“L’utile e il dilettevole”. La radio per gli immigrati attraverso la trasmissione “Per i lavoratori italiani in Svizzera”

Le fonti radiofoniche sono un materiale di grande valore non solo per la storia dei media o per l’analisi del rapporto che una società intrattiene con determinati argomenti e con le rappresentazioni che ne dà, ma più in generale per la storia contemporanea: la radio accompagna, infatti, tutto il Novecento ed è stata al centro di dibattiti, strategie e mutamenti sociali, politici e culturali di grande impatto. Tuttavia, le fonti radiofoniche – come quelle televisive – non sono ancora completamente integrate negli strumenti dello storico. I motivi di tale reticenza sono molti, ma va senz’altro ricordata la difficoltà di accedere a tali fonti, anche quando esista un deposito legale.

Le digitalizzazioni delle fonti radiotelevisive – che in origine sono state realizzate con parametri di utilizzo aziendale – hanno in un primo tempo portato alla dispersione di informazioni importanti. Inoltre, il valore patrimoniale che le fonti sonore e audiovisive hanno assunto ha purtroppo condotto in diverse occasioni le radiotelevisioni di servizio pubblico, detentrici di lungo corso di questi inestimabili documenti, a occuparsi maggiormente della conservazione dei prodotti, ossia delle trasmissioni radiofoniche e televisive, trascurando i documenti cartacei, fondamentali per capire il contesto di produzione e spesso molto utili anche per indagare la ricezione delle trasmissioni.

Sono rare e fortunatissime le volte in cui lo storico si trova a poter accedere a entrambi i supporti. È il caso di Per i lavoratori italiani in Svizzera, trasmissione radiofonica per gli immigrati, durata trent’anni. La conservazione di quasi tutte le registrazioni, oltre che di un fondo cartaceo rappresentativo, ha permesso di cominciare a indagare questa longeva trasmissione da diversi punti di vista, alcuni dei quali saranno qui brevemente presentati.

 

Una trasmissione di riconoscimento e di mediazione 

 

La questione dell’immigrazione è un tema ricorrente nelle radiotelevisioni di servizio pubblico dell’Europa occidentale, sin dagli anni Cinquanta. Dapprima nelle cronache, poi negli approfondimenti, le migrazioni sono spesso trattate come argomento al crocevia tra l’approfondimento del fatto sociale, che solleva il “problema”, e la volontà pedagogica e “civilizzatrice” che contraddistingue il mandato di servizio pubblico nella sua necessità di rappresentare le varie realtà presenti sul suolo nazionale. Infatti, i media radiotelevisivi sono stati spesso invitati dalle autorità politiche a svolgere un ruolo di cinghia di trasmissione tra la popolazione locale e i gruppi d’immigrati. Tale sollecitazione istituzionale verte anche sul desiderio di contatto e sull’invito all’integrazione che si rivolge ai lavoratori stranieri. Negli anni Sessanta e Settanta si assiste dunque in Europa al moltiplicarsi di trasmissioni radiotelevisive con questi intenti.

In entrambi i casi, la Svizzera segue, quando non precede, queste dinamiche: è, infatti, tra le prime nazioni europee a sviluppare delle trasmissioni specifiche per i lavoratori stranieri. Questo si spiega sia per la forte ondata migratoria che raggiunge la Confederazione Elvetica tra gli anni Cinquanta e Settanta, sia per gli importanti cambiamenti della politica migratoria svizzera, che passa da un momento di estrema apertura a una fase di limitazione dei flussi, accompagnata dall’adozione di direttive integrative che sfoceranno tra l’altro sull’accordo tra Italia e Svizzera del maggio 1964. La presenza simultanea di un’immigrazione importante e di un mutamento delle politiche pubbliche non lascia indifferente l’opinione pubblica e solleverà vive reazioni.

I media, e in particolare la radio e la televisione, sono visti come mediatori e partner attivi di tali politiche. Si tratta dunque per la radiotelevisione svizzera di sviluppare una doppia strategia. Dapprima, deve essere il luogo di mediazione tra Stato e società, per far accettare alla popolazione gli importanti cambiamenti della politica migratoria: l’aspetto volontaristico e civilizzatore di alcuni reportage è in questo senso evidente[2]. Al contempo, in parallelo con esperienze editoriali simili in Europa (si pensi a Radio Colonia[3]), la radiotelevisione elvetica realizza delle trasmissioni per gli immigrati con un primo particolare interesse per gli Italiani in Svizzera, sia perché gli italiani sono il gruppo di stranieri più numeroso presente nella Confederazione, sia perché l’italiano è in questo periodo la lingua franca utilizzata da una parte dei lavoratori stranieri.

