Recensione: M. Petithomme, Les Européens face au miroir turc. Les représentations sociales de l’adhésion de la Turquie à l’Unione Européenne en perspective comparée

L’Europa con o senza la Turchia? Con questo interrogativo esordisce il volume di Mathieu Petithomme, pubblicato grazie al concorso del Ministero spagnolo dell’Educazione e delle Scienze attraverso la borsa di studio Madariaga. L’allargamento dell’Unione Europea (UE) alla Turchia suscita in Europa e non solo in seno alle élites politiche, sentimenti di varia natura e dibattiti tali da differenziare nettamente il processo di adesione turco rispetto a qualsiasi altro allargamento di cui la UE sia stata protagonista. L’autore, nell’intento di decostruire l’oggettività delle ragioni del sì e del no, accompagna il lettore verso altri e diversi interrogativi, individuando e commentando le più frequenti modalità con le quali la candidatura turca è pensata, interpretata e rappresentata dalla popolazione e dalla stampa europea.

La Repubblica turca e la UE vantano una relazione politico-economica ultracinquantennale che, sulla base di un accordo di associazione, ha dato luogo al perfezionamento di un’Unione Doganale tra le parti (1996) e all’avvio del formale processo di adesione piena all’Unione a fronte dell’istanza presentata dal premier turco Türgüt Özal nel 1987.

Il processo di adesione turco era destinato a essere negoziato da un’Europa impegnata a gestire gli effetti degli allargamenti a Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986) ed a portare al successo l’Atto Unico Europeo (1987), un’Europa che si sarebbe presto trovata ad affrontare anche forti critiche alle istituzioni comunitarie, tacciate di non sufficiente democraticità, e la crescita dell’euroscetticismo. L’iter della candidatura si interrompe a fronte dal parere non positivo della Commissione europea, presieduta da Jacques Delors (1989), noto alle cronache come «il gentil rifiuto» e riprende solo nel dicembre 1999, mentre l’Unione sta ormai negoziando l’adesione di nazioni dell’Europa centro-orientale protagoniste attive della caduta dell’impalcatura sovietica, dimostratesi capaci di battere nettamente la Turchia in fatto di celerità del processo di adesione. Sulla base della positiva relazione della Commissione presieduta da Romano Prodi, è quindi un’Europa a Quindici che, alle soglie del XXI secolo, formalizza l’accoglimento della candidatura di Ankara riconoscendo alla Turchia lo status di «paese candidato all’adesione». Tale evento attirò l’attenzione mediatica, smosse l’opinione pubblica europea, e provocò in Turchia un’ondata di grande entusiasmo che diede vita ad un forte rinnovamento normativo e sociale andato in crescendo almeno sino alla fine del 2004, rimasto però molto poco conosciuto e considerato dalla gente e dai media al di qua del Bosforo. Nel dicembre 2004 i progressi turchi, riconosciuti invece dalle istituzioni comunitarie, indussero un’Europa a Venticinque ad autorizzare l’apertura dei negoziati per l’adesione, ritenendo soddisfatti i noti criteri politici di Copenaghen. L’ammissione ai negoziati, avviati nell’ottobre 2005 e tutt’ora in corso, ha rappresentato un altro importante passo di Ankara verso Bruxelles, ma ha anche determinato un inasprirsi dei posizionamenti mediatici e di opinione.

