Trent’anni dopo le prime elezioni del Parlamento europeo al suffragio universale, ripercorrere la storia delle trascorse tornate elettorali permette di riflettere sia sulla loro influenza nella vita politica francese che sull’evoluzione dei partiti di fronte alla questione europea. Per una serie di motivi, l’analisi di tali cambiamenti non è sempre facile. In primo luogo, il paesaggio politico francese è profondamente cambiato. Nel 1979, quattro grandi partiti si spartivano la quasi totalità dei suffragi : a sinistra, il partito socialista (PS) e il partito comunista (PCF), a destra i neo-gollisti dell’RPR e i centristi dell’UDF[1]. Oggi, il PCF è praticamente sparito, mentre la maggior parte dell’UDF è confluita nell’RPR per dare vita all’UMP[2]. Nel corso degli anni, alcune forze politiche – come gli ecologisti o il Front National (FN) di Jean-Marie Le Pen – si sono rafforzate, mentre altre sono emerse ex novo, come gli euroscettici di destra e di sinistra. In secondo luogo, i risultati delle varie elezioni non sono facilmente paragonabili, poiché non di rado i due grandi partiti di destra (RPR e UDF) hanno costituito una lista comune, come del resto ha fatto il PS con il piccolo partito dei radicali di sinistra (MRG). Infine, una vittoria alle europee non è necessariamente una garanzia per le consultazioni seguenti. Per dare due esempi recenti, il partito socialista ha trionfato sia nel 1999 e nel 2004, ma è uscito nettamente sconfitto alle elezioni presidenziali del 2002 e del 2007. Prima di analizzare i risultati del 7 giugno scorso, è quindi utile ricordare lo svolgimento delle sei precedenti elezioni europee[3].
Il sistema politico francese e le elezioni europee
Il 10 giugno 1979, i francesi eleggono per la prima volta i loro rappresentanti al Parlamento europeo. La scelta del sistema proporzionale (con soglia di sbarramento al 5%) e di una lista nazionale rappresenta, per certi versi, un’anomalia rispetto alla tradizione francese, fondata sullo scrutinio maggioritario con collegio uninominale. Il modo di scrutinio resterà immutato fino al 2004. Dopo una campagna particolarmente intensa, la partecipazione raggiunge il 60,8%, risultato che non sarà più superato negli anni seguenti. L’elezione si conclude con una grande vittoria per l’UDF del presidente Giscard (27,6%) e con una disfatta per il rivale Jacques Chirac (RPR), che aveva imperniato la sua campagna su tematiche vigorosamente antieuropee. A sinistra, il Partito socialista, che ha fatto lista comune con l’MRG, raggiunge il 23,5%, distanziando di misura il partito comunista (20,5%). Globalmente, i partiti di destra (48,4%) superano, seppur di poco, quelli di sinistra (47,1%), riflettendo i risultati delle legislative dell’anno precedente[4]. Tra i nuovi eletti all’assemblea di Strasburgo, notiamo la presenza dei socialisti François Mitterrand e Jacques Delors e della centrista Simone Weil, che assumerà la presidenza del Parlamento europeo.
Cinque anni dopo, il contesto politico è profondamente cambiato. Nel maggio del 1981, François Mitterrand è stato eletto presidente della Repubblica e i socialisti hanno trionfato alle legislative. Dopo tre anni di governo e la “svolta del rigore” (tournant de la rigueur) del 1983[5], il governo di Pierre Mauroy è profondamente impopolare. Le elezioni europee del 17 giugno 1984 vedono sia un calo della partecipazione (56,8%), che una sconfitta della coalizione di governo. La lista socialista condotta da Lionel Jospin ottiene solo il 20,8% dei suffragi, mentre gli alleati del PCF e dell’MRG raggiungono rispettivamente l’11,3% e il 3,3%. La grande vincitrice delle elezioni è Simone Weil, che a capo di una lista di unione tra l’UDF e l’RPR arriva al 42,9% dei voti. Da segnalare anche il successo del Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen[6] (11%) e la prima apparizione del movimento dei Verdi (3,4%)[7]. Le elezioni europee vedono quindi una netta affermazione della destra (57,5%) rispetto alla sinistra (42,5%) ed avranno conseguenze notevoli sul piano nazionale: Pierre Mauroy rassegna le dimissioni e viene sostituito da Laurent Fabius a capo di un nuovo governo, che non includerà ministri comunisti[8].
