La ricerca sui media e sulle trasformazioni sociali è naturalmente anche una ricerca storica. Eppure in Italia una tale prospettiva, nel contesto ampio delle scienze della comunicazione, assume un ruolo relativamente marginale. La storia implica il rifiutare immediatamente, e dichiaratamente, un lavoro semplificante, a due dimensioni, schiacciato sul presente. Una disciplina che insiste sul campo mediale consapevole della propria complessità, ed usa il rigore della ricerca a un tempo storica e storiografica, implica un approccio “socialmente e storicamente sensibile”[1]. Come potrebbero a buon diritto sostenere da una parte Weber e dall’altra Braudel, una sociologia storica e una storia sociologica. Se ciò è vero, ancora oggi la ricerca storica – a fronte dell’importante sviluppo dei media studies nel mondo accademico italiano e internazionale – si deve confrontare in larga parte con il limite di un uso poco consapevole delle fonti mediali, nella loro eterogeneità e specificità, a partire da un confronto inappropriato e superficiale con le immagini fisse e in movimento prodotte tra Ottocento e Novecento attraverso l’interazione occhio macchina[2].
Da una parte si può registrare un ruolo debolissimo giocato, nella ricerca italiana, dalla storia dei media e l’assoluta marginalità della prospettiva storiografica nel dibattito italiano sui media, così come nell’impostazione dei corsi di laurea di Scienze della comunicazione. Dall’altra è fondamentale evidenziare un avvicinamento alle fonti di natura mediale, dalla fotografia fino alla articolazione multimediale dei depositi di memoria digitale, almeno naïf, improvvisato, troppo spesso meramente descrittivo e che non riesce ad andare oltre un’analisi di superficie. Nel contempo, la ricerca storica e la ricerca mediale lasciano registrare, a livello internazionale, sviluppi riconosciuti in termini di innesti interdisciplinari che nutrono e sviluppano nuove forme di studi comparativi.
Questo numero di Officina della storia propone un’ampia e per alcuni versi inedita riflessione sul rapporto tra storia e media, accendendo un focus specifico sulla fonte mediale. A partire dall’impegno importante della redazione della nostra rivista nell’organizzazione del seminario di riflessione e approfondimento Dalla storia dei media ai media come fonti di storia, tenuto all’Università della Tuscia il 13 ottobre 2013, nella prima parte del numero emergono una serie di contributi che, dall’audiovisivo al Web, tra analogico e digitale, approfondiscono e presentano alcuni casi di studio, utilizzando criticamente e con larga consapevolezza la fonte mediale per l’analisi storica mentre, nella seconda parte del numero, un gruppo nutrito di ricercatori esplora tutta la specificità del medium[3] in quanto fonte per la storia, la ricchezza dello strumento che traduce il passaggio da una forma all’altra, che è testimonianza evidente di trasformazione tecnologica e sociale, specificità mediale, fonte da interpretare con strumenti mediologici complessi.
Dunque prima di tutto il medium secondo l’accezione di Marshall McLuhan, nella sua diversità, nella sua grande eterogeneità, protesi artificiale, strumento e ambiente di comunicazione, ma anche fonte e documento per lo storico, matrice che organizza artificialmente suoni, immagini, testi e, sempre più spesso nel corso del novecento, fondendo immagini, suoni e testi. Il medium deve però essere interpretato – parlare e raccontare – diversamente. A partire dall’Ottocento i mezzi di comunicazione avviano una moltiplicazione dell’esperienza del reale, in ogni caso una esperienza mediata, riflessa, una registrazione della realtà in forma. E ci troviamo oggi costantemente di fronte ad una pluralità di forme: ogni documento storico, sia esso scritto, sonoro, visivo, audiovisivo, è una forma di registrazione e allo stesso tempo di rappresentazione degli eventi reali, forma d’archivio nella sua molteplicità espressiva e forma appunto che trasfigura e riorganizza. La ricerca storica che usa la fonte mediale, l’esperienza mediata, deve essere in grado di confrontarsi empiricamente e con cognizioni di causa con la stessa. Le competenze storiche e storiografiche devono affiancarsi alla sapienza mediologica: il ricercatore deve essere in grado di maneggiare adeguatamente testi e contesti, contenuti e costruzione semiotica degli stessi, restituendo tutte le possibilità parlanti e di reinterpretazione del medium, finanche nei diversi passaggi rimedianti del web.
