«Devo solo preoccuparmi di tirar fuori l’inferno di ritmi che ho in me, che tutti noi giovani abbiamo dentro» afferma Mina nel 1959: proprio nel momento in cui le rassegne canore, trasmesse in televisione portano nelle case degli italiani gli “urlatori”, i cantanti italiani che sulla scia dei modelli americani, importano e riproducono i ritmi trasgressivi che celebrano le nuove istanze generazionali, la sessualità ed il tempo libero, ma soprattutto la rottura con il passato[1].
Quanto avviene in Italia si è già verificato in America dove, negli anni Cinquanta, il rock’n’roll ha accompagnato la crescita di un’intera generazione di giovani, interpretandone aspirazioni, umori, inquietudini[2]. Il regista americano John Waters è forse chi meglio ha saputo rappresentare attraverso il film grottesco Hairspray (1988) l’esplodere negli Stati Uniti della “minaccia” sessuale e morale provocata dal diffondersi nei salotti bianchi della musica nera[3]. Nella finzione cinematografica, causa scatenante del dilagare della trasgressione nella middle class americana è il fantomatico Corny Collins Show, una trasmissione musicale che dalle antenne di una tv locale lancia nuovi scatenati balli che mandano in delirio i giovani della città. Nella realtà, già nel 1956 genitori allarmati avevano interpellato autorità ed esperti di igiene mentale dopo aver visto i propri figli infervorarsi di fronte all’ancheggiare di Elvis Presley nello studio televisivo dell’Ed Sullivan Show. Ma è American Bandstand – il tv show dal successo straordinario in tutti gli Stati Uniti – ad incarnare la minaccia del beat, il ritmo impetuoso della musica nera che simboleggia trasgressione nella razza, nel sesso, negli atteggiamenti politici. Importato in Europa, il format americano viene rivisitato prima dalla televisione francese, la Rtf, a partire dal 1961 con Âge Tendre et Têtes de Bois, e dal 1962 in Italia, alla Rai-Tv, con Alta pressione che offre il piccolo schermo come una sala da ballo per un pubblico di adolescenti incantati di danzare insieme ai propri idoli e a dimenarsi nel madison, nel twist e nello yeyé[4].
Nell’Italia del boom, anche solo attraverso i testi delle canzoni lanciate in televisione appare evidente che le nuove modalità del dating erano profondamente mutate rispetto al passato repressivo, sessuofobico e moralista[5]; lo dimostrava Celentano con il trionfo di Ventiquattromila baci lanciata a Sanremo nel 1961, una canzone simbolo di un corteggiamento che insegue i ritmi incalzanti e le prorompenti dimensioni del consumo di massa[6]. Se i baci erano equiparabili a un consumo di massa, non poteva mancare la consacrazione canora dell’automobile, protagonista indiscussa del boom economico: Andavo a cento all’ora di Gianni Morandi, che offriva un esempio della commistione motore-amore, per di più in rima baciata. Qualche anno dopo, era la volta del telefono con Se telefonando Mina celebrava l’amore vissuto nella nuova era della teleselezione.
Più della radio, era proprio la Tv ad allacciare un rapporto diretto con l’industria del disco, a partire naturalmente dalla Fonit-Cetra – casa discografica sorta nel 1957 dalla fusione di Fonit e Cetra – facente capo al gruppo IRI[7], nella consapevolezza che la musica leggera aveva ormai raggiunto un mercato in una espansione tale da trarre «Fiumi d’oro da un piccolo solco», come titolava il Radiocorriere Tv, a metà 1961, evidenziando come il mercato discografico fosse arrivato a vendere 18 milioni di dischi di cui l’ 80% solo di musica leggera[8].