Sostenute dallo stato e dal mondo economico per sopire le tensioni sociali e le iniziative xenofobe, le trasmissioni sorgono in un momento storico in cui la mobilità e gli strumenti di comunicazione sono ancora relativamente complessi e costosi. Per quanto riguarda la radiotelevisione, la RAI non raggiungerà ancora per diverso tempo la Svizzera d’oltre Gottardo. Non è un elemento insignificante, poiché oltre a una volontà integrativa e informativa, negli intenti delle autorità è probabile che vi sia anche la preoccupazione di contrastare la propaganda comunista, che sembra raggiungere con più agio le regioni dell’altipiano elvetico. Ne è un chiaro esempio, Radio oggi in Italia, legata al PCI, in onda da Praga dal 1950 al 1968, e che durante quegli anni integra delle rubriche sui problemi dell’immigrazione[4]. Anche in questo caso, dunque, come in Germania[5], la Guerra fredda sembra essere tra gli elementi scatenanti della creazione delle trasmissioni, anche se non sembra condizionarne i programmi[6].

Nel 1962, nasce dunque il format Per i lavoratori italiani in Svizzera. In breve tempo sarà trasmessa dalle quattro reti nazionali (italiana, francese, tedesca e romancia) diventando, dal 1965 al 1992, la prima trasmissione radiofonica elvetica a essere presente sull’insieme del territorio nazionale. Si vuole una trasmissione interessata direttamente alle condizioni di vita dei lavoratori italiani, sviluppata secondo un’ottica integrativa, d’ampliamento delle conoscenze, linguistiche e culturali, che al contempo possa favorire i contatti umani e spirituali[7].

Se la trasmissione televisiva Un’Ora per voi (1964-1989)[8] sarà l’emblema della memoria di queste trasmissioni, le corrispondenze conservate negli archivi della Radio Svizzera di lingua italiana (RSI) – unità aziendale della Società svizzera di radiotelevisione (SSR) – designata quale centro di creazione di tali trasmissioni, mostrano la presenza di un pubblico partecipe e fedele: “è una trasmissione che ormai mi appartiene e non la perdo una sera”[9].

Il dispositivo della trasmissione possiede un importante aspetto di servizio e di contatto[10]: il pubblico, attraverso la corrispondenza, diventa un interlocutore attivo e la radio, a sua volta, funge da contatto con le istituzioni, diventando così mediatrice. Non è un caso, peraltro, che le trasmissioni per immigrati si sviluppino spesso in stretta relazione con le istituzioni, poiché il tema ha una forte valenza politica. Per questo motivo, queste trasmissioni creano spesso relazioni formali o quantomeno importanti con gli ambiti statali o parastatali. In questo caso, gli organizzatori della trasmissione tessono però rapporti privilegiati con le istituzioni e le principali associazioni italiane in Svizzera, tra cui le Colonie libere italiane e le Missioni cattoliche con l’intento di fornire un aiuto agli immigrati.

La trasmissione si distingue per una chiara struttura, che contiene le attualità italiane e svizzere, lo sport, le inchieste, la formazione (attraverso i corsi di lingua e le chiacchierate sulla società elvetica), il divertimento, con i quiz e la musica. Nell’arco di un ciclo settimanale si punta a toccare i temi più importanti per ogni rubrica, lasciando spazio ai diversi specialisti che intervengono nella trasmissione (avvocati, medici,…). Lo spazio per la documentazione è inoltre molto presente, in particolare attraverso le belle interviste – a volte vere e proprie inchieste condotte dall’équipe della radio – che mostrano gli avvenimenti da un punto di vista differente. È il caso per esempio delle interviste al folto gruppo di lavoratori italiani sul cantiere dell’esposizione nazionale Expo 1964, condotte nel 1963 da Nicola Franzoni.

