In un memorabile articolo (1), scritto un anno prima di venire assassinato, Pier Paolo Pasolini affermava: “Io so, ma non ho le prove”. Oggi, passati più di quarant’anni, – dice Marco Tullio Giordana – queste prove sono diventate finalmente accessibili, a disposizione di chiunque voglia davvero sapere.
E’ giunto il momento di raccontarle, di tirarle fuori. E’ da questo desiderio di far luce su una ferita nella coscienza civile mai più rimarginata che è nato il film “Romanzo di una strage”, sulla tragedia di piazza Fontana, liberamente tratto dall’inchiesta di Paolo Cucchiarelli. Giordana, già autore di pellicole di forte impegno civile come “I cento passi” (2001) o “La meglio gioventù” (2003), rilegge la vicenda della “madre di tutte le stragi”, proponendo, insieme a Rulli e Petraglia, una “doppia pista”, a cavallo fra anarchici e neo fascisti, con l’intervento di elementi deviati dello Stato: per il regista e i suoi sceneggiatori, quel 12 dicembre del 1969 alla Banca dell’Agricoltura di Milano esplosero, non una, ma due bombe e la morte del commissario fu voluta da chi voleva depistare le indagini. Tale ricostruzione ha generato uno scontento bipartisan sui giornali: per L’Unità e Repubblica, il film “santifica i protagonisti” mentre per Libero “uccide il commissario Calabresi un’altra volta”. Infine, il Giornale ha evidenziato la “reticenza” nella “rievocazione della canea assatanata” con cui “Calabresi fu costretto a misurarsi”, ossia “le campagne d’odio di Lotta Continua”. In compenso, “Romanzo di una strage” ha avuto il riconoscimento e il sostegno dei parenti delle vittime e il presidente dell’associazione che li riunisce, ha dichiarato: “ Mi sembra che dica ciò che la Cassazione ha affermato nel 2005, cioè che i responsabili della strage sono i fascisti veneti di Ordine Nuovo Franco Freda e Giovanni Ventura”. Al di là delle inevitabili polemiche, l’opera di Giordana costituisce, senz’altro, uno dei rari film da vedere per poterne, poi, discutere: non è un’inchiesta e non intende fornire un’impossibile verità umana sui personaggi reali ma, in modo plausibile, cerca di trovare un filo che colleghi tanti indizi sparsi. In altre parole, il regista applica al racconto una intelligenza, come direbbe Pasolini, “poetica”, prima ancora che politica. “Romanzo di una strage” è l’opera di un autore che, sin dai suoi primi film (vd. “Maledetti vi amerò” (1980) e “La caduta degli angeli ribelli” (1981), utilizza il cinema per raccontare il proprio tempo, senza tesi da imporre o opzioni da far valere: sarà lo spettatore a riconoscersi in quei fatti o a rifiutarli, ad analizzare, interpretare, esprimere un giudizio. Mario Calabresi, figlio del commissario, ha detto di non aver ritrovato suo padre nel personaggio interpretato da Valerio Mastandrea ma ha, altresì, parlato di un’opera “sulla linea del presidente Napolitano, che si è impegnato a restituire umanità alle persone, liberandole dalle condizione di simboli”. E’, forse, proprio questa la caratteristica peculiare dell’intera filmografia di Giordana: il diffidare dell’ideologia e della funzione “didattica” del cinema. Lo ha spiegato benissimo lui stesso in un’intervista a Cinecritica (2): “Quella di cinema civile mi sembra una definizione riduttiva, anche perché considero i grandi registi che vengono generalmente riuniti sotto quell’etichetta, innanzitutto cineasti che hanno fatto buon cinema. Penso ad esempio che “Salvatore Giuliano” (1961) di Francesco Rosi sia molto più vicino a “Citizen Kane”(1941) di Orson Welles che al giornalismo politico, anche di alto profilo, cui viene spesso apparentato. Per un politico varrà sempre il motto “la politique d’abord”, ma per un regista credo valga, invece, il motto “le cinéma d’abord”. E ha aggiunto: “ Cinema civile è una definizione che mette subito in allarme, come se il cinema fosse lo strumento di propagazione dell’ideologia. Per me è esattamente il contrario: considero il cinema come la dimostrazione dell’impraticabilità dell’ideologia, della sua profonda inattualità e inutilità dal punto di vista artistico. Il cinema, come diceva Bazin, apre la finestra sul mondo, l’ideologia la chiude o la restringe”. Chiarito ciò, non resta che avvicinarsi, senza pregiudizi di sorta, ad un’opera che non vuole spargere, come alcuni hanno scritto, un inaccettabile perdonismo generale ma essere, semplicemente, il racconto di un testimone oculare d’eccezione (quel giorno, Giordana era uno dei tanti studenti sul tram che portava alla Statale).
(1) Il Corriere della Sera, 14 novembre 1974, “Cos’è questo golpe? Il romanzo delle stragi”.
(2) Cinecritica, n. 32, 2003.