Intervista a Claudio Pavone: Fascismo, guerre e guerra civile: il percorso Mario Isnenghi

Un gruppo di amici e colleghi di Mario Isnenghi ha pubblicato pochi mesi fa, in occasione del suo settantesimo compleanno, un libro dal titolo L’intellettuale militante. Scritti per Mario Isnenghi (Nuova Dimensione, Portogruaro 2008). Il sintagma che sta nel titolo è utilizzato nel senso che gli ha attribuito lo stesso studioso veneziano in un celebre libro dedicato a Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Isnenghi non ha mai avuto una “milizia” in cui arruolarsi, ma certo è uno storico accademico che guarda fuori dell’accademia: ritiene che la conoscenza debba diventare socialmente operante, debba cioè non solo riflettere la realtà, ma contribuire a trasformarla. In questo anche lui come Rossana Rossanda – che non a caso è tra le firme che lo hanno omaggiato in questo volume – è un uomo del secolo scorso, e tutt’altro che in imbarazzo a mostrarsi tale.

Approdato all’Università nel 1970 come docente di Storia del giornalismo, Isnenghi ha continuato a rivolgere gran parte dei suoi interessi ai luoghi, alle strutture, ai linguaggi della comunicazione, intesi sia come oggetti di studio che come strumenti di intervento nella sfera pubblica. Insegnante, conferenziere, divulgatore (lo si può vedere su Youtube, alle Lezioni di storia allestite lo scorso anno all’Auditorium di Roma: link), organizzatore culturale, direttore, condirettore e animatore di riviste, Isnenghi è stato in fasi diverse collaboratore del “Mattino” di Padova e del “Manifesto”, della “Repubblica” e del “Corriere della Sera”; ma ancor più spesso i suoi concetti e punti di vista si sono imposti per forza intrinseca nell’arena dell’uso pubblico della storia, come contravveleno alle tante banalizzazioni cui un frettoloso e interessato ricorso al passato ci ha abituato. Il suo ultimo Garibaldi fu ferito – una “saggina” Donzelli – ha bucato come una freccia tanto la retorica che l’antiretorica delle celebrazioni garibaldine.

Ne L’intellettuale militante sono raccolti saggi che si ispirano ai principali temi di ricerca di Isnenghi – la politica, le guerre, la memoria, i linguaggi – insieme a contributi di carattere memorialistico che ne ripercorrono l’itinerario culturale e propongono dei bilanci storiografici. Dal libro abbiamo tratto alcuni brani della testimonianza di Claudio Pavone – resa in forma di intervista a Simon Levis Sullam – che illustrano alcuni momenti significativi della biografia intellettuale dell’amico e collega, e riflettono sull’eco che essi ebbero nel dibattito pubblico sul passato. (Alessandro Casellato)

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*da Claudio Pavone, “Comprendere il nemico” e varie altre cose. Colloquio su fascismo, guerra civile, guerre negli studi di Mario Isnenghi, pp. 239-247

L’ambiente [in cui hai conosciuto Isnenghi] era quello degli Istituti per la storia della Resistenza?

L’ambiente era quello degli Istituti e, più in generale, di quella che allora si andava formando e si autodefiniva come la storiografia della nuova sinistra postsessantottesca. Tra le tante cose che succedevano in quell’epoca, fu avvertita l’esigenza di guardare al passato in maniera non tradizionale, tale cioè che in qualche modo facesse meglio comprendere il presente che si stava vivendo con radicali speranze di mutamento. Per me e altri della mia generazione (altri ancora invece si spaventarono) era come il riaprirsi del campo del possibile dopo le chiusure postresistenziali. Per Mario si trattava del dischiudersi per la sua generazione di nuovi ed entiusiasmanti orizzonti. Indubbiamente gli Istituti per la storia della Resistenza, a cominciare dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, svolsero una funzione aggregante e di scoperta di nuovi talenti storiografici. Non c’è quindi da stupirsi se Isnenghi, partecipe di questo moto generale molto sfaccettato, entrasse a un certo punto sia nel Consiglio direttivo dell’Istituto nazionale, sia nella redazione della “Rivista di storia contemporanea”.

Quindi tu identifichi questa storiografia della “nuova sinistra” con la “Rivista di storia contemporanea” ?