Alle stesse case discografiche appariva d’altronde quanto mai evidente che gran parte del successo di un brano si giovasse della risonanza nazionale che la televisione assicurava alle tante manifestazioni canore che si moltiplicavano in questi anni, il Festival di Sanremo, innanzi tutto, a cui si aggiungevano Il Cantagiro, Il disco per l’estate, Castrocaro, vere e proprie competizioni musicali che si affiancavano alle più informali rassegne, assai popolari tra i ragazzi, come il Festival di Ancona, quello di Velletri o di Ariccia. Il piccolo schermo luminoso offriva e assicurava la ribalta ai nuovi idoli della canzone che emergevano grazie ai tanti varietà e quiz musicali come Il Musichiere, Canzonissima, Giardino d’inverno e Studio Uno, per citare i più celebri, che assicuravano un feedback tra pubblico televisivo e mercato della canzone. E ancor più consentivano alla Rai-Tv di esercitare da una parte il ruolo di vero e proprio talent scout, selezionando le proposte musicali da lanciare in commercio, le nuove voci e consacrando i divi già noti; dall’altra di controllare e gestire la travolgente rivoluzione musicale, accettando la sfida della modernità. Spettava alla Rai-Tv governativa consacrare anche attraverso la radio e la televisione di Stato la “via italiana” al rock and roll, mediazione musicale tra modernità e tradizione. Era questo un processo che appariva naturale, in linea con la politica culturale di italian way of television già inaugurata con successo dai vertici democristiani di viale Mazzini; a differenza della televisione, prodotto ufficiale dell’America capitalistica, il rock and roll era tuttavia più difficile da imbrigliare. Certo risalendo la penisola la nuova moda musicale aveva già subito un primo fisiologico adattamento al contesto nazionale, che non sembrava aver però del tutto devitalizzato la carica “esplosiva” di questi ritmi dalla radice afroamericana[9].
Alta pressione era, non a caso, il titolo del programma musicale in onda sul neonato secondo canale televisivo della Rai, che si rivolgeva ai “giovani” senza la tradizionale pretesa pedagogica della Tv originaria, ma offrendo il piccolo schermo come una sala da ballo per un pubblico di teenager, incantati di danzare insieme a star già affermate della canzone e tra queste, gli appena sedicenni Rita Pavone e Gianni Morandi, veri e propri idoli dei giovanissimi[10]. Rintracciare una “Rock’n’roll, Italian way”[11] da lanciare nell’etere non era, dunque, solo una strategia necessaria per rispondere alle polemiche avanzate da critici e radioascoltatori che lamentavano l’ingombrante presenza nei programmi pomeridiani di canzoni in lingua inglese, accusa da tempo scagliata contro la musica jazz presente nel palinsesto radiofonico sin dai controversi anni dell’Eiar fascista[12], o che contestavano l’immoralità di alcuni testi più comprensibili[13]. Si trattava invece di un’operazione necessaria per contenere o, quanto meno, per gestire la richiesta di innovazione che proveniva dalle fasce più giovani della società italiana. Una politica culturale di mediazione tra progresso e conservazione già inaugurata dal nuovo amministratore delegato della Rai, l’ingegnere Marcello Rodinò; un “tecnico” chiamato nel 1956 a perseguire un indirizzo che pur restando fermamente pedagogico fosse più innovativo e sancisse una soluzione di continuità rispetto al precedente modello instaurato da Filiberto Guala. Marcello Rodinò incarnava insomma la ricerca di quel delicato equilibrio tra modernità e tradizione in sintonia con la “virata laica” impressa alla strategia editoriale della Rai, quando era iniziata l’apertura del dialogo tra sinistra democristiana e partito socialista per un possibile governo di centrosinistra[14].
La prima puntata, in onda il 16 settembre 1962, si apriva con la scena di un salotto borghese: «Un salotto qualsiasi, di una casa qualsiasi, in una città qualsiasi, in un giorno qualsiasi»[15], commentava la voce fuori campo del presentatore Walter Chiari, che appariva sin dalla prima scena come una figura al di sopra delle parti, una sorta di “mediatore” tra “vecchi” e “giovani”. E proseguiva: «È un salotto senza rimedio, quei salotti cosiddetti disperati, formato da un fegatoso, una signora sorda, una ragazza sbagliata, una pedagoga, un professore di matematica, una contessa e l’immancabile militare in pensione tutto d’un pezzo. Argomento trattato con acidità: i giovani di oggi». Le tante ansie e lamentele che affollavano nella vita quotidiana le conversazioni di genitori apprensivi ed educatori allarmati, venivano riproposte anche nella finzione: «…E soprattutto i giovani d’oggi non sanno divertirsi. Ai miei tempi ci si divertiva con un barattolino. […] A i miei tempi i genitori si dava del Lei, e le mani andavano baciate»; sotto accusa naturalmente la musica leggera: «E le canzoni d’oggi che negroidismi, che musica selvaggia! Ma vi ricordate le nostre belle canzoni di sempre?» [16].
