva sterminata, volta a raccontare tutte le attività svolte dalla famosa Fondazione italo – francese, che vide come prima sede delle sue attività la prestigiosa Villa Medici. A questi diversissimi materiali si aggiungono la seria della rassegna stampa, un fondo librario specifico sulle arti visive e lo spettacolo e parte dell’archivio personale del fondatore di Romaeuropa, Giovanni Pieraccini, già ministro e politico di spicco dell’area socialista. L’intreccio di politica, cultura e società si rispecchia chiaramente all’interno dell’archivio grazie alle disparate fonti presenti, che, se messe a sistema, possono riconsegnare una narrazione unitaria da punto di vista privilegiato degli ultimi trent’anni di storia europea. L’esempio di Romaeuropa può essere da modello per approfondire l’integrazione tra i diversi materiali d’archivio (da i supporti più recenti alla documentazione cartacea più datata), favorendone il dialogo e sperimentandone le connessioni. Per fare ciò, anche la figura dell’archivista necessita di nuovi fronti di aggiornamento, che guardano alla creatività e alla sperimentazione di forme di valorizzazione in costante mutamento, in special modo se si è portati a confrontarsi con archivi di istituti culturali, archivi della danza e dello spettacolo. La cultura vive di connessioni ed è per questo che gli stessi archivisti (come l’esempio di Romaeuropa insegna) devono favorire il racconto e la narrazione di questi scambi anche facendo dialogare fonti di diversa provenienza, utilizzando al massimo le nuove tecnologie, ricostruendo le vicende storiche attraverso disparanti punti di vista. Partendo dal modello costruito dalla Fondazione si può proseguire un percorso che parli di formazione, apertura e contaminazione delle materie archivistiche, aprendoci alle suggestioni date da altri mondi, come quello museale. E’ in questa chiave che il ruolo di mediazione dell’archivista può spiccatamente emergere, attivando un virtuoso percorso volto a favorire l’accesso all’informazione e alla ricerca, anche attraverso innovative forme di indagine negli archivi, liberando l’enorme potenziale che contengono e aprendoli ancor di più alla sperimentazione.
Concetta Damiani, La memoria rappresentata: dalla descrizione inventariale agli archivi narranti
Il contributo propone una riflessione sulle attività inerenti alla comunicazione degli archivi: quali sono stati e sono gli approcci descrittivi e comunicativi tra tradizione consolidata e nuove prospettive; quali ricadute hanno su una comunità che desidereremmo si allargasse dalla cerchia ristretta dell’utenza scientifica alle più ampie fasce della società.
Comunicare gli archivi ha significato, per lunghi anni, comunicare il patrimonio archivistico.
Comunicare il patrimonio archivistico ha significato, per lunghi anni, mettere a disposizione di un’utenza esperta e scientificamente motivata forme sempre più omogenee e standardizzate di strumenti per la ricerca. Compito “istituzionale”, nobilissimo ed indispensabile che però sconta, per la sua stessa intrinseca specificità, il limite della divulgazione selettiva e della mancata contribuzione alla diffusione di valori e contenuti civili e sociali di cui gli archivi sono intrisi, a saperli vedere e veicolare.
La soluzione non è semplicisticamente cambiare strada, ma provare a correggere il passo. Le metodologie descrittive e comunicative attraversano una fase di crisi e nuove impostazioni provano ad affermarsi.
Ripercorrere l’ultimo cinquantennio significa partire dai capisaldi delle Norme per la pubblicazione degli Inventari proposte dalla Circolare 39/1966 del Ministero dell’Interno, riflettere su alcune imponenti realizzazioni, guardare al bilancio sullo stato dell’arte della redazione degli strumenti archivistici proposto con i lavori del Convegno di Rocca di Papa del 1992; ma anche considerare l’impatto e le ricadute dell’introduzione delle cosiddette “moderne tecnologie”, guardare alla stagione degli standard e al suo attuale corso, al miraggio dei sistemi informativi.
La necessità di rendere accessibile ai più il patrimonio archivistico, di comunicare e comunicarsi, superando la cerchia degli addetti ai lavori e delle funzionalità di mera ricerca scientifica, è esigenza che dopo episodiche sperimentazioni si è andata imponendo con sempre maggior frequenza e ha trovato prime forme di esplicitazione nelle mostre documentarie, nei laboratori didattici, in quelli di scrittura narrativa e in quelli di teatralizzazione documentale, nell’istituzione di musei aggregati agli archivi – quasi esclusivamente agli archivi d’impresa, attori di pratiche di heritage culturale -. Tutte attività impostate alla luce del massimo comun denominatore dell’ intercettazione di un pubblico più ampio a cui offrire chiavi di lettura alternative attraverso un diverso approccio ai documenti. Ma si può fare di più. Si può spostare il focus sulla scala valori del cittadino-visitatore-fruitore.
In questa sede si intende passare in rassegna alcune esperienze realizzate, in prospettiva transnazionale, per poi soffermarsi sul Cartastorie, il cosiddetto “museo dell’archivio storico del Banco di Napoli” – etichetta riduttiva, quest’ultima, come spesso accade -.