Dopo la rielezione di François Mitterrand alla presidenza della Repubblica e la vittoria di misura dei socialisti alle legislative anticipate del 1988, le elezioni europee del 18 giugno 1989 vedono una nuova vittoria dei partiti di destra. La lista di unione tra l’UDF e RPR, diretta dall’ex-presidente Valéry Giscard d’Estaing, provvisoriamente riappacificatosi con l’eterno rivale Jacques Chirac, raccoglie il 28,9%, mentre un’altra lista centrista, condotta da Simone Weil, si ferma all’8,4%. A sinistra, la lista di Laurent Fabius (PS e MRG) raggiunge il 23,6% dei voti. Il Fronte nazionale di Le Pen consegue il suo migliore risultato alle europee (11,7%). L’esito più rilevante è tuttavia ottenuto dai Verdi di Antoine Waechter, che, difendendo una linea di stretta autonomia dalla destra e dalla sinistra, giungono al 10,6% dei suffragi. In tal modo, il rapporto di forze tra i partiti di destra (49,9 %) e di sinistra (33,3%) continua a divaricarsi, raggiungendo la massima ampiezza storica[9].
Le elezioni del 12 giugno 1994[10] sono considerate come le più catastrofiche per il partito socialista francese. Dopo la disfatta epocale della sinistra alle legislative del 1993[11], il nuovo segretario del PS, Michel Rocard, vuole approfittare dell’occasione per affermare la propria legittimità in vista delle presidenziali del 1995[12]. La rivalità di vecchia data tra Mitterrand e Rocard avrà però un’inattesa appendice: il presidente della Repubblica incoraggia la formazione di una lista rivale in seno alla sinistra (sotto l’etichetta dell’MRG) sotto la direzione di Bernard Tapie[13]. La manovra piuttosto esplicita di Mitterrand provoca la sconfitta dei socialisti, che giungono al minimo storico del 14,5%, tallonati dalla lista di Tapie (12%). Tale disfatta segnerà la fine della carriera nazionale di Rocard[14], che darà le dimissioni dalla segreteria del PS e rinuncerà a presentarsi alle presidenziali dell’anno seguente. Le europee del 1984 non sono tuttavia un successo per il centro-destra: la lista comune RPR-UDF, diretta dal sindaco di Tolosa Dominique Baudis, raccoglie solo il 25,6%. Oltre ai radicali di Tapie, i veri vincitori delle elezioni sono i partiti euroscettici: il Front National si assesta al 10,5%, mentre il Mouvement pour la France (MPF) di Philippe de Villiers e il Mouvement des citoyens (MDC) di Jean-Pierre Chevènement raccolgono rispettivamente il 12,3% e il 2,5% dei consensi[15]. Infine, il PCF arretra al 6,9% e i Verdi non riescono a ripetere l’exploit del 1989, crollando al 2,9%.