Chiari appariva in un angolo, con in mano la cornetta di un apparecchio telefonico in procinto di chiamare il proprio anziano genitore, in cerca di conferme riguardo la profonda distanza tra generazioni e la disillusione provata dagli adulti nei confronti dei ragazzi dell’oggi; aveva però una smentita dal padre che rispondeva rigettando tanta preoccupazione: «Se fai così non ti vogliono più nemmeno pure in televisione». Si capiva che la voce “paterna” era quella della Rai- Tv, che si candidava a colmare il profondo contrasto generazionale tra i ragazzi e il mondo degli adulti. Arrivava poi la copresentatrice, la «svitata della canzone», Renata Mauro che si rivolgeva a Walter Chiari riportandolo al presente e proponendosi come una moderna «Virgilia» «del twist e del rock and roll»: «e come il Virgilio della Divina Commedia ti prenderò per mano e porterò alla scoperta di un mondo meraviglioso, ma non dar retta a quei signori, li muove soltanto il rimpianto di non essere più giovani e allora non trovano di meglio che criticare la gioventù, è accaduto sempre così e sempre accadrà così e fra cinquant’anni accadrà lo stesso anche a loro»[17].
Si spalancava così allestito nello studio un avveniristico scenario dove protagonisti erano teenager scatenati in un forsennato rock and roll che intonavano «I’m Ready to rock and roll»; in primo piano era uno spicchio di gioventù italiana i cui comportamenti si ribaltavano proprio come le ragazze venivano rovesciate in capriole dai propri partner, al ritmo di brani dai testi rigorosamente in inglese. La pista da ballo poneva alla ribalta un mondo progredito e colorato, animato da fiammanti flipper e juke-box, dove le ragazze si confondevano alle coetanee d’oltreoceano grazie a cotonate capigliature fissate con la lacca, il trucco marcato, le ampie gonne a pois; o addirittura apparivano come la fotocopia dei propri partner indossando calzoni e raccogliendo i capelli in una coda di cavallo. I teenagers erano tutti più simili, omologati dalle magliette rigate e, naturalmente, dagli irrinunciabili blue-jeans; quelli più fortunati alla guida di variopinte vespe e lambrette; talvolta inquieti con in bocca una sigaretta americana pronti a battersi per futili motivi proprio come gli idoli del cinematografo. Maschi e femmine si stringevano per strada senza più nascondersi, mimando gesti scomposti e sprizzando gioia di vivere, conquistando anche il mondo degli adulti: «Tutto ciò che riguarda i ragazzi piace»[18].
Finanche l’assenza del colore, non ancora introdotto alla televisione italiana, passava in secondo piano grazie all’eccitazione che ritmi, balli, motori e amori giovanili evocavano nell’immaginario degli spettatori, archiviando per la durata di qualche fotogramma una rigida quotidianità percepita sinora rigorosamente in bianco/nero.
L’avvenuta emancipazione era sancita dal programma attraverso la scelta delle esibizioni dal vivo, inaugurate da una formazione di rock and roll proveniente dalla Francia, la cui leader era donna, Gelou, che si presentava avvolta in attillati pantaloni neri accompagnata dalla propria band: i Machiavel’s Rock. Seguiva la performance del batterista nero Kenny Clark, uno degli inventori con Dizzie Gillespie del be bop, convocato per dimostrare che «anche a 40 anni si può ad essere ad alta pressione», che si esibiva attorniato da ragazzi incantati che lo ascoltavano seduti per terra con le gambe incrociate, commentando: «Avete visto? Ken Clark… Allora dove sono questi nonnini? Un ultra quarantenne che vi prende così per mano e vi porta in pochi minuti in un mondo di altissima pressione, mentre ci sono dei giovani che non sono invece giovanissimi».