Identificare è troppo. Ma è indubbio che la rivista abbia svolto un ruolo molto importante. Essa era nata su iniziativa di Guido Quazza, che in questo campo fu un caposcuola e per lungo tempo fu preside della Facoltà di Magistero della Università di Torino. Isnenghi non entrò subito nella direzione, non è fra i soci fondatori, ma si aggiunse in seguito al gruppo torinese. Proprio come me, del resto. Può essere utile il confronto fra la composizione iniziale e quella finale della direzione della rivista. All’inizio era composta da Valerio Castronovo, Enzo Collotti, Enrica Collotti Pischel, Lisa Foa, Guido Neppi Modona, Guido Quazza, Giorgio Rochat, Massimo L. Salvadori, Gianni Sofri, Nicola Tranfaglia. Tra i nomi dell’ultimo fascicolo non figuravano più Castronovo, Neppi Modona, Salvadori, Tranfaglia, e vi erano invece, entrati in tempi diversi, Adriano Ballone, Carlo Cartiglia, Paul Corner, Mario Isnenghi, Adriana Lai, Fabio Levi, Umberto Levra, Peppino Ortoleva, Claudio Pavone, Mariuccia Salvati.

Abbiamo ricostruito, ma correggici, che tu entrasti nella redazione della rivista nel 1978 e Isnenghi ci arrivò nel 1981. […] Qualche anno dopo, nel 1985, tu e Isnenghi partecipaste, assieme ad altri, all’importante convegno della Fondazione Micheletti di Brescia sulla Repubblica Sociale Italiana.

Quello fu un convegno veramente importante, perché fu la prima volta, che io sappia, che la storiografia di matrice antifascista affrontò direttamente il problema della RSI. Oggi lo si deve ricordare anche perché le accuse che sono state rivolte a quella storiografia, la così detta “vulgata”, di non essersi voluta occupare seriamente del fascismo di Salò sono false. Fu, quella di Brescia, una delle prime occasioni in cui ci si disse: vediamo un po’ meglio “chi erano” i fascisti di Salò e perché fecero quella scelta. I risultati, raccolti l’anno successivo in un volume degli “Annali” della Fondazione, furono importanti Ricordo che Isnenghi fece una bella relazione sui giornali e la propaganda della RSI.

Quello fu anche il convegno in cui tu parlasti, forse proprio una delle prima volte, di “guerra civile” a proposito del 1943-45 inItalia.

Verissimo. Mi rimuginava in testa questa idea che mi appariva ovvia, ma il libro era ancora lontano. Feci appunto una relazione sulla lotta fra la Resistenza e la RSI come “guerra civile”. Ricordo che ne ebbi una terribile lavata di capo da parte di Giancarlo Pajetta che intervenne dicendo risolutamente che non era vero, che quella era stata una guerra di liberazione nazionale, una guerra di tutto il popolo italiano. Pajetta era una persona che io rispettavo molto, ma su questo punto era di una intransigenza ferrea e non accettava discussioni. Invece Isnenghi, quando poi nel 1991 uscì il mio libro Una guerra civile, lo valorizzò molto e mi invitò a presentarlo a Venezia nella sua Università. Eravamo insomma molto d’accordo su questa impostazione. […]

Possiamo parlare un po’ della “Rivista di storia contemporanea”?

 Una volta che nella redazione si parlava di organizzare meglio il nostro lavoro, Mario mandò una lunga lettera in cui proponeva tre filoni di ricerca. Erano temi che poi sviluppò lui stesso nel suo lavoro e che ha trasmesso ai suoi allievi. In origine si trattava di una lettera a Giorgio Rochat, che poi la rese nota a tutta la redazione. Il primo tema suggerito era la guerra: non solo le due mondiali ma anche quelle del Risorgimento e la tipologia delle guerre in generale. Il secondo tema era la storia attraverso le biografie. Su questo argomento egli scrisse per la rivista nel1992 un saggio dal significativo titolo indicativo Parabola dell’autobiografia. Dagli archivi della classe agli archivi dell’io, che partiva dalla constatazione di come dalle protoricerche degli “irregolari” (Gianni Bosio, Nuto Revelli, Danilo Montaldi) si fosse giunti all’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e alla Federazione degli archivi della scrittura popolare. Isnenghi avanzava poi una terza proposta che aveva per oggetto gli squadristi. Egli intendeva, mi pare, gli squadristi proprio come singole persone, nel senso di scoprire anche in essi quella che poi – con parola abusata – è stata chiamata la soggettività. Degli squadristi, insomma, non bastava dire che erano pagati dagli agrari e dagli industriali, ma bisognava chiedersi chi fossero, donde venissero (certo dagli Arditi, ma non solo da essi) e porsi domande analoghe.