Alla Fondazione Banco di Napoli afferisce un archivio storico bancario di impressionante consistenza: 330 stanze, 80 km di scaffalature, oltre 60.000 faldoni che conservano circa 300 milioni di documenti; la proiezione contenutistica, per difetto, è data in 17 milioni di nomi di correntisti per i soli otto antichi banchi che hanno operato in età moderna. Dai nomi alle storie, il passo è più che breve.
Alla gestione dell’archivio in termini tecnico-scientifici (attività di riordinamento, descrizione, gestione di nuove acquisizioni documentarie, apertura alla consultazione, attività editoriale) si è affiancato, nel 2016, un progetto straordinariamente innovativo. L’assunto è stato provare a realizzare una strategia complessiva di conoscenza e tradurre la specifica visione in modelli di comunicazione e in iniziative capaci di avvicinare i cittadini all’archivio e di favorire l’acquisizione di una memoria-identità.
Il Cartastorie è stato allocato in un’ampia area dei locali di deposito dell’archivio, ove è stato realizzato un percorso strutturato in 7 settori multimedializzati in cui immagini, suoni e narrazioni filmiche e sonore investono il visitatore. Alla disamina del dietro le quinte del Cartastorie, a intenti, prospettive, scelte di metodo, operative e tecnologiche sarà dedicata la parte finale del lavoro.
Giorgia di Marcantonio, L’archivista: una figura in costante trasformazione
L’obiettivo di questo articolo è quello di evidenziare la componente antropologica della figura dell’archivista, ripercorrendo l’evoluzione di questa professionalità nella storia e chiedendosi quale impatto gli archivisti abbiano avuto sulle realtà di riferimento, con particolare riferimento all’età contemporanea.
L’articolo si propone quindi di analizzare le evoluzioni storiche e antropologiche della professione archivistica, in relazione soprattutto alle trasformazioni intervenute nel corso dei secoli nei modelli di produzione, gestione e conservazione dei complessi documentari. Particolare attenzione sarà rivolta all’archivista contemporaneo, che opera in un contesto di particolare liquidità documentaria.
L’indagine muove da un’analisi comparata delle fonti bibliografiche relative alla storia dell’archivistica, calate nei diversi ambiti applicativi che nel corso della storia hanno contraddistinto le finalità della produzione documentaria. L’excursus storico consente di individuare i tratti distintivi di una figura professionale che nel tempo, pur mutando lentamente i propri connotati, ha sempre avuto assetti solidi e unitari. Il “magnifico archivista” che si cita nel lavoro è infatti un burocrate che ha ben chiari i confini della propria attività, solo per fare un esempio. L’archivista contemporaneo è invece una figura antropologicamente poliedrica. Dal polimorfismo istituzionale che caratterizza una società multidimensionale come quella attuale deriva una forte articolazione dei sistemi documentari. Archivistica e archivisti subiscono e tentano di assecondare il cambiamento cercando di rispondere sia sul piano metodologico che su quello applicativo a un contesto storico frammentario e psicologicamente mutevole.
Gilda Nicolai, Archivi in dissolvimento: un “male” che viene da lontano
La situazione generale, complessa e per certi versi non definita, in cui si trovano gli archivi, e in particolare gli archivi presenti sul territorio, vive un momento di grande transizione. La crescente penetrazione della tecnologia digitale ha determinato nell’universo documentario, genericamente inteso, una sorta di irrisolto sdoppiamento che comporta intersezioni e sovrapposizioni tra la sfera analogica e quella digitale. Il mito della ricerca globale sulle banche dati e l’utilizzo delle tecnologie di information retrieval ha fatto ritenere che l’organizzazione archivistica fosse ormai superata. creando sempre più documenti digitali, ma sempre meno archivi. La situazione attuale di dissolvimento della percezione degli archivi, soprattutto degli archivi pubblici sparsi sul territorio, è un’eredità del passato. Da un lato è stata la documentazione storica a ricevere cure più mirate e maggiore attenzione conservativa, e ciò anche per il minor interesse che gli ambienti storici e culturali, con cui quelli archivistici e politici si confrontavano mostravano riguardo alla storia e alla documentazione contemporanea. Dall’altro, La resistenza di parte della comunità scientifica verso gli archivi “moderni” e le modificazioni metodologiche e tecnologiche che questo comportava, non è stata una presa di posizione culturale o l’affermazione di presupposti teorici inconciliabili, bensì la difesa del proprio ambito consolidato di attività e di conoscenza. E’ necessario ripartire dalla scienza archivistica e sviluppare progettualità di più ampio respiro che sappia ricondurre alla dimensione che le è propria (cioè quella archivistica) le molteplici problematiche sottese alla nascita e alla crescita del sistema archivio.
Ilaria Romeo, L’archivio storico Cgil nazionale dalla carta al web
Avere una visibilità web non è oggi soltanto importante, è fondamentale. La comunicazione moderna sta infatti gradualmente abbandonando i canali classici cui siamo ormai abituati per rivolgersi sempre di più a coloro che utilizzano la rete.