Era il jazz il possibile tratto di unione tra vecchie e giovani generazioni: grazie ad esso padri e figlio «parlano lo stesso linguaggio, e guarda caso… si tratta di linguaggio musicale». Questo filo conduttore in grado di mettere in sequenza esperienze di vita così distanti veniva svelato, ad Alta Pressione, attraverso una jam session che da un motivo jazz approdava al rhythm and blues ed infine al rock and roll, mostrandone la naturale evoluzione. Per arrivare all’ennesimo stile musicale nero, la “soul music”, il cui ultimo hit, l’indiavolato Shout, veniva interpretato dal vivo da Carl Holmes e i suoi Commanders accompagnato dal jazzista Kenny Clark, provocando un tale entusiasmo nel giovane pubblico da spingerli ad invadere l’ipnotico palco a scacchiera scuotendosi e agitando le braccia[19].
Di nuovo Walter Chiari entrava in contraddittorio con i teenager, lanciando una sfida tra vecchio e nuovo: «Ragazzi basta con questo ritmo»; ma i giovani rilanciavano: «anche in lui c’è ancora qualcosa di recuperabile: facciamogli vedere come siamo!». Si sollecitavano i futuri cittadini a rintracciare una giusta “sintesi”, la giusta misura «fatta a suo tempo, per un certo tempo»: «un giovane deve stare attento a quello che sono certe misure, certi limiti nei quali si può muovere. Perché l’unico svantaggio di un giovane è di non capire qual è la mezza misura. E ve lo dice un campione di mancanza della misura che sono io […]. Ben venga il twist! Bello! Che però non vi assorba completamente». Walter Chiari chiamava in causa i tanti ragazzi che si contorcevano finanche per strada, sembranti provenire da «un mondo arcano», con gli sguardi sofferti da farli apparire dei «San Sebastiano trafitti […] ho tenerezza per loro […] sembrano avere una malattia contagiosa […] non si toccano!». In fondo, si trattava di «giovani che mangiano tutti i giorni eppure hanno l’aria sofferente, angosciata», come i nuovi cantautori, ai quali tutto sommato la tv democristiana preferiva il rock allegro e scanzonato di Gaber e Celentano.
O, meglio ancora, assai consona alla politica culturale della Rai-Tv era l’innocua gioiosità di Gianni Morandi che, accolto con acclamazione dai ragazzi in studio, compariva sulla scena rotolandosi per terra, salendo e scendendo da uno scivolo, o ancora appendendosi ad un ombrellone, ballava con coetanee e coetanei infrangendo ogni barriera tra artista e pubblico. Era evidente che si trattava di un giovane borghese dal viso pulito, e non di un minaccioso portatore di nuovi costumi; “discolo” quanto basta, ma non oltre, per essere affettuosamente bacchettato dall’ “adulto” Oreste Lionello: «Basta con questa frenesia, con questi forsennati. Possibile che per questi giovani non ci sia mai un momento di sentimento». Gli faceva eco Walter Chiari che scimmiottando l’uomo della pietra, osservava: «La canzone è la reazione immediata di sentimenti popolani», «allora avevamo gli ominidi, oggi abbiamo i celentanidi e peppiniello da Capri». Lanciava, dunque, l’ultimo ospite della puntata di esordio: Peppino di Capri che intonando Let’s twist again, importava ufficialmente alla televisione italiana il nuovo “virus” del twist; una moda che consentiva ai giovani di dimenarsi felici. Il cantante si rivelava abbastanza abile per far fronte alle provocazioni del giovane pubblico che gli chiedeva di interpretare l’ultima canzone di successo neroamericana – «non la puoi conoscere, non la conosci!!»; e invece Peppino intonava Don’t play that song, il motivo richiesto inseguendone il ritmo sincopato schioccando le dita. Chiudeva la propria partecipazione al programma televisivo interpretando il successo americano Speedy Gonzales provocando un’esplosione di gioia tra i giovani spettatori e conquistando le ragazze presenti che, scuotendo la testa e lasciandosi andare in movenze scomposte ed audaci, lanciavano sguardi languidi al proprio beniamino. D’altronde, come si sottolineava sul Radiocorriere Tv, «che cos’hanno in comune Peppino di Capri, il nuovo cantautore bolognese Gianni Morandi o i twisters di Carl Holmes? Hanno in comune la caratteristica di rappresentare, in certo senso, una “rottura” rispetto alla produzione musicale corrente»[20].