Alcuni suoi allievi hanno provato ad approfondire questo tema, anche dietro stimolo suo. E con la “Rivista di storia contemporanea”, poi, come andò a finire?

 Andò a finire che ad un certo punto la rivista entrò in crisi e fu una crisi parallela a quella della nuova sinistra come movimento politico. Fra l’altro, molti articoli cominciavano ad apparire intercambiabili con quelli di altre rivista di storia e c’era sempre meno, nella nostra, qualcosa di specifico sia nel metodo sia nei contenuti. Cioè: era difficile trovare una strada che caratterizzasse una rivista nata con tanto ambiziosi propositi di rinnovamentoEssa ormai partecipava, ormai senza caratteri particolari, alla generale evoluzione della storiografia italiana, dentro la quale non era facile riqualificarsi. Alcuni nostri articoli avrebbero potuto a quel punto comparire su qualsiasi altra rivista storica. La redazione si orientò verso la chiusura della rivista. Isnenghi invece non era d’accordo. Poco prima che la rivista decidesse di sciogliersi, Mario redasse un vero e proprio memoriale in cui sosteneva che bisognava andare avanti ed elencava tutta una serie di motivi culturali e politici per non desistere. Nel memoriale c’era uno spirito battagliero e generoso. Però la sua posizione, dopo molte discussioni, non prevalse e la rivista morì.
 Rispetto alla vostra impostazione, al vostro “metodo” – tuo e di Isnenghi – una cosa importante del lavoro di Mario è forse l’idea di studiare “il nemico“.

Si, Mario è stato senz’altro uno dei primi a porsi questo problema, che ha costituito uno dei terreni preferiti della sua ricerca. Penso anche al tema dei combattenti in generale dal punto di vista delle loro motivazioni, emozioni (rassegnazione compresa), ideologie esplicite o implicite, provenienze sociali e culturali. Perciò Mario ha dedicato attenzione sia alla stampa “alta” che a quella “bassa” connesse alla guerra, nonché agli apparati della propaganda e alla ricezione di quella. E’ stato sempre interessato alla immagine di sé che davano i protagonisti, sapendo distinguere fra le manifestazioni di convinzioni profonde, la propaganda più spicciola e la ricezione di entrambe. Isnenghi queste cose le ha anche teorizzate. […]

Per tornare agli studi di Isnenghi sul fascismo e all’idea di studiare il “nemico”: ci sono altri argomenti, accanto a quello sul fascismo di Salò, che vi hanno, alla fine, portato su un terreno di lavoro comune? Ad esempio Intellettuali militanti, intellettuali funzionari?

 Questo è stato un bel libro perché nella discussione sul fascismo, e in particolare sul suo rapporto con gli intellettuali, ha introdotto una distinzione utile e produttiva anche di fronte al problema del consenso, trattato troppo spesso in modo approssimativo e semplificatorio (non è detto, ad esempio, che tutti coloro che non cospiravano fossero a pieno titolo consenzienti). Il tipo di consenso di un intellettuale “militante” è evidentemente diverso da quello di un intellettuale “funzionario”, anche se poi entrambi possono, in modi diversi, essere elementi portanti del regime. Se si pensa alle discussioni sui “voltagabbana”, tema cui anche Mario è sensibile e che si presta a facili moralismi, diversa è la situazione del “militante” da quella del “funzionario”. Il primo può essere colto da salutari crisi che lo sconvolgono e lo mutano, oppure può rinserrarsi nella fedeltà al proprio passato e isolarsi coltivando il risentimento. All’intellettuale funzionario è invece più facile adeguarsi ai cambiamenti di regime, proprio come in genere fanno i funzionari di ogni tipo, mantenendo casomai nel profondo forti continuità con un passato la cui vischiosità passa indenne, o quasi, attraverso mutamenti per altri versi radicali.

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