Le elezioni europee del 13 giugno 1999 si svolgono in un contesto profondamente mutato, dominato dalla guerra in Kossovo. Il tasso di partecipazione continua a scendere, toccando il 46,7%. Eletto nel 1995 alla presidenza della Repubblica, Jacques Chirac ha adottato una politica molto impopolare. Contro le intenzioni del capo dello Stato, lo scioglimento anticipato dell’Assemblea nazionale (1997) porterà al potere il governo della “sinistra plurale” di Lionel Jospin. Il partito neo-gollista, che attraversa una grave crisi di leadership, si presenta alle elezioni con un binomio “Séguin-Sarkozy” e con uno slogan che denota l’assenza di programma (“No alla tassa europea”). In piena campagna elettorale, Philippe Séguin dà le dimissioni dalla segreteria dell’RPR. Le elezioni si concludono in modo disastroso per la lista di Nicolas Sarkozy (12,8%[16]), superata a destra dal tandem euroscettico Pasqua-De Villiers (13,1%). L’UDF di François Bayrou resta ferma al 9,3%. L’estrema destra si presenta divisa : il Front National di Le Pen raccoglie il 5,7%, mentre la lista dell’ex-delfino Bruno Mégret si ferma al 3,3%. I partiti di sinistra ottengono buoni risultati. La lista diretta dal segretario del PS François Hollande[17] arriva in testa con il 21,9% dei voti. La sorpresa delle elezioni è tuttavia il successo personale dell’ex-leader del Sessantotto francese, Daniel Cohn-Bendit, che ottiene il 9,7% con i Verdi. Da notare anche l’affermazione del partito dei cacciatori[18] (6,8%) e dell’estrema sinistra[19] (5,2%), che superando la soglia del 5%, sono rappresentati per la prima volta al Parlamento di Strasburgo, rispettivamente con sei e cinque seggi[20].
Il 13 giugno 2004, si vota con un nuovo sistema elettorale, promosso dal governo Jospin e adottato con accordo bipartisan all’Assemblea nazionale. Nonostante la permanenza del proporzionale, i deputati europei sono eletti in otto “macroregioni” e non più a livello nazionale. La scelta del nuovo sistema aveva la finalità di avvicinare i deputati dagli elettori. I risultati non saranno pari alle attese, come dimostra l’ulteriore calo della partecipazione (43,1%). Dopo la cocente sconfitta di Lionel Jospin al primo turno delle presidenziali del 2002[21], gli elettori di sinistra votano in massa per le liste del PS, (28,9% a livello nazionale). La maggior parte degli osservatori diagnosticano un effetto di “cattiva coscienza” dopo la dispersione dei voti di due anni prima[22]. La nuova incarnazione del partito neo-gollista, l’UMP di Jacques Chirac, ottiene solo il 16,6%, mentre la nuova UDF[23] di François Bayrou raggiunge il 12%. Il Fronte nazionale si assesta al 9,8%[24]. Privi di un personaggio carismatico quale Cohn-Bendit[25], i Verdi scendono al 7,4%, mentre il Partito comunista resta stabile al 5,2%. Infine, la lista trotzkista LO-LCR (2,6%) e il partito dei cacciatori (1,7%)non riescono a ripetere l’exploit del 1999, perdendo tutti i seggi conquistati cinque anni prima[26].
Le elezioni europee del 7 giugno 2009
Le settime elezioni europee (7 giugno 2009) non sono state precedute da una campagna elettorale particolarmente intensa. Nei suoi primi due anni di presidenza, Nicolas Sarkozy attraversa un periodo di impopolarità, pur avendo fatto prova di grande attivismo durante i sei mesi in cui la Francia ha presieduto il Consiglio europeo[27]. La consultazione europea è tradizionalmente sfavorevole ai partiti al potere: è forse per questo motivo che l’UMP si presenta con grande cautela all’appuntamento elettorale. Il primo leader a lanciare la campagna è Daniel Cohn-Bendit, di ritorno in Francia: negli ultimi mesi del 2008, questi riesce a federare i Verdi con diversi movimenti ecologisti[28] nella lista “Europe Ecologie”. Dopo un avvio in sordina, Europe Ecologie riesce a salire di sondaggio in sondaggio e, in primavera, si assesta attorno al 10% delle intenzioni di voto. François Bayrou, spera di ripetere l’eccellente risultato delle presidenziali del 2007[29]. Rivendicando l’eredità dell’europeismo democristiano, il 9 maggio – giorno della festa dell’Europa – il presidente del MoDem[30] si reca a Metz in Lorena, dove rende omaggio alla tomba di Robert Schuman. La campagna di Bayrou prende tuttavia una piega marcatamente anti-governativa: i temi europei passano rapidamente in secondo piano, mentre si moltiplicano le prese di posizione contro il presidente Sarkozy. Lo stesso discorso vale anche per il partito socialista. Sotto l’egida di Martine Aubry, di cui sono note il retaggio familiare e le convinzioni europeistiche[31], i socialisti francesi hanno partecipato all’elaborazione del “Manifesto” del PSE, adottato a Madrid il 1° dicembre 2008, e considerato come un documento molto più convincente di quelli analoghi presentati nel 1994, nel 1999 e nel 2004. Nonostante l’esistenza di una piattaforma comune a livello europeo, la campagna dei socialisti si è sviluppata quasi esclusivamente su temi nazionali e, in particolare, sul “voto di sanzione” nei confronti di Sarkozy.