Lo stesso modello di televisione pedagogica veniva sovvertito negli studi di Alta Pressione; la quarta puntata si apriva con la telecamera fissa su una lavagna rovesciata di un’aula scolastica che accoglieva i ragazzi del pubblico ripresi nel loro primo giorno di lezione: «Ragazzi sui banchi di scuola che ballano il twist», osservava la voce fuori campo; nei loro occhi sognanti si rispecchiavano le immagini variopinte che rimbalzavano dalle pagine delle riviste furtivamente aperte sulle ginocchia, appena celate dal banco; la stessa classe appariva loro come un piccolo frammento d’America, con i suoi fascinosi ritmi e frenetici balli[21].
Sembravano passati anni luce dal primo giorno di scuola che aveva invece segnato le generazioni del passato, lo ricordava Walter Chiari. Giorni scanditi dal tono solenne della voce di maestri che apparivano ormai “antichi”, impegnati anche attraverso il solo appello, da cui sempre emergeva qualche cognome dalle «nostalgie risorgimentali», a infondere nei propri allievi l’amor di patria e la profonda devozione per le «radici nazionali». Si affidava ancora alla simpatia e al sarcasmo del giovane presentatore lo spinoso compito di dimostrare che «le generazioni, gli scolari in fondo, non sono così lontani!». Un compito non facile soprattutto se si considera che il mondo politico stava discutendo sulla riforma scolastica nella quale si prevedeva l’abolizione dell’insegnamento obbligatorio del latino. In Alta Pressione, il dilemma veniva risolto intonando un improbabile twist (let’s twist again), con i versi cantati in latino. A presentarlo alla classe, era un’austera insegnante, la Mauro, il cui programma di studio era però incentrato sulle questioni inerenti i cantanti stranieri e le interrogazioni erano occasione per danzare rock and roll, twist e yeyé[22].
In fondo anche la poesia – «Vogliamo ascoltare un po’ di poesia?» – poteva conquistare il pubblico di teenager se proposta nell’ambiente soffuso di un moderno studio televisivo. Era questa un’operazione affidata a Giorgio Albertazzi, che si presentava sulla pista da ballo in un’atmosfera «spontanea e naturale», recitando alcuni passi di Montale, quasi si trattasse di un blues. Lo stesso Albertazzi confidava al giovane pubblico: «ero un po’a disagio perché stavo in piedi, da un po’ di tempo ho capito che la poesia andrebbe cantata e ballata, ma per far questo ci vorrebbe un mondo diverso». L’attore recitava i versi di Elisabeth Browning seduto in mezzo ai ragazzi come si trattasse delle parole di un’attuale love song «amami soltanto per amore, si ama così per sempre per l’eternità». D’altronde, «C’è una poesia che si presta di più ad esser collettiva, detta in cerchio. Che ha le sue origini in Africa, una poesia negra che si basa sul jazz, per far questo bisognerebbe avere gli strumenti»; era questo lo spunto, con l’accompagnamento di chitarra e percussioni, per dar vita a una sorta di moderno happening poetico-musicale. Si proseguiva con Prevert: «poeta che ha anche scritto parole per canzoni…non per questo facili. Questo amore… se ne potrebbe fare una splendida canzone» osservava il quarantenne Albertazzi, che ne recitava i versi quasi si trattasse di una canzone, conquistando gli sguardi incantati dei ragazzi[23].
La vera sintesi tra conservazione e modernità, così come meglio concepita dalla Rai democristiana arrivava, tuttavia, non da un poeta rivisitato in chiave moderna, ma dal cantante di rock and roll Ricky Gianco: «Abbiamo visto l’Alta pressione di ieri e di oggi, sapete cosa ci preserva il futuro? Ricky Gianco!» che interpretava il motivo del pezzo Don’play that song con il titolo italiano Nel regno del Signore, i cui versi recitavano Tu vedrai la luce del sol, l’azzurro del mar le stelle del ciel, nel regno del Signore. La luce verrà, dal lato del ciel, non disperar lui ti perdonerà, perché nel suo regno ti porterà[24].