 

La corrispondenza come mezzo di contatto

 

La parte centrale della trasmissione è dedicata al contatto, con le dediche e in special modo con le risposte date agli ascoltatori[11]. La trasformazione della trasmissione da settimanale a quotidiana, nel 1966, rende l’aspetto sociale ancora più evidente e il gruppo di lavoro è raggiunto anche da un prete missionario – il “prete dei minatori” – Don Dino Ferrando[12]. È una trasmissione che diventa dunque luogo d’incontro regolare, se non quotidiano, come traspare dalla corrispondenza. Gli ascoltatori italiani in Svizzera sembrano rispondere velocemente e in numero importante alle sollecitazioni che i giornalisti fanno già durante le prime trasmissioni[13]. A metà degli anni Settanta si parla di un numero di lettere oscillante tra le cinque e le settemila lettere l’anno: con quegli scritti si richiedono in particolare informazioni pratiche, o legate al mondo del lavoro[14]. Non mancano le brevi cartoline postali, mezzo di comunicazione forse più semplice per un gruppo sociale con un’alfabetizzazione spesso solo parziale.

 

Tra politica e divertimento 

La parte interattiva è funzionale alla trasmissione, non solo per fidelizzare il pubblico, ma anche per svolgere al meglio il ruolo di mediazione che sembra giocare tra i diversi ascoltatori. Per i lavoratori sembra infatti essere utilizzata come mezzo di comunicazione, al posto del telefono; si tratta di dediche musicali, auguri, ma anche la trasmissione di vere e proprie informazioni personali, come ad esempio il cambiamento di indirizzo : «(…) devo “venerdì prossimo” rientrare definitivamente in Italia e vorrei informare i miei cognati ad Eiken della notizia, ma io non posso farlo perché avevo il numero del loro telefono e li ho smarriti, gli indirizzi non lo conosco pertanto vorrei che legga i miei indirizzi con il mio nome e cognome e quelli dei miei cognati», scrive un ascoltatore domandando alla radio di fare il ponte tra lui e i membri della sua famiglia[15]. Le richieste di comunicazione giungono anche dall’Italia: «non è la prima volta che vi scrivo, ma siccome l’unico modo per poter comunicare in Svizzera è: la posta, il Telefono, la vostra Radio (…) io per porgere gli auguri ai miei cari approfitto della vostra Radio, è sono contentissimo della vostra puntualezza e precisione[16]».

Si giunge persino a proporre sistemi di scambio attraverso la radio. È il caso della signora che deve insegnare una canzone per la festa del papà ad alcune bambine che abitano lontane tra loro: domanda dunque agli organizzatori di trasmettere la canzone alla radio, affinché esse possano registrarla e impararla a memoria[17]. Peraltro, questo è un aspetto che rimanda a una pratica corrente, in un mercato musicale in piena espansione, ossia alla registrazione delle canzoni, che porta a costituire delle vere e proprie collezioni musicali[18], ma anche a rimproverare gli organizzatori quando le arie sono passate solo parzialmente o coperte dalle voci[19].

Questa parte di trasmissione che si vuole di divertimento sembra raccogliere molto successo; riceve però anche delle critiche: alcuni la giudicano inadeguata in un momento, a cavallo degli anni Settanta, che vede le condizioni di vita degli immigrati degradarsi al punto da costringere molti di loro al rientro. Dopo vent’anni di fascismo e trenta di emigrazione, scrive F.L., la situazione diventa sempre peggiore e sta alla radio informare, insegnando come ci si possa difendere dallo sfruttamento: « Voi ci dovete delle informazioni critiche, politiche, sociali e culturali (…) poiché siete la nostra trasmissione (…) intervistate gli operai licenziati, quelli nelle baracche, le famiglie con i figli nelle scuole svizzere, le persone che rimpatriano…»[20].

Come sembra regolarmente accadere nei casi considerati particolarmente interessanti, alla lettera si risponde al microfono in maniera articolata, spiegando l’importanza di unire l’informazione ai momenti di divertimento.

