Commedia e società

Tra i generi cinematografici, quello che più ha rappresentato i cambiamenti della società italiana è, senz’altro, la commedia, sorta di ritratto dei valori, dei costumi, dei difetti nazionali. Come ha scritto Jean Gili, “Comencini, Monicelli e Risi, senza essersi messi d’accordo, ma come si fosse stabilita tra loro un’intesa segreta (…) realizzeranno una serie di commedie che presentano un’immagine dell’Italia e del suo processo storico: scioperi dell’inizio del secolo (“I compagni”, 1963), prima guerra mondiale (“La grande guerra”, 1959), insediamento del fascismo (“La marcia su Roma”,1962), dal fascismo alla Resistenza (“Tutti a casa”, 1960), dalla Resistenza alle disillusioni del dopoguerra (“Una vita difficile”,1961), il boom degli anni ’60 e i primi interrogativi (“Il sorpasso”, 1962), l’Italia sofferente e miserabile (“A cavallo della tigre”,1961)”. In effetti, attraverso la commedia è possibile cogliere e seguire, in modo particolare, la trasformazione sociale e culturale degli anni ‘60: essa ha, infatti, con il boom un rapporto simbiotico e speculare (Goffredo Fofi, nel 1964, la definì “commedia del miracolo”).

Inaugurata da “I soliti ignoti” (1958) di Monicelli, la commedia cosiddetta all’italiana affronta temi strettamente legati alla società del benessere e ai mutamenti da essa prodotti: la famiglia, la vita di provincia, la politica, ma anche i grandi eventi della storia, riletti in chiave antieroica. Il cinema della risata mostra, in questa fase, agli italiani lo spettacolo del malessere latente e i lati oscuri della modernità: l’Italia contadina è travolta dalla nuova borghesia urbana, i valori tradizionali vengono sostituiti da nuove mitologie. “Il sorpasso” di Risi, insolito road-movie con due compagni di viaggio (Gassman e Trintignant) votati al finale tragico, restituisce perfettamente il disagio sotteso ai sogni di benessere della nuova Italia rampante .Già nei primi mesi del ’63 l’economia italiana inizia a dare segni di crisi e, l’anno seguente, il governo Moro parla di limitazione dei consumi: il tempo delle promesse di prosperità, dei modelli di vita facile e spensierata è già finito. La raggelante solitudine della provinciale intensamente interpretata da Stefania Sandrelli in “Io la conoscevo bene” (1965) di Pietrangeli chiude, con un pessimismo feroce e totale, una breve stagione (1958-1964) di effimere illusioni.

 Mentre, pian piano (1964-1971), si spegne la frenesia degli anni precedenti, la commedia ripiega sul privato, attraversata, comunque, dal presagio del naufragio (“Siamo obbligati a metterci in mostra per far vedere che siamo ancora belli, sani e con la grana” da “L’ombrellone”, 1965 di Risi). Prevalgono, in questo periodo, film ad episodi (“Controsesso”,1964 di Rossi, Ferreri, Castellani), pellicole in costume (“L’Armata Brancaleone”,1966 di Monicelli) o di viaggio (“Un italiano in America”,1967 di Sordi) ma anche opere più impegnate sul versante civile. L’esigenza di svecchiamento delle leggi e la richiesta del divorzio è testimoniata da un film tagliente come “Signore e Signori” (1965) di Germi e da una pellicola dal fondo amaro come “Amore mio aiutami” (1969) di Sordi. Non mancano segnali degli enormi rivolgimenti che sfoceranno nel ’68: “Il profeta” (1967) di Risi o gli episodi di “Contestazione generale” (1970) di Zampa tentano di registrare un cambiamento epocale ma la commedia ha perso, ormai, la capacità di analisi tempestiva degli esordi.
Nel decennio successivo (1971-1980) l’Italia sprofonda negli anni di piombo e anche gli autori della commedia privilegiano storie e toni sinistri: in “Un borghese piccolo piccolo”(1977) di Monicelli, la morte del figlio provoca in un anziano una ferocia spaventosa mentre, ne “Il mostro”(1977) di Zampa le frustrazioni di un giornalista generano nel figlio un’esplosione di follia. L’ombra della morte si annida dietro le zingarate di “Amici miei” (1975) di Monicelli mentre le mutazioni in corso non risparmiano nemmeno i sottoproletari di “Brutti, sporchi e cattivi” (1976) di Scola. E’ proprio Scola a chiudere un’epoca con “C’eravamo tanto amati” ( 1974), sentito omaggio al cinema e, contemporaneamente, perfetta sintesi di tutto ciò che la commedia all’italiana è stata, nella sua stagione migliore.

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