Non solo canzonette è il titolo di questo volume che traccia una storia dell’Italia della ricostruzione e del boom economico attraverso l’evoluzione e la storia del Festival di Sanremo. Ne emerge una vicenda non solo musicale ma sociale e politica, i cui temi principali coincidono con i ritardi e le accelerazioni nei confronti della modernizzazione che la Rai governativa si trova ad affrontare negli anni del centrismo, prima, e nella lunga transizione verso il centrosinistra, poi. Una storia di resistenze e slanci, e una sfida nei confronti dei partiti di massa, che la canzone interpreta ed amplifica. Il volume si apre con una nota metodologica sulla complessità del medium canzone, attraverso il paradigma elaborato da Marco Peroni di “strumento” di narrazione storiografica, “fonte” per la ricerca e “agente” di trasformazioni politico-sociali in divenire[1]. Segue poi una ricostruzione tra “storia e cronaca” della rassegna, che affonda le sue radici nelle esperienze locali del Festival di Piedigrotta, a Napoli, e del Festival di San Giovanni, a Roma. L’unico precedente significativo in terra ligure prima del 1951, anno in cui nasce il festival, sembrerebbe essere il Festival partenopeo di canti, tradizioni e costumi che nel 1931, per volontà di Ernesto Murolo ed Ernesto Tagliaferri, si svolge proprio a Sanremo. Nella distanza che separa questa manifestazione e la nascita del Festival vent’anni dopo, l’autore legge “la novità di un festival della canzone finalmente italiana” in tutta la sua rilevanza (p. 18). Tuttavia, per molti aspetti, si può forse ritenere che il passaggio che intercorre tra “la rassegna di canzoni napoletane” e il festival nazionale a Sanremo, non è lo stesso che marca una soluzione di continuità tra la canzone prettamente dialettale e quella nazionale. In tal senso, sarebbe interessante approfondire quanto l’approdare a Sanremo, nel 1931, della canzone partenopea sia il riconoscimento di ciò che di fatto la melodia napoletana – prestigioso suono ufficiale e immagine dell’Italia all’estero – pienamente interpreta già negli anni del regime fascista. Vale a dire: la grande canzone melodica nazionale che, nel secondo dopoguerra, Sanremo consacra e rende istituzionale. E quanto invece l’esclusione della canzone dialettale da Sanremo, nel secondo dopoguerra, sia forse da attribuire alla più generale esclusione dal paradigma sonoro istituzionale – che la Rai democristiana promuove e interpreta- dei canti politici e sociali spesso di carattere locale assorbiti nel canzoniere resistenziale che ora le sinistre rilanciano.
La seconda parte del lavoro parte invece da un’analisi dei brani che la manifestazione sanremese consacra come canzoni-simbolo dei grandi temi che segnano l’Italia della ricostruzione e del miracolo: il persistere della tradizione, l’apparire del tema “politica” anche nella canzone di consumo, la dirompente americanizzazione, la questione femminile e la laicizzazione della società. Lo studio si conclude con una bibliografia di carattere nazionale, quasi esclusivamente, e un apparato di fonti a stampa e canzoni citate.
Si tratta di un volume che si inserisce nel filone di studi che in Italia, da qualche anno, sta mettendo in luce la rilevanza storiografica della musica leggera e popolare attraverso una chiave di lettura critica e interpretativa di canti politici e sociali[2], della programmazione radiofonica [3], dell’uso politico del jazz ma anche del pop e del rock nella propaganda sonora negli anni della guerra fredda culturale [4]. Allo stesso tempo questo lavoro rientra nell’ampia cornice bibliografica che affianca la storia della canzone nazionale all’evolversi del trinomio politica-media-società in Italia[5], sottolineandone questa volta con puntualità e decisione il presupposto e la ricaduta politica. Se insomma Capozzi[6] ridimensiona notevolmente la portata politica della musica leggera e del pop in particolare, Campus conduce l’operazione opposta. D’altronde Sanremo è a tutti gli effetti in Italia un festival non solo nazionale, ma ancor più istituzionale che riflette specularmente negli anni della Ricostruzione e del miracolo il legame tra Rai-tv e compagine governativa in termini canori. Interessante sarebbe in tal senso inaugurare nuove ricerche sulla storia di Sanremo e delle sue canzoni, utilizzandole non solo come fonti, agenti e strumenti di lettura per la storia dell’Italia repubblicana, ma anche come singolare caso di studio nella storia dei Festival musicali nel più vasto contesto internazionale del secondo dopoguerra[7]. Manifestazioni (Newport, Woodstock…) che proprio negli anni Cinquanta e Sessanta emergono e si moltiplicano come espressioni della controcultura, sì musicale, ma anche e soprattutto come esperienze di antagonismo politico, sociale e culturale. L’Italia con il suo Festival di Stato, anche sotto questo aspetto, si conferma come un’anomalia nel panorama occidentale della guerra fredda culturale.
[1] M. Peroni, «Il nostro concerto». Storia contemporanea tra musica leggera e canzone popolare, La Nuova Italia, Milano 2001.
[2] S. Pivato, Bella ciao: canto e politica nella storia d’Italia, Laterza, Roma 2007.
[3] G. Lanotte, Il quarto fronte : musica e propaganda radiofonica nell’Italia liberata, 1943-1945,Morlacchi, Perugia 2012; Id., Segnale radio : musica e propaganda radiofonica nell’Italia nazifascista, 1943-1945,Morlacchi, Perugia 2014.
[4] M. Merolla, Rock’n’roll, Italian way : propaganda americana e modernizzazione nell’Italia che cambia al ritmo del rock, 1954-1964, Coniglio Editore, Roma 2011.
[5] Ci si riferisce tra gli altri a: E. Berselli, Canzoni: storie dell’Italia leggera, Il Mulino, Bologna 2007; G. Borgna, , Storia della canzone italiana, Mondadori, Milano 1992; F. Liperi, Storia della canzone italiana , RAI-ERI, Roma 1999; I. Piazzoni, La musica leggera in Italia dal dopoguerra agli anni del boom : cultura, consumo, costume, L’ornitorinco, Milano 2011; S. Pivato, La storia leggera: l’uso pubblico della storia nella canzone italiana, Il Mulino, Bologna 2002.
[6] E. Capozzi, Innocenti evasioni. Uso e abuso politico della musica pop (1954-1980), Rubbettino, Soveria Mannelli 2013.
[7] A. Fléchet, P. Goetschel, S. Jacotot , P. Hidiroglou, C. Moine, J. Verlaine (a cura di), Une histoire des festivals, XXe-XXIe siècle, Publications de la Sorbonne, Paris 2013.