I problemi quotidiani al centro dello scambio radiofonico 

La trasmissione Per i lavoratori italiani in Svizzera si presta all’analisi di parte delle necessità degli immigrati italiani in Svizzera, o perlomeno di quella categoria d’immigrati che, sola, è presa in considerazione dalla radiotelevisione in quel periodo. La trasmissione sembra potersi permettere una prossimità con gli ascoltatori, che altre trasmissioni per gli immigrati, in particolare quelle televisive, non hanno. Una parte del servizio è così sviluppata da poter rispondere alle richieste più diverse: domande generali, inoltrate da singoli e da gruppi, che spaziano dalla gradazione del vino ai telefilm, alle verifiche di notizie riportate dai giornali. Tutto sembra mostrare una particolare fiducia negli organizzatori della trasmissione.

In generale, sono però poste soprattutto domande che riguardano l’ambito professionale e che rivelano le difficoltà vissute dai lavoratori stranieri in Svizzera. In questi casi, il ricorso a specialisti è d’obbligo. La volontà di migliorare la propria formazione traspare sia dalla risposte radiofoniche, sia dalle lettere di ascoltatori che spesso hanno al massimo la licenza di scuola elementare[21]; molti sono alla ricerca di una formazione professionale: è il caso di A.M. che vorrebbe seguire dei corsi per diventare infermiere[22].

Il diritto del lavoro è però al centro delle maggiori preoccupazioni: le possibilità di rifiutare un incarico ingiustamente richiesto[23]; il trattamento salariale inadeguato; le questioni spesso complesse legate alla salute e ai congedi per malattia: «È giusto che un lavoratore di qualsiasi razza esso sia, capitando un incidente, e stando sotto l’infortunio (…) gli è consegnata una strenna dei primi tre giorni non pagati? Di cosa dipende di ingiustizia, di parassitismo, di cosa?»[24].

Le domande sono poste anche da lavoratori qualificati e interessano la maggior parte degli ascoltatori. E, insieme alle risposte che giungono per radio, fanno trasparire condizioni di lavoro precarie e difficili, in particolare per gli stagionali che non possono permettersi di perdere il lavoro, dal momento che dallo statuto professionale non dipende solo la loro residenza, ma anche il diritto al ricongiungimento familiare: « se dopo aver lavorato in Otel due mesi è mezzo voglio lasciare il lavoro per mal trattamento posso restare insieme ha[sic] mio marito, per tre mesi?” domanda A.N.[25]. C.M. dopo diversi mesi di disoccupazione trova un lavoro, ma il permesso è scaduto e deve lasciare la Svizzera entro tre settimane, mentre sua moglie, che ha un lavoro, può restare. Tutti i sacrifici per ottenere un diploma di meccanico d’auto sembrano svanire[26].

Malattie, incidenti e soprattutto l’assenza di un sistema assicurativo che sostenga gli operai malati obbligati a rientrare in Italia sorprende e indigna, in particolare in un momento come quello che vede svilupparsi nella Confederazione le iniziative xenofobe: «se gli Svizzeri non ci vogliono, che ce lo dicano»[27]. Anche gli aspetti burocratici – ancora più complessi poiché dipendenti da due amministrazioni, quella elvetica e quella italiana – richiedono spesso spiegazioni radiofoniche[28].

La trasmissione diventa anche luogo in cui sfogare l’astio e l’amarezza provata verso leggi e imposizioni incomprensibili per la loro durezza e per le loro tragiche conseguenze. La moglie di R.M. si vede rifiutare il rinnovo del contratto: il che significa ritornare in Italia. R.M. grida tutta la sua disperazione chiedendo quale sacrilegio compiano mai gli uomini che vogliono stare con le loro mogli[29]. Una disperazione che giunge anche dalla Penisola, dove V.A., moglie di un emigrato in Svizzera, vive, sola con sei figli e uno stato che non pensa ai suoi emigrati[30].

Vivere in emigrazione, per contro, offre spesso alle donne anche delle possibilità di autonomia insperate. R., che ha ascoltato la trasmissione sul nuovo diritto di famiglia in Italia, chiede informazioni: come fare per essere certa di avere la custodia dei suoi figli in Svizzera, con un marito che regolarmente abbandona il tetto coniugale[31]?

A.I. s’interroga sulla possibilità di abortire, poiché a quarant’anni non desidera il quinto figlio. Ancora una volta è il media audiovisivo che le permette di accedere all’informazione poiché, sebbene abbia avuto accesso all’informazione relativa alla possibilità di abortire a Lugano tramite la televisione, è alla trasmissione radiofonica che richiede ulteriori precisazioni e dettagli, insistendo per una risposta individuale, non trasmessa al microfono.