Si lanciava così un gancio all’ultima puntata che prometteva «un’alta pressione da far spaccare tutto!»; la grande attrazione prevista per chiudere la serie di trasmissioni era Adriano Celentano che presentava un nuovo brano, vera e propria prosecuzione di quello già cantato da Gianco che sin dal titolo sintetizzava a pieno non solo la missione del programma Alta Pressione, ma l’intera politica democristiana di “italian way of rock and roll”: una via nazionale alla modernizzazione che non si discostasse dai valori tradizionali, innanzi tutto cattolici; si trattava del pezzo del cantante nero Ben E. King Stand by me, che perdendo ogni promiscuità del proprio testo in lingua inglese diveniva nella versione italiana di Celentano Pregherò[25].
ABSTRACT
In the late 50’s, the contagion of rock’n’roll music spread throughout the Italian national territory.Through the diffusion among the young people of the new juke boxes, of the gleaming new cover of the 45 records rpm and of the portable record-players, rock’n’roll became the soundtrack of the Italian “great transformation”, the sudden and powerful economic boom.Those who felt the impact of modernization more than anyone else were the teenage girls and boys, who grew up during the hard years of the economic reconstruction of the country. Unlike their parents and older siblings, they had not experienced the traumas of the Second World War and of the civil war that, between 1943 and 1945, had split Italy in two between the fascists and the anti-fascists. In many cases these young people had passed part of their childhood in the athletic and recreational organizations of the parishes or the political parties, but still, for the most part, outside any militant party organizing. So they had not absorbed the culture of ideological conflict between the communists and the anti-communists that poisoned the Italian political atmosphere during the 1940s and for all of the 1950s. It is not hard to believe, therefore, that these young people who came of age in a more democratic Italy, that assured them the novelty of freedom of thought, were more open to accept the myths of the new prosperity synthesized in the “American way of life”. Rock‘n’roll music, with its transgressive charge, accelerated the teenage takeover of the music industry and, in a striking contrast with the melodic tradition that was still prevalent, marked a cultural discontinuity. As this break was perceived as a threat by the political class they tried to devitalize it by promoting an “Italian way of rock and roll” that became mass produced, harmonious in many ways to the national musical tradition. A sort of provincial rock with a little echo abroad, but with a large success among the Italian consumers and coherent with the values promoted by the Italian government led by the catholic majority party of the Christian Democrats (who throughout the Fifties and Sixties controlled all the radio and television broadcasting and part of the music industry).
Hence in the mid-1950s, in the new context of economic prosperity, along with the “red scare”, there was for the government a new concern: a too rapid modernization which was breaking the traditional values. The government took prudent measures to control the symbols and rhythms of such a disruptive modernity, trying to contain them in traditional frames related to the new rhythms. RAI-TV -the public radio and television broadcasting controlled by the government- tried to reconcile the unstoppable push of modernization that arrived from the American media with the more reassuring conservative national traditions. One of the significant examples of the role of RAI-TV was the musical television program “Alta pressione” broadcasted in 1962, inspired by American Bandstand the television show that had brought rock’n’roll music into American television. In Italy, “Alta Pressione” was geared toward young people maintaining the traditional pedagogical context of original national TV. As a result, in the last episode of “Alta Pressione”, broadcasted on October 1962, the singer Adriano Celentano performed his rendition of the Ben E King’s tune Stand by me, which in the Italian cover was entitled Pregherò(I will pray). Renouncing in its lyrics any sexual or physical reference, which belonged to the original African-American version, Adriano Celentano’s song Pregherò perfectly interpreted the “Italian way of rock’n’roll” promoted by the catholic majority party of the government.
Keywords :
Rai-Tv
Rock’n’roll
Cold War
Political Parties
Modernization
Parole chiave
Rai-Tv
Rock’n’roll
Guerra Fredda
Partiti Politici
Modernizzazione
[1] Cfr. M. Merolla, Rock’n’roll, Italian way: propaganda americana e modernizzazione nell’Italia che cambia al ritmo del rock, 1954-1964, Coniglio Editore, Roma 2011.