Come si è detto, l’UMP è entrata tardivamente in campagna: il programma e la composizione delle liste sono state rese note solo all’inizio di maggio. Nella regione di Parigi, la lista è stata condotta da Michel Barnier, ministro dell’Agricoltura, e da Rachida Dati, mediatica ministra della Giustizia. Senza soffermarsi sugli aspetti del programma, il partito di maggioranza ha insistito sul tema di un’“Europa che protegge”, esaltando il bilancio del semestre di presidenza francese. In fin dei conti, la campagna è stata definita dagli osservatori come poco appassionante. L’unico episodio spettacolare si è verificato durante la trasmissione televisiva “A vous de juger” (4 giugno 2009), che riuniva i principali candidati dei vari partiti, e che ha dato luogo ad un acceso scontro tra Bayrou e Cohn-Bendit[32].
Alla vigilia del voto, gli ultimi sondaggi davano in vantaggio l’UMP, il PS leggermente al di sotto del 20% e la lista Europe staccata in terza posizione. I risultati finali hanno confermato tali previsioni, accentuandone tuttavia le tendenze in modo inatteso[33]. Nonostante una campagna minimalistica, il partito presidenziale ottiene il 27,9% (+11,2 rispetto ai risultati deludenti del 2005). Il partito socialista raccoglie solo il 16,5% (-12,4), tallonato dalla lista Europe Ecologie (16,3%, +8,9). Anche il MoDem di Bayrou subisce un tracollo (8,5%, -4,1), legato probabilmente alle polemiche della vigilia. Quattro anni dopo la vittoria del “NO” al referendum sulla costituzione europea, i partiti euroscettici non riescono ad emergere : all’estrema destra, il Fronte nazionale arretra al 6,3% (-3,5), i “sovranisti” di Philippe de Villiers, presentatosi sotto l’etichetta “Libertas[34]”, non vanno oltre il 4,8%. A sinistra, il “Front de gauche” (che riunisce i comunisti ad altri piccoli partiti) ottiene un discreto risultato (6%, +0,8), mentre il Nuovo partito anticapitalista (NPA) di Olivier Besancenot non supera la soglia fatidica del 5% (4,9%). Se si eccettua il caso particolare di una seconda lista ecologista (Alliance écologiste indépendante), tutti gli altri partiti si situano al di sotto del 2%.
In definitiva, i settantadue deputati eletti al Parlamento europeo dai cittadini francesi si ripartiscono nel modo seguente[35]: 29 rappresentanti dell’UMP, 14 del PS, 14 di Europe Ecologie, 6 del Modem, 5 del Front de gauche, 3 del Fronte nazionale e uno di Libertas[36]. Tra di essi, si trovano personalità molto note a livello europeo, come l’ex-commissario Michel Barnier, l’ex-ministro degli Affari europei Alain Lamassoure e i due presidenti del gruppo parlamentare del PPE e dei Verdi (Joseph Daul e Daniel Cohn-Bendit). Tra i tre deputati del Fronte nazionale, troviamo sia il leader storico Jean-Marie Le Pen[37] che la figlia Marine. Infine, due personalità mediatiche (per ragioni diverse) come Rachida Dati e José Bové fanno il loro ingresso al Parlamento di Strasburgo.