L’ascoltatrice non lo precisa, ma lo scritto sembra piuttosto riflettere una decisione che prenderà da sola[32]. Da una prima indagine, l’ipotesi di una divisione sessuata nella presa di parola, così come nelle strategie adottate, sembrerebbe trovare dei riscontri.

Le dinamiche della mobilità 

 

Essere tra due Stati significa confrontarsi con due amministrazioni, due legislazioni, due mondi politici. Insomma, due burocrazie che non sembrano capirsi e che, soprattutto, non paiono sensibili alle difficoltà affrontate da questi gruppi transfrontalieri. La trasmissione funge da “sportello virtuale” per spiegare come risolvere una serie di importanti questioni pratiche, dalle più semplici, ma fondamentali, come spedire i soldi a casa una volta rientrati definitivamente in Italia[33], a quelle più drammatiche: L.V., che ha accidentalmente ucciso un uomo con la sua auto, non riesce a districarsi nel doppio, intricato e divergente iter giudiziario[34] .

Ogni azione diventa complessa, a causa delle leggi diverse e dei malintesi linguistici. Attraverso la trasmissione si captano anche le sfumature legate al rientro in Patria, spesso imposto in questi anni di crisi (durante i quali la Svizzera esporta disoccupati) e anche molto difficile, poiché gli italiani sviluppano talvolta forti legami sul suolo elvetico[35]. Al problema di una reintegrazione forzata nel paese d’origine si aggiunge una riorganizzazione materiale altrettanto forzata. Per i lavoratori, la radio si occupa di chiedere precisazioni agli enti preposti allo scopo di trasmettere tutte le questioni tecniche e i dettagli. Acquistare dei terreni, iscrivere i figli nelle scuole, riorganizzare le assicurazioni sociali, sono tutti temi ricorrenti.

Per gli immigrati che non sono obbligati a lasciare la Svizzera, o che non vogliono rientrare, si delinea una specie di zona franca che sembra poter colmare, almeno nelle speranze, la doppia assenza creatasi nella migrazione: la Svizzera italiana, e in special modo il Ticino, diventa luogo ambito. Tra le molteplici motivazioni, ne emergono due: la lingua italiana e il clima, percepito come più mediterraneo e dunque più sano. Si moltiplicano dunque le richieste di ricerca di un lavoro o di una casa, nella speranza che i figli mantengano la lingua italiana in vista di un futuro rimpatrio[36], o ancora che il clima migliore riesca guarire le malattie nervose[37], o semplicemente perché il Ticino somigli all’Italia[38].

A queste richieste e a questi desideri, gli organizzatori cercano di rispondere al meglio, interpellando specialisti e istituzioni, oltre che ridirigendo gli ascoltatori presso associazioni e sindacati. Come spesso in questo genere di trasmissioni, il contatto supera ampiamente il momento al microfono, poiché una parte di risposte, per particolarità, complessità o, ancora, discrezione sono fatte direttamente per lettera o per telefono[39]. Con un mezzo o con l’altro, le risposte degli organizzatori sono spesso empatiche e impegnate. In questo senso vale la pena ricordare un importante dato sociologico: contrariamente a quanto accade in molti altri casi, la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana è composta da collaboratori che sono spesso di origine italiana o che perlomeno hanno sviluppato forti legami culturali con la Penisola. Si tratta di un rapporto di conoscenza dell’altro che si può ipotizzare abbia permesso di sviluppare una maggiore comprensione dei bisogni avanzati dagli ascoltatori.

 

Il bisogno di essere ascoltati 

 

Ed è forse per questo aspetto di ascolto che una parte degli immigrati s’indirizza di preferenza alla trasmissione, invece che ad altre associazioni che non sembrano interessarli, o per mancate conoscenze o, probabilmente, per esperienze negative vissute. È il caso di V.G., il quale afferma che per abbandonare un sindacato deve mandare una lettera in tedesco: «io appena so scrivere con questa chaligrafia» annota sconsolatamente nella lettera redatta in uno stampatello tremolante[40].