In questa prospettiva negli ultimi anni l’Archivio storico della CGIL e la sua Biblioteca hanno lavorato per rendere consultabili on line i propri materiali, conseguendo risultati importanti dei quali l’adesione ad Europeana costituisce solo una parte: l’inventario dell’Archivio storico è consultabile on line fino al 1986 (sono disponibili in file digitalizzato allegato alla scheda documento tutti i verbali e tutte le circolari confederali dal 1944 al 1986), è digitalizzato ed a disposizione degli utenti l’Archivio fotografico della Confederazione, il catalogo della Biblioteca è consultabile in Sbn, su Acnp è a disposizione degli utenti il catalogo dei periodici posseduti.
Dal 2010 l’Archivio storico CGIL nazionale aderisce ad Archivionline, progetto promosso nel 2003 dal Senato della Repubblica con l’obiettivo di creare un archivio unico virtuale del patrimonio documentale di personalità politiche, partiti, gruppi parlamentari e associazioni sindacali conservato presso l’Archivio storico del Senato e presso istituti e fondazioni.
L’inventario dell’Archivio è anche consultabile anche attraverso Siusa e San e l’Archivio stesso gestisce, con accessi importanti, il blog La CGIL nel novecento (disponibile in forma di rubrica anche su Rassegna.it).
Attraverso le immagini della mostra Bruno Trentin, dieci anni dopo (inaugurata nel suo formato cartaceo a Lecce nella prima de ‘Le Giornate del lavoro’ della CGIL, il 15 settembre 2017, per ricordare Bruno Trentin a dieci anni dalla morte), l’Archivio storico CGIL nazionale è entrato anche a far parte di Google Arts & Culture, piattaforma tecnologica sviluppata da Google – disponibile sul web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l’app per iOS e Android – per permettere agli utenti di esplorare opere d’arte, documenti, video e molto altro di oltre 1.000 musei, archivi e organizzazioni che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per trasferire in rete le loro collezioni e le loro storie.
Obiettivo del contributo che proponiamo al Comitato scientifico ed alla redazione della Rivista è dare conto delle molteplici espressioni attraverso cui gli l’Archivio nazionale della CGIL divulga la storia del lavoro nel tentativo di renderla pubblica e coinvolgente, collocandosi in quell’area della disciplina storiografica codificata a partire dagli Stati uniti come public history.
Nella convinzione che ricerca e conoscenza storica traggano impulso nelle università, ma non possano risolversi nell’esclusivo appannaggio degli specialisti, l’Archivio storico CGIL nazionale intende da tempo ridare slancio allo studio della storia sindacale e si adopera per la diffusione della cultura del lavoro. Lo fa attingendo alla passione e alla rigorosa preparazione scientifica dei suoi dipendenti e collaboratori, organizzando mostre, seminari, progetti didattici nelle scuole e alimentando il dibattito culturale all’interno del sindacato e tra la cittadinanza.
Alessandra Tomasetti, Archivi e archeologia: un dialogo possibile e necessario
Gli archivi d’archeologia rivestono una duplice importanza: per la storia della disciplina, lo sviluppo delle metodologie, la valorizzazione e la diffusione del dato, le figure che hanno operato, le loro collezioni e le attività. Un ulteriore elemento d’interesse consiste nell’applicazione degli studi e della ricerca nei confronti del versante operativo di tutela del territorio e soprattutto di pianificazione territoriale (archeologia predittiva e preventiva). In questa dinamica la formazione degli archivi, la raccolta e spoglio delle fonti documentarie di scavi e scoperte, la rappresentazione cartografica e fotografica, delineano a loro volta la stratificazione storicizzata e consolidata utile per una programmazione sensata e costruttiva degli interventi sul territorio.
Questa proposta ha l’obiettivo di definire i punti di contatto tra le due discipline, a grandi linee la
modalità di formazione dei servizi archivistici, quanto incida sulle modalità di gestione, conservazione, fruizione e valorizzazione l’attuale normativa di riferimento internazionale e nazionale (archeologia predittiva, preventiva, del potenziale archeologico) sul modo di formare e gestire documenti e aggregazioni informative (sistemi informativi territoriali), rispetto ai contenuti giuridici-amministrativi e scientifici.
Se infatti le attività di tutela, valorizzazione e ricerca hanno da decenni una modalità consolidata di descrivere eventi, contesti e tracce fossili (scavi e ricognizioni, ecofatti e manufatti), la diffusione dei sistemi informativi territoriali su base GIS incide sul modo di produrre i documenti, perché si vanno affermando in l’ambiente digitale nuove procedure, modelli e standard.
Silvia L. Billet, Ufficio Zone di confine. La difesa dellʼitalianità in funzione anticomunista
Questa è una rassegna bibliografica dei nuovi risultati della ricerca su Ufficio Zone di Confine. I tre volumi che l’autore presenta, permettono al lettore di acquisire nuove conoscenze riguardo il secondo dopoguerra nella zona di confine dell’Italia settentrionale.