Conclusioni
I risultati dell’ultima tornata europea possono essere riassunti con una serie di considerazioni[38]. I grandi vincitori sono stati l’UMP di Sarkozy e i Verdi di Cohn-Bendit, che hanno saputo “parlare d’Europa”. Il successo dell’ex-leader sessantottino, dovuta in gran parte al suo carisma personale, non è probabilmente riproducibile a livello nazionale[39]. Alcuni commentatori hanno cercato di spiegare il successo delle liste ecologiste, mettendo in evidenza la trasmissione del film Home[40] alla vigilia del voto. Questa ipotesi pare tuttavia priva di riscontri e può spiegare solo marginalmente l’affermazione dei Verdi e della seconda lista ecologista. Di contro, la linea puramente anti-governativa del MoDem e del PS è risultata fallimentare. In particolare, i socialisti continuano a subire le conseguenze delle proprie divisioni interne, già messe in evidenza durante il referendum interno sulla costituzione europea (2004) che durante il recente congresso di Reims (2008). In un contesto generalmente poco favorevole alla social-democrazia, il PS ha pagato dazio per le proprie ambiguità sulle tematiche europee: il suo elettorato “federalista” ha preferito votare verde, mentre i più euroscettici si sono rivolti verso il Front de Gauche. Ma il vero vincitore è stato l’astensionismo, che ha raggiunto un nuovo massimo storico (59,4%). L’esperienza di trent’anni mette quindi in rilievo lo status particolare di questa consultazione : le europee possono essere considerate come un’elezione “anomala” sia per il scarso tasso di partecipazione (e in continuo declino), sia per il modo di scrutinio, che accentua il ruolo di partiti (ieri gli euroscettici, oggi i Verdi) quasi del tutto assenti dal gioco politico nazionale.
[1] UDF: Union démocratique pour la France. RPR : Rassemblement pour la République.
[2] UMP : Union pour la majorité présidentielle (2002) e, dal 2005, Union pour un mouvement populaire.
[3] Per un riassunto dei risultati delle sei prime elezioni europee, cf. AAVV, Les socialistes et les élections européennes 1979-2004, Paris, Fondation Jean-Jaurès, n° 39, giugno 2004.
[4] Cf. inserto « Elections européennes », Le Monde dell’11 giugno 1979.
[5] Dopo le riforme generose e dispendiose del biennio 1981-1982 (in particolare, le nazionalizzazioni e l’aumento delle prestazioni sociali e del salario minimo), il governo è stato costretto a svalutare tre volte il franco. La svolta del rigore, messa in atto da Jacques Delors, segna il ritorno ad una politica economica più ortodossa, volta soprattutto a combattere l’inflazione. Serge Berstein, Pierre Milza, Jean-Louis Bianco (dir.), François Mitterrand, Les années du changement 1981-1984, Paris, Perrin, 2001.
[6]Nel 1979, il Fronte nazionale aveva ottenuto solo l’1,3% dei voti.
[7] Cf. l’inserto « Elections européennes », Le Monde del 18 giugno 1984.
[8] Come è noto, la destra vincerà le legislative del 1986, dando vita ad una coabitazione tra François Mitterrand, che resta alla presidenza della Repubblica, e Jacques Chirac, che dirigerà il governo dal 1986 al 1988.
[9] Cf. l’inserto « Elections européennes », Le Monde del 20 giugno 1989.
[10] Sebbene superiore a quella del 1989 (47,4%), la partecipazione alle europee del 1994 resta inferiore al 50%.
[11] Alle elezioni legislative del 1993, i partiti di destra ottengono 472 seggi su 577 all’Assemblea nazionale. Mitterrand nomina Edouard Balladur a capo del governo, dando l’avvio alla seconda coabitazione (1993-1995).
[12] Michel Rocard si era già proclamato come “candidato naturale” della sinistra.
[13] Presidente della squadra di calcio del Marsiglia e dell’azienda Adidas, Bernard Tapie era stato “ministre de la ville” nel governo di Pierre Bérégovoy, ed aveva quindi assunto la presidenza dell’MRG.