Scrivere alla trasmissione, forse, è per alcuni l’unico modo per prendere pubblicamente la parola. Un gruppo minoritario di ascoltatori che scrive alla trasmissione desidererebbe, infatti, utilizzare la radio come luogo di dibattito sulle questioni politiche e sociali in relazione sia all’Italia sia alla loro condizione di migranti. Sono prese di posizione che richiedono la partecipazione degli organizzatori della trasmissione. Ed è in fondo attraverso queste considerazioni che possiamo capire l’importanza di questa trasmissione per numerosi italiani in Svizzera. Sono storie di vita che ci ricordano come molti immigrati abbiano partecipato alla Seconda guerra mondiale e si siano impegnati per la ricostruzione italiana, ricevendone in cambio vaghe e vane promesse, tanto da vedersi infine costretti a emigrare[41]; e ora, come ricompensa, sono rinviati in Italia: non siamo più dei “lavoratori” ma dei “disturbatori” afferma un ascoltatore nel 1975, proponendo polemicamente di cambiare il nome della trasmissione in Per i disturbatori italiani[42].

In più, devono rientrare in un paese che non è pronto ad accoglierli, nel quale le zone di emigrazione continuano a essere abbandonate dallo Stato: prive di strade, di elettricità, di acqua per l’irrigazione dei campi. Eppure, scrivono sconsolati di fronte a questa mancanza di iniziativa: «Sia il governo italiano che le regioni sapevano che l’emigrazione non sarebbe potuta durare 100 anni»[43].

Note conclusive 

Se nel caso degli immigrati il ruolo della radiotelevisione di servizio pubblico si vuole integrativo, tra i giornalisti della trasmissione Per i lavoratori italiani in Svizzera e gli ascoltatori si crea una condivisione ideale ed emotiva che travalica il momento radiofonico e porta la trasmissione a superare il ruolo di strumento di integrazione, come voluto dalla autorità politiche, per diventare un altoparlante degli immigrati e dei loro problemi.

Il dispositivo di contatto partecipativo attuato sin dagli esordi porta gli immigrati ad avere un ruolo attivo nelle scelte dei temi trattati. Inoltre, la visibilità offerta loro dalla trasmissione non solo nei confronti di altri eventuali ascoltatori, ma soprattutto nei confronti delle istituzioni che si occupano della presenza italiana in Svizzera, fa diventare la trasmissione un polo di esistenza e, per certi versi, di resistenza di questo gruppo sociale numericamente forte durante gli anni considerati. Per i lavoratori italiani sembra dunque essere un luogo di scambio e di sostegno per gli immigrati, che attraverso la trasmissione possono accedere a nuove strategie per migliorare le loro condizioni di vita. Se la trasmissione di servizio pubblico è dapprima recepita come uno spazio di integrazione, in effetti, grazie allo stretto rapporto che si crea tra gli organizzatori e gli ascoltatori, sembra piuttosto svilupparsi un patto radiofonico[44] tra le due parti. Si crea così un nuovo spazio relazionale, riconosciuto dalle istituzioni, nel quale gli immigrati, attori di questo momento radiofonico condiviso e testimoni del loro gruppo sociale[45], cercano di superare le difficoltà della loro condizione di emarginazione

 


[1] Così affermava Guido Zenari, coordinatore della trasmissione, in una lettere al direttore dei programmi della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RSI), nel 1978. Archivio aziendale RSI, Lugano (ARSI), Fondo Don Dino Ferrando (FDDF), lettera di Guido Zenari a Bixio Candolfi, 26.1.1978. Questo articolo riprende, tradotto, riassunto e parzialmente rielaborato, il testo: Nelly Valsangiacomo, «Tant quʼil y aura lʼimmigré, il y aura aussi votre émission». Le dialogue entre les immigrés et lʼémission radiophonique Per i lavoratori italiani in Svizzera au tournant des années 1970, in Revue Suisse dʼhistoire, Migrationsgeschichte(n) der Schweiz im 20. Jahrhundert, Damir Skenderovic, Irma Gadient (a cura di), 2015, pp. 83-99.

[2] Sul superamento dell’inchiesta verso fini più volontaristi v. Edouard Mills-Affif, Filmer les immigrés. Les représentations audiovisuelles de l’immigration à la télévision française 1960-1986, Bruxelles, 2004, p. 49.