La fonte storica presenta sempre una sua componente mediologica: un archivio potente, in termini di contenuti, ma poi rappresenta una sua specificità di “oggetto culturale”. Prima la stampa, la fotografia, poi il cinema, il fonografo, la radio, il telefono, la televisione, oggi il computer, i videogiochi, gli smartphone, non sono solo mezzi di comunicazione che contribuiscono al lavoro dello storico, ma possono diventare strumenti validi allo stesso tempo per ampliare gli orizzonti della ricerca, in una tensione tra il racconto della realtà, la riproduzione mediata, in una dialettica aperta tra il tempo presente, la rielaborazione della storia e la ricostruzione mediale. Come ha spiegato Alberto Abruzzese durante il seminario viterbese, quando emergono nuove forme esperienziali mediate sembrano costringerci a un ripensamento complessivo delle teorie e dei metodi d’indagine adatti allo studio della storia. La comunicazione mediata, mutando le relazioni sociali e la percezione del tempo e dello spazio, tende a trasformare anche la memoria e l’interpretazione storica. Ovviamente la singolarità degli strumenti per comunicare in quanto fonti per la storia non risolve la complessità e le innumerevoli possibilità di relazione tra media e storia. I media, a turno e con il destino inequivocabile del web, tra Ottocento e Novecento si fanno e si danno in quanto strumenti di occultamento e ostentamento di tracce, costruzione ed elaborazione di immaginario sociale. Sono agenti di storia e conta-storie[4], protesi presentificanti, ma anche e ancora oggi straordinari strumenti di ricerca altri dal linguaggio e con la possibilità di modellare altrimenti la realtà, lontana dal testo.
Si è detto: la fotografia, il cinema, la radio, la carta stampata, la televisione, persino le tracce sonore incise sul vinile. Ma oggi, ad esempio, l’uso del computer per accedere alle informazioni digitali attraverso il Web ha completamente alterato i processi euristici dello storico[5]. Il Web appare come un enorme giacimento documentario in grado di interagire con la nostra memoria privata e pubblica a un tempo, personale e collettiva, diventando una sorta di archivio della contemporaneità che smonta e mette in discussione la tradizione a favore di un consumo domestico e personale delle fonti. Lo slittamento effettuato con il Digital Turn implica non solo l’accesso semplificato a innumerevoli fonti e ad un’enorme quantità di dati e risorse, ma apre a nuove strade della ricerca, in grado di combinare fonti, dati e risorse in modi e quantità mai immaginabili prima[6]. La fonte informatica in campo storico non solo modifica immediatamente l’accesso alle fonti più diverse, dalle immagini all’audiovisivo, ma radicalmente offre nuove prospettive critiche nelle più recenti connessioni tra il computer e le evoluzioni sociali del web.
[1] K. Robins e F. Webster, Times of Technoculture: From the Information Society to the Virtual Life, Routledge, London 1999; tr. it. Tecnocultura. Dalla società dell’informazione alla vita virtuale, Guerini, Milano 2003, p.115.
[2] P. Burke, Eyewitnessing. The Uses of Images as Historical Evidence, Reaktion Books, London 2001; tr. it. Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Carocci, Roma 2002. Sull’evoluzione degli studi visuali, in tale contesto si rimanda sinteticamente ai quadri effettuati da: A. Pinotti, A. Somaini, Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano 2009; M. Dikovitskaya, Visual Culture. The Study of The Visual after the Cultural Turn, The MIT Press, Cambridge 2006.
[3] M. McLuhan, Understanding Media, McGraw-Hill, New York 1964; tr. it. Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 1967; E. Morin, L’esprit du temps, éd. Grasset, Paris 1962; tr. it. L’industria culturale. Saggio sulla cultura di massa, il Mulino, Bologna 1963.
[4] Cfr. G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano 2001.
[5] La bibliografia sul campo si va espandendo giorno dopo giorno. A mero titolo esemplificativo e come punto di riferimento si veda il prezioso contributo recente di R. Minuti, a cura di, Il Web e gli studi storici. Guida critica all’uso della rete, Carocci, Roma, 2015.
[6] J. van Ginneken, Understanding Global News: A Critical Introduction, Sage, London 1998.