Mathieu Petithomme ha inteso dimostrare che una parte rilevante dei discorsi correlati all’adesione turca alla UE non deriva da una critica ragionata della posizione economico-sociale della Repubblica turca o delle riforme normative prodotte da Ankara in funzione del processo di adesione, bensì scaturisce da un vivido substrato di percezioni, stereotipi, supposizioni tipiche di un costrutto storico-culturale in cui rivestono un ruolo anche il rapporto degli europei con l’islam e l’approccio all’Europa stessa. Ponendosi nel filone dell’ancora poco sviluppata sociologia dell’integrazione europea, nata sostanzialmente insieme all’Eurobarometro, e seguendo l’impostazione scientifica di Émile Durkheim, l’autore ha ottimamente raggiunto il proprio scopo attraverso l’applicazione di una metodologia di ricerca rigorosa, molto ben definita a priori e dettagliatamente argomentata. La via prescelta per ottenere adeguati risultati è stata multicanale e ha implicato l’utilizzo parallelo di dati quantitativi e aspetti qualitativi. L’analisi è stata limitata nello spazio e nel tempo. I dati raccolti hanno interessato il contesto di tre nazioni comunitarie: due paesi fondatori, Francia e Belgio, e la protagonista principale del primo allargamento dell’allora Comunità Economica Europea, l’Inghilterra; i dati quantitativi sono stati desunti dalla pubblicazione di Eurobaromentro 63.4 del giugno 2005 (fonte visionabile nella sua completezza tramite il sito internet di Eurobarometro). L’analisi qualitativa è stata invece basata sulla stampa nazionale (per il Belgio è stata utilizzata stampa francofona) prendendo in considerazione il periodo 2004-2006 ed utilizzando delle codifiche di valore puntualmente ragionate ed allegate al volume. Lodevole e interessante risulta la scelta di aver incluso tra le fonti di stampa (undici quotidiani) non solo testate d’opinione, ma anche pubblicazioni popolari. Seguendo tale premessa l’autore, ponendosi nell’ambito della prospettiva sociologica tipica dei lavori di William Gamson, ha inteso rivalutare la variabile nazionale. All’interno del contesto nazionale, infine, sono state considerate variabili di tipo sociale in funzione dell’età, del livello di scolarizzazione, del posizionamento religioso/ateo-laico e di quello politico conservatore/progressista. Le nazioni scelte, risultano intrinsecamente differenti ed idonee ad effettuare un lavoro comparativo al fine di evidenziarne le eventuali comunanze.

Sulla base di tal contesto poggia il quid che rende la ricerca di Mathieu Petithomme inedita e particolarmente interessante: l’aver inteso indagare le correlazioni tra il posizionamento pro/contro l’ingresso della Turchia nella UE e l’idea stessa del progetto Europeo caratterizzante il singolo gruppo sociale preso a riferimento. L’autore ha pertanto indagato se e quanto i posizionamenti eventualmente pro e contro l’adesione turca all’Unione fossero correlati a diverse immagini della costruzione europea e conseguentemente di quello che la UE dovrebbe desiderare di diventare nel suo prossimo futuro. Un’Europa che continua ad allargarsi? Un’Europa che apre le porte ad un nazione laica ma mussulmana? Un’Europa politicamente integrata? Un’Europa federale o una cooperazione tra Stati sovrani? Un’Europa potenza militare o potenza civile?

Le diverse attitudini nei confronti dell’adesione turca alla UE, che emergono dalla ricerca, trovano perfetta correlazione in diverse visioni nazionali dell’Europa e del tipo di legittimazione che viene offerta al progetto europeo.

Ne emerge l’immagine di una Francia nettamente contraria all’adesione della Turchia, una Francia che non si è allontanata dall’impostazione tipicamente gollista di un’«Europa potenza», anche politicamente integrata, ma solo per affermare la Francia stessa sulla scena internazionale e in specifico antagonismo con gli Stati Uniti. In tale visione, l’adesione della Turchia, storicamente atlantista, minerebbe il disegno francese. La visione francese dell’Europa del domani che emerge dalla rappresentazione sociale prevalente è, inoltre, di tipo assimilazionista. Si possono accettare nuovi membri nella UE se sono potenzialmente assimilabili e possono dissolversi in una comunità pretenziosamente omogenea, connotata da un’«identità europea» che riferisce alle radici giudaico-cristiane, a confini definiti, ad una comunanza d’eredità storico-culturale. La contrarietà all’ingresso turco risulta pertanto una posizione di principio fondata sull’opposizione all’«altro» non assimilabile, diverso anche in fatto di credo religioso, ed alla possibilità che l’Europa diventi un’«Europa all’inglese».