[3] Roberto Sala, Giovanna Massariello Merzogora, Radio Colonia. Emigrati italiani in Germania scrivono alla radio, Torino, 2008. Sembra che il direttore di Radio Colonia fosse in contatto con la Radio svizzera proprio riguardo a queste trasmissioni. Matilde Gaggini Fontana, Un’ora per voi. Storia di una TV senza frontiere (1964-1989), 2009, pp. 55-56.

[4] Due lettere del corpus consultato parlano di Radio Praga e una confonde le due radio. ARSI, FDDF, b. 291, A.P., Sciaffusa, 3.1.1969 (r. scritta, 3.2.1969) et N.C., Zurigo, 15.8.1970 (r. 18.8.1.970).ARSI, FDDF, b.291, A., (s.d), ( s.l.), (r. 26.12.1975). È stata fatta la scelta di mettere solo le iniziali degli scriventi. Quando possibile, la data della risposta degli organizzatori, e il mezzo utilizzato, è messa tra parentesi (r.).

[5] Roberto Sala, L’emigrazione italiana in Germania e la radio per gli immigrati , in Roberto Sala, Giovanna Massariello Merzogora, Radio Colonia, pp. 236-239.

[6] Intervista telefonica con Guido Zenari, coordinatore della trasmissione dal 1966, 27 septembre 2014.

[7] « Per i lavoratori italiani in Svizzera », Corriere del Ticino, 15 febbraio 1962.

[8] Sulla storia della famosa trasmissione televisiva, condotta da Corrado e Mascia Cantoni v. Matilde Gaggini Fontana, op. cit.

[9] ARSI, FDDF, Lettera di I.G., Hedingen (ZH), 10.2.1976.

[10] Per una visione d’insieme della trasmissione, v. Nicoletta Solcà, Da Per i lavoratori italiani in Svizzera a Un’ora per voi. La radio e la televisione svizzera al servizio dell’immigrazione italiana, in Studi emigrazione, L’immigrazione italiana in Svizzera dopo la seconda Guerra mondiale (a cura di Sonia Castro e Michele Colucci), 180, 2010, pp. 887-896.

[11] Il 1963 alla radio della Svizzera italiana, cronache di un anno di attività, RTSI, Lugano, 1964.

[12] Don Dino Ferrando (1926-2001), fu per circa 40 anni missionario nel mondo dell’immigrazione italiana in Svizzera e coordinatore del CEDIEM, Centro Documentazione e Informazione Emigrazione, de Lugano. Le sue cronache del venerdì sera erano particolarmente apprezzate.

[13] Gli inviti sono regolari. V. per esempio MMUseo, (banca dati pubblica della RSI accessibile nelle biblioteche del Canton Ticino), Per i lavoratori italiani in Svizzera, 24.11.1962, (1’15’’-1’19’’).

[14] ARSI, FDDF, b. 291, Lettere di Guido Zenari a Bixio Candolfi, chef du secteur “Educazione e famiglia” de la RTSI, 26.1.1978.

[15] Ibid., R.A., Niederuzwil, (s.d.), (r. 1.9.1975).

[16] Ibid., A., Randazzo, 12.5.1980.

[17] Ibid., I.G., (s.d), (r.10.2.1976).

[18] «Non ci crederete ma ho 20 cassette registrate durante le vostre trasmissioni »Ibid. C.G., Amriswil, 15.6.1979, (r.18.6.1979).

[19] Ibid., A.B., Uzwil, 12.2.1973 (r. 15.2.1973)

[20] ARSI, FDDF, b. 291, F.L., Zell, 7.2.1977 (r.14.2.1977)

[21] è il caso di G.M., 17 anni, che ha raggiunto i suoi fratelli a Lindau e che vorrebbe concorrere per un posto nella sicurezza pubblica, ARSI, FDDF, b. 291, G.M., Lindau, 22.5.1970.

[22] Ibid., A. A. a Don Dino Ferrando, 22.3.1971 (r. 23.3.1971).

[23] Ibid., A.A., Gerlafingen, 20.4.1978 (r. 8.5.1978 e r. scritta, 11.5.1978 ).

[24] Ibid., S.C., Ostermondundigen, (s.d.), (r. 22.9.1975).

[25] Ibid., A.N., Lauterbrunnen, 20.6.1971 (r. 23.6.1971).