[2] Cfr. A. Portelli, «L’orsacchiotto e la tigre di carta. Il rock’n’roll arriva in Italia», in Quaderni Storici, 58 (1985), pp. 135-147; F. Minganti, Rock’n’roll & beat. L’Italia e la musica giovanile americana, in a cura di P. P. D’Attorre, Nemici per la pelle. Sogno americano e mito sovietico nell’Italia contemporanea, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 429-430; M. Merolla, La musica. O della condizione giovanile, in a cura di M. Morcellini, Il MediaEvo. TV e industria culturale nell’Italia del XX secolo, Carocci, Roma 2002, pp. 451-468; M. Merolla, «Anche le canzoni fecero boom» in Reset, n. 85 (2002), pp. 35-39; Id. Rock’n’roll, Italian way: propaganda americana e modernizzazione nell’Italia che cambia al ritmo del rock, 1954-1964, Coniglio Editore, Roma 2011, L. Gorgolini, Riti e linguaggi giovanili negli anni della rivolta, in a cura di P. Sorcinelli, Gli anni del rock, 1954-1977, Bononia University Press, Bologna 2005, pp. 26-69.
[3] Cfr. M. Merolla, «Anche le canzoni fecero boom» in Reset, cit., pp. 35-39: 35.
[4] Cfr. P. Fabrizi, «Un nuovo varietà musicale con Renata Mauro: Alta Pressione», in Radiocorriere Tv, n. 38 (1962), pp. 20-21; F.B., «Seconda puntata di “Alta Pressione”. Un varietà per i “teen-agers”», in Radiocorriere Tv, n. 39 (1962), p. 21; Tab, «Ospiti stasera di “Alta Pressione” Mina e Walter Chiari», in Radiocorriere Tv, n. 40 (1962), p. 21; B. B., «Dopo quattro settimane puntata d’addio per “Alta Pressione” », in Radiocorriere Tv, n. 42 (1962), p. 21.
[5] Cfr. M. Merolla, Italia 1961. I media celebrano il Centenario della nazione, Milano, Franco Angeli, 2004.
[6] Ivi, p. 39.
[7] Ibid.
[8] Cfr. P. Novelli, «Fiumi d’oro da un piccolo solco», in Radiocorriere Tv, n. 24 (1961), p. 9.
[9] M. Merolla, Rock’n’roll, Italian way, cit., pp. 16-21.
[10] Ivi, pp. 114-120.
[11] Ivi, p. 14.
[12] Sulle ambivalenze del rapporto jazz e fascismo si veda a cura di P. Cavallo e P. Iaccio, Vincere. Vincere. Vincere. Fascismo e società italiana nelle canzoni e nelle riviste di varietà 1935- 1943, Napoli, Liguori, 2003, pp. 38-50; M. Merolla, Jazz and Fascism. Contradictions and ambivalences in the diffusion of Jazz Music under the Italian fascist dictatorship (1925-1935), in ed. by B. Johnson, Jazz and Totalitarianism, Routledge, New York and London 2016, pp. 31-49.
[13] Cfr. G. Isola, Cari amici vicini e lontani. Storia dell’ascolto radiofonico nel primo decennio repubblicano (1944-1954), La Nuova Italia, Firenze 1995, pp. 339- 347.
[14] Cfr. F. Chiarenza, Il cavallo morente. Storia della Rai, Franco Angeli, Milano 2002, p. 81.
[15] Videoteca Centrale Rai, Secondo Canale, Alta pressione, di Francesco Luzi e Massimo Ventriglia, regia di Enzo Trapani, 1ª puntata, 16/9/1962.
[16] Ibid.
[17] Videoteca Centrale Rai, Secondo Canale, Alta pressione, di Francesco Luzi e Massimo Ventriglia, regia di Enzo Trapani, 1ª puntata, cit.
[18] Ibid.
[19] Cfr. M. Merolla, Rock’n’roll, Italian way, cit, pp. 114-120.
[20] F.B., «Seconda puntata di “Alta Pressione”. Un varietà per i “teen-agers”», in Radiocorriere Tv, cit.
[21] Videoteca Centrale Rai, Secondo Canale, Alta pressione, di Francesco Luzi e Massimo Ventriglia, regia di Enzo Trapani, 4ª puntata, 7/10/1962.
[22] Ibid.
[23] Ibid.
[24] Ibid.
[25] M. Merolla, Rock’n’roll, Italian way, cit, p.120.