A più di quarant’anni dalla pubblicazione delle prime traduzioni italiane di José Agustín Goytisolo (1928-1999), Matteo Lefèvre propone una selezione di liriche dell’autore più prolifico del gruppo catalano della ‘generazione del 50’. Si tratta degli scrittori della dissidenza, quelli che hanno vissuto sulla propria pelle le conseguenze della Guerra Civile e l’esperienza della dittatura franchista, sperimentando la violenza, l’ingiustizia, la censura e conseguentemente la rabbia e l’impotenza di fronte alla repressione. Per Goytisolo, come per Jaime Gil de Biedma e Carlos Barral, la scrittura diventa allora strumento di denuncia, testimonianza, responsabilità morale, impegno politico e civile.
La raccolta, introdotta da un esaustivo saggio critico di Lefèvre e da una nota di Carme Riera, rivela già nel titolo, Poesia civile, l’approccio tematico proposto dal curatore, che attinge all’intero itinerario poetico goytisoliano selezionando per il lettore italiano le pagine più significative di un autore, dalla «vocazione civile», che è ormai diventato un ‘classico’. Dalle sillogi in cui si palesa un dissenso nei confronti dell’ortodossia franchista e verso una borghesia conformista e ipocrita (Salmos al viento, 1958; Claridad, 1960; Algo sucede, 1968), non senza esempi di liriche ispirate a un maggior intimismo, si passa alle raccolte successive (Bajo tolerancia, 1974; Taller de arquitectura e Del tiempo y del olvido, 1977), nelle quali l’invettiva non colpisce più solo il «tirano de turno», ma si allarga all’intera società, imprigionata in un’indifferenza ormai generalizzata che vanifica l’impegno dello scrittore. Anche durante gli anni della transizione alla democrazia Goytisolo non abbandona l’impegno sociale, e alla riflessione retrospettiva associa uno sguardo comunque attento all’attualità (A veces gran amor, 1981; Sobre las circunstancias, 1983; Final de un adiós, 1984; El rey mendigo, 1988). L’inno elevato alla propria città (Novísima oda a Barcelona, 1993), la storia presente, l’osservazione della società contemporanea, la disillusione, raccontate con un tono marcatamente più malinconico, caratterizzano alcune delle ultime raccolte dell’autore (El ángel verde y otros poemas encontrados, 1993; Como los trenes de la noche, 1994; Cuadernos de El Escorial, 1995; Las horas quemadas, 1996).
Il dissenso e la critica sociale si manifestano spesso attraverso il mascheramento dell’ironia e della satira, ma l’intensità comunicativa del verso goytisoliano è comunque costantemente affidata al linguaggio, che nella ‘poesia civile’, come del resto in quella elegiaca, abbandona la significazione ambigua e diventa puntuale, esatto. La rabbia, o il desengaño, non si traspongono nella rappresentazione simbolica o allusiva, ma si fanno parola chiarissima, mai equivoca.
Certamente per Goytisolo, «poeta militante», come lo definisce Lefèvre, la chiarezza non è solo prerogativa dell’espressione, ma urgenza, bisogno stesso della coscienza, lucidità del pensiero, che trasforma la poesia in testimonianza. Così si legge emblematicamente nei versi di Yo invoco: Claridad, no te apartes / de mis ojos, no humilles / la razón que me alienta / a proseguir. Escucha, / detrás de mis palabras, / el grito de los hombres / que no pueden hablar. / Por sus golpes, por toda / la lucha que sostienen / contra el muro de sombra, / yo te pido: persiste / en tu fulgor, ilumina / mi vida, permanece / conmigo, claridad.(Chiarezza, non fuggire / i miei occhi, non spegnere / la luce che mi spinge / a proseguire. Ascolta, / oltre le mie parole, / il gridare degli uomini / che parola non hanno. / Per le botte, per tutta / la lotta che sostengono / contro il muro di ombra, /io ti chiedo: resisti / nel tuo fulgore, illumina / la mia vita, rimani / assieme a me, chiarezza).
La poesia di Goytisolo si delinea dunque come un cammino attraverso la storia sociale e civile della Spagna degli ultimi 50 anni, suggerendo un percorso di conoscenza che al contempo è anche forte emozione poetica