Approdato all’Università nel 1970 come docente di Storia del giornalismo, Isnenghi ha continuato a rivolgere gran parte dei suoi interessi ai luoghi, alle strutture, ai linguaggi della comunicazione, intesi sia come oggetti di studio che come strumenti di intervento nella sfera pubblica. Insegnante, conferenziere, divulgatore (lo si può vedere su Youtube, alle Lezioni di storia allestite lo scorso anno all’Auditorium di Roma: link), organizzatore culturale, direttore, condirettore e animatore di riviste, Isnenghi è stato in fasi diverse collaboratore del “Mattino” di Padova e del “Manifesto”, della “Repubblica” e del “Corriere della Sera”; ma ancor più spesso i suoi concetti e punti di vista si sono imposti per forza intrinseca nell’arena dell’uso pubblico della storia, come contravveleno alle tante banalizzazioni cui un frettoloso e interessato ricorso al passato ci ha abituato. Il suo ultimo Garibaldi fu ferito – una “saggina” Donzelli – ha bucato come una freccia tanto la retorica che l’antiretorica delle celebrazioni garibaldine.
Ne L’intellettuale militante sono raccolti saggi che si ispirano ai principali temi di ricerca di Isnenghi – la politica, le guerre, la memoria, i linguaggi – insieme a contributi di carattere memorialistico che ne ripercorrono l’itinerario culturale e propongono dei bilanci storiografici. Dal libro abbiamo tratto alcuni brani della testimonianza di Claudio Pavone – resa in forma di intervista a Simon Levis Sullam – che illustrano alcuni momenti significativi della biografia intellettuale dell’amico e collega, e riflettono sull’eco che essi ebbero nel dibattito pubblico sul passato. (Alessandro Casellato)
*da Claudio Pavone, “Comprendere il nemico” e varie altre cose. Colloquio su fascismo, guerra civile, guerre negli studi di Mario Isnenghi, pp. 239-247
L’ambiente [in cui hai conosciuto Isnenghi] era quello degli Istituti per la storia della Resistenza?
L’ambiente era quello degli Istituti e, più in generale, di quella che allora si andava formando e si autodefiniva come la storiografia della nuova sinistra postsessantottesca. Tra le tante cose che succedevano in quell’epoca, fu avvertita l’esigenza di guardare al passato in maniera non tradizionale, tale cioè che in qualche modo facesse meglio comprendere il presente che si stava vivendo con radicali speranze di mutamento. Per me e altri della mia generazione (altri ancora invece si spaventarono) era come il riaprirsi del campo del possibile dopo le chiusure postresistenziali. Per Mario si trattava del dischiudersi per la sua generazione di nuovi ed entiusiasmanti orizzonti. Indubbiamente gli Istituti per la storia della Resistenza, a cominciare dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, svolsero una funzione aggregante e di scoperta di nuovi talenti storiografici. Non c’è quindi da stupirsi se Isnenghi, partecipe di questo moto generale molto sfaccettato, entrasse a un certo punto sia nel Consiglio direttivo dell’Istituto nazionale, sia nella redazione della “Rivista di storia contemporanea”.
Quindi tu identifichi questa storiografia della “nuova sinistra” con la “Rivista di storia contemporanea” ?
Identificare è troppo. Ma è indubbio che la rivista abbia svolto un ruolo molto importante. Essa era nata su iniziativa di Guido Quazza, che in questo campo fu un caposcuola e per lungo tempo fu preside della Facoltà di Magistero della Università di Torino. Isnenghi non entrò subito nella direzione, non è fra i soci fondatori, ma si aggiunse in seguito al gruppo torinese. Proprio come me, del resto. Può essere utile il confronto fra la composizione iniziale e quella finale della direzione della rivista. All’inizio era composta da Valerio Castronovo, Enzo Collotti, Enrica Collotti Pischel, Lisa Foa, Guido Neppi Modona, Guido Quazza, Giorgio Rochat, Massimo L. Salvadori, Gianni Sofri, Nicola Tranfaglia. Tra i nomi dell’ultimo fascicolo non figuravano più Castronovo, Neppi Modona, Salvadori, Tranfaglia, e vi erano invece, entrati in tempi diversi, Adriano Ballone, Carlo Cartiglia, Paul Corner, Mario Isnenghi, Adriana Lai, Fabio Levi, Umberto Levra, Peppino Ortoleva, Claudio Pavone, Mariuccia Salvati.
Abbiamo ricostruito, ma correggici, che tu entrasti nella redazione della rivista nel 1978 e Isnenghi ci arrivò nel 1981. […] Qualche anno dopo, nel 1985, tu e Isnenghi partecipaste, assieme ad altri, all’importante convegno della Fondazione Micheletti di Brescia sulla Repubblica Sociale Italiana.
Quello fu un convegno veramente importante, perché fu la prima volta, che io sappia, che la storiografia di matrice antifascista affrontò direttamente il problema della RSI. Oggi lo si deve ricordare anche perché le accuse che sono state rivolte a quella storiografia, la così detta “vulgata”, di non essersi voluta occupare seriamente del fascismo di Salò sono false. Fu, quella di Brescia, una delle prime occasioni in cui ci si disse: vediamo un po’ meglio “chi erano” i fascisti di Salò e perché fecero quella scelta. I risultati, raccolti l’anno successivo in un volume degli “Annali” della Fondazione, furono importanti Ricordo che Isnenghi fece una bella relazione sui giornali e la propaganda della RSI.
Quello fu anche il convegno in cui tu parlasti, forse proprio una delle prima volte, di “guerra civile” a proposito del 1943-45 inItalia.
Verissimo. Mi rimuginava in testa questa idea che mi appariva ovvia, ma il libro era ancora lontano. Feci appunto una relazione sulla lotta fra la Resistenza e la RSI come “guerra civile”. Ricordo che ne ebbi una terribile lavata di capo da parte di Giancarlo Pajetta che intervenne dicendo risolutamente che non era vero, che quella era stata una guerra di liberazione nazionale, una guerra di tutto il popolo italiano. Pajetta era una persona che io rispettavo molto, ma su questo punto era di una intransigenza ferrea e non accettava discussioni. Invece Isnenghi, quando poi nel 1991 uscì il mio libro Una guerra civile, lo valorizzò molto e mi invitò a presentarlo a Venezia nella sua Università. Eravamo insomma molto d’accordo su questa impostazione. […]
Possiamo parlare un po’ della “Rivista di storia contemporanea”?
Alcuni suoi allievi hanno provato ad approfondire questo tema, anche dietro stimolo suo. E con la “Rivista di storia contemporanea”, poi, come andò a finire?
Si, Mario è stato senz’altro uno dei primi a porsi questo problema, che ha costituito uno dei terreni preferiti della sua ricerca. Penso anche al tema dei combattenti in generale dal punto di vista delle loro motivazioni, emozioni (rassegnazione compresa), ideologie esplicite o implicite, provenienze sociali e culturali. Perciò Mario ha dedicato attenzione sia alla stampa “alta” che a quella “bassa” connesse alla guerra, nonché agli apparati della propaganda e alla ricezione di quella. E’ stato sempre interessato alla immagine di sé che davano i protagonisti, sapendo distinguere fra le manifestazioni di convinzioni profonde, la propaganda più spicciola e la ricezione di entrambe. Isnenghi queste cose le ha anche teorizzate. […]
Per tornare agli studi di Isnenghi sul fascismo e all’idea di studiare il “nemico”: ci sono altri argomenti, accanto a quello sul fascismo di Salò, che vi hanno, alla fine, portato su un terreno di lavoro comune? Ad esempio Intellettuali militanti, intellettuali funzionari?