In antagonismo alla posizione francese, l’Inghilterra si pone in deciso favore all’ingresso della Turchia nell’Unione. L’Inghilterra, in una visione di un’Europa prettamente intergovernativa, si dimostra ostile ad un’Europa integrata politicamente, propendendo invece per uno spazio di cooperazione tra Stati sovrani. In questo contesto, l’adesione della Turchia costituirebbe un’opportunità per incrementare mercati ed occupazione, per affermare la promozione di un progetto europeo alternativo a quello politico, nonché per consolidare il legame con uno storico alleato atlantista dalle risorse e dai confini geopoliticamente importanti. La visione britannica dell’Europa di domani che emerge dalla rappresentazione sociale prevalente è, inoltre, di tipo integrazionista. Si possono accettare nuovi membri se condividono politicamente principi e valori, da non ricercarsi però in una comune eredità culturale, che i britannici sostengono non esistere in Europa, ritenuta in ogni caso non necessaria per la costruzione europea. In quest’ottica l’Europa non è tenuta a giustificare confini né culturali né geografici. Il favore all’ingresso turco diviene pertanto una conseguenza fondata sull’apertura nello «spirito europeo» e sull’opposizione alla supremazia francese nel disegno comunitario. L’adesione della Turchia alla UE, infine, sarebbe per gli inglesi di prioritaria importanza in quanto potenziale strumento per contrastare il supposto clash of civilizations teorizzato da Samuel Huntington, facendo coesistere nel medesimo consesso un’Europa dalle radici giudaico-cristiane ed una nazione a netta maggioranza mussulmana.

Nel mezzo dell’antagonismo franco-inglese si trova, invece, la posizione del Belgio francofono, moderatamente favorevole all’ingresso turco nell’Unione. Il Belgio riflette, anche nei confronti del disegno Europeo, la propria vicinanza materiale alle istituzioni europee e la propria cultura federale di una nazione avvezza allo strumento del negoziato e della mediazione. Molto favorevole a un’Europa politicamente unita a struttura federale, il Belgio francofono appare favorevole ad aprire l’Unione a nuovi membri, il cui processo di adesione sarebbe il risultato di una prassi negoziale, ma antepone l’approfondimento all’allargamento. Il Belgio francofono si dimostra pertanto cauto sulla prospettiva di adesione turca, ritenuta possibile solo nel lungo periodo, senza che emergano particolari riferimenti alla connotazione religiosa o all’eredità culturale quali elementi a detrimento della Turchia, secondo un’impostazione prettamente “condizionalista”. Tale rappresentazione riflette essenzialmente la versione ufficiale delle istituzioni europee per le quali, una volta soddisfatte le condizioni per l’adesione e recepito globalmente l’acquis, ossia condivisi valori e regole, un Paese è pronto a unirsi all’avventura europea. La cautela belga risulta pertanto determinata dall’auspicio di consolidare l’approfondimento politico tra i membri UE prima di portare a compimento nuovi e importanti allargamenti al fine di non minare il disegno di un’Europa federata.

Nettamente rilevante, quindi, per il futuro dell’Unione, l’adesione della Turchia alla UE, così come la storia delle relazioni tra le due, risultano ancora troppo poco studiate, quanto troppo discusse in seno alla stampa d’opinione ed a quella popolare. Basato sulla sociologia politica, il lavoro di Mathieu Petithomme rappresenta oggi un importante contributo agli studi sull’integrazione europea, di utilità anche agli studiosi della costruzione europea appartenenti a differenti discipline. Il volume permette di meglio conoscere le ragioni dei diversi posizionamenti pro o contro l’adesione turca alla UE, sovente lontane dall’essere oggettive, bensì frutto di proiezioni, correlate anche all’immaginario Europeo, elaborate nei diversi ambienti socio culturali che caratterizzano le nazioni prese a caso di studio comparato.

L’adesione turca diviene pertanto un mezzo per porre gli europei di fronte a sé stessi contribuendo, indirettamente, a porre interrogativi in merito al nostro domani. Quale Europa vorrei? è l’interrogativo che Mathieu Petithomme lascia aperto nella mente del suo lettore.

 

 

 

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    By: Daniela Dalmasso

    Daniela Dalmasso, funzionario della Pubblica Amministrazione, ha conseguito nel 2005 il Master in European Studies promosso dal Centro di Ricerca sull’Integrazione Europea -CRIE- ora Centro di Eccellenza Jean Monnet, dell’Università di Siena. Nel 2011 consegue il dottorato di ricerca in “Storia del federalismo e dell’integrazione europea” presso l’Università di Pavia con la tesi Diritti umani delle donne e associazionismo femminile nel percorso della Turchia verso l’Unione Europea (1959-2009).

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