[26] C.M. dice di aver seguito un corso presso il Cisap [Centro Italo-Svizzero Formazione Professionale]. Ibid., C.M., Spiez, 30.6.1975 (r. scritta 17.7.1975).

[27] ARSI, FDDF, b. 291, (s.n.), (s.d), Ostringen, 26.5.1971 (r.30.6.1970).

[28] E agli organizzatori stessi si chiede anche di redigere le lettere nelle lingue nazionali. ARSI, FDDF, b.291, R.S., Zizers, 6.11.1975.

[29] ARSI, FDDF, b. 291, R.M., Rhäzuns, (s.d, ma maggio 1980).

[30] ARSI, FDDF, b. 250, V.A à Don Dino Ferrando, Grammichele (Catania), 5.2.1974.

[31] ARSI, FDDF, b. 291, (s.n), (s.l),), (s.d.), (r. 6.10.1975).

[32] Ibid., A.l., Liestal, 16.9.1978.

[33] ARSI, FDDF, b. 291, B., Olten, 10.3.1976 (r. 15.3.1976).

[34] Ibid., L.V., Losanna, 22.10.1974, (r. scritta 25.10.1974).

[35] è il caso di C. e P. M., che dopo trent’anni di lavoro a San Gallo devono rientrare abbandonando i forti legami associativi, che avevano sviluppato. C e P.M., Orino (VA, Italie), 7.12.1977.

[36] Ibid., A. à Don Dino Ferrando, Ennenda, 18.9.1979 ; FDDF, b. 291, A. à Don Dino Ferrando, 22.3.1971 (r. 23.3.1971).

[37] ARSI, FDDF, b. 250, F.A. à Don Dino Ferrando, Thalwil, 21.3.1966.

[38] Ibid., M.A., Gossai, 9.1.1984.

[39] V. ad esempio. Manuel Antunes Da Cunha, Les portugais de France: généalogie d’un public radiophonique, Réseaux, 2001/3, 107, pp.77-115.

[40] ARSI, FDDF, b. 291, V.G., Gossau, (s.d.) (r. 26.5.1975).

[41] « Ci promettevano mari e monti e oggi non sono nemmeno capaci di riflettere al benessere della nostra cara e bella Italia », ARSI, FDDF, b. 291, R.F.P, Berna, 13.12.1971 (r. 15.12.1971).

[42] ARSI, FDDF, b. 291, N.A., (s.d.), (r. 5.7.1975).

[43] Ibid., P.B., Soletta, (s.d.) (r. 11.9.1975).

[44] Prendo in prestito questo termine da Marie J. Berchoud, RFI et ses auditeurs. “Chers émetteurs…”, Paris, 2001, presentato in Idem, Radio France Internationale et ses au(di)teurs. Le multiculturalisme en quête d’universalité?, in Quaderni, 47, Printemps 2002. p. 12 (online sur Persée).

[45] Marie J. Berchoud parla de “acte citoyen” dalla parte degli ascoltatori attivi, poiché parlano anche per gli altri. Marie J. Berchoud Radio France Internationale et ses au(di)teurs, p. 14.

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    By: Nelly Valsangiacomo

    prof. Ordinaria nella Facoltà di lettere (sezione di storia) dell’Università di Losanna. Le sue ricerche e i suoi insegnamenti vertono sulla storia sociale e culturale della Svizzera, con un particolare interesse per l’utilizzo delle fonti audiovisive ,per la storia delle società contemporanee e la storia della radio. Anima, con François Vallotton, il Pôle d’histoire audiovisuelle du contemporain (www.unil.ch/hist/hac ). Tra le sue recenti pubblicazioni Dietro il microfono. Intellettuali italiani alla radio svizzera (1930- 1980), Casagrande editore, Bellinzona, 2016 Collana Itinerari 18 e «La télévision suisse et ses émigrants.”Riuniti per Natale” (1963- 1974)», in B. Studer, C. Arni, W. Leimgruber, J. Matthieu, L. Tissot(Hg.), Die Schweiz anderswo – La Suisse ailleurs- AuslandschweizerInnen. SchweizerInnen im Ausland. Les Suisses de l’étranger – Les Suisses à l’étranger, Schweizerisches Jahrbuch für Wirtschafts- und Sozialgeschichte Annuaire Suisse d’histoire économique et sociale, 29 (2015).

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