[14] Ma pure l’inizio della carriera europea di Michel Rocard, che per tre legislature sarà uno dei parlamentari più influenti e più apprezzati all’assemblea di Strasburgo.
[15] Ricordiamo che Jean-Pierre Chevènement era stato più volte ministro il 1981 e il 1991, prima di staccarsi dal partito socialista. Entrambi i partiti erano nati nel contesto del referendum sul trattato di Maastricht (1992).
[16] Tale risultato rappresenta il minimo storico per i partiti di ispirazione neo-gollista.
[17] Oltre ai socialisti, la lista include anche alcuni candidati dell’MRG e dell’MDC di Chevènement.
[18] Più precisamente, della lista « Chasse, pêche, nature et tradition » diretta da Jean Saint-Josse.
[19] I partiti trotzkisti di Arlette Laguiller (Lutte Ouvrière) e di Alain Krivine (Ligue comuniste révolutionnaire) presentano una lista comune, mettendo provvisoriamente un termine a diversi decenni di dispute ideologiche.
[20] « La gauche plurielle devance largement une droite disloquée », Le Monde del 15 giugno 1999.
[21] Com’è noto, sia Jacques Chirac (19,9%) che Jean-Marie Le Pen (16,9%) superarono Lionel Jospin, che raccolse solo il 16,2% dei suffragi. Chirac fu rieletto al 2° turno, ottenendo l’82% dei voti (contro il 18% per Le Pen).
[22] Se ne avrà una riprova alla regionali del 2005, quando il PS otterrà la presidenza di 19 regioni su 21.
[23] Dopo il primo turno delle presidenziali del 2002, una parte dei parlamentari dell’UDF erano stati attratti nell’orbita del partito presidenziale, per dar vita all’UMP.
[24] Migliorando così il risultato delle europee del 1999, ma con un forte calo rispetto alle presidenziali del 2002.
[25] Presentatosi sulla lista dei Verdi tedeschi.
[26] Cf. l’inserto « Elections européennes », Le Monde del 15 giugno 2004.
[27] Nei sei mesi di presidenza francese (luglio-dicembre 2008), l’Unione europea ha dovuto affrontare la guerra russo-georgica e la crisi dei subprime, aggravatasi con il fallimento di diversi istituti bancari e finanziari.
[28] Tra cui il leader altermondialista José Bové, diversi collaboratori del noto leader ecologista Nicolas Hulot e altre personalità, come la giudice Eva Joly.
[29] Quando aveva raccolto il 18% dei voti.
[30] Sorto dalle ceneri dell’UDF, il MoDem (Mouvement démocrate) è stato creato dopo le presidenziali del 2002.
[31] Martine Aubry è figlia di Jacques Delors, presidente della Commissione europea dal 1985 al 1994.
[32] La violenza del diverbio ha sorpreso un po’ tutti, visto e considerato che Bayrou e Cohn-Bendit erano stati a lungo colleghi al Parlamento europeo, dove avevano presentato più volte dei documenti comuni ispirati da una comune filosofia federalistica.
[34] Come si ricorderà, il movimento Libertas, creato dal miliardario Declan Ganley, aveva avuto un ruolo fondamentale nella vittoria del “no” irlandese al trattato di Lisbona (2008).
[35] Per una presentazione dei 72 eurodeputati francesi, cf. Le Monde del 9 giugno 2009.
[36] Pur avendo presentato delle liste nella maggior parte dei paesi europei, Libertas otterrà solo un seggio al Parlemento europeo: quello, appunto, di Philippe de Villiers.
[37] Eletto a 80 anni, Jean-Marie Le Pen è il decano del Parlamento e, in quanto tale, avrebbe dovuto presiedere la prima seduta della nuova assemblea. Di fronte a questa scomoda prospettiva (considerate le opinioni negazioniste di Le Pen), il regolamento parlamentare era stato modificato alcune settimane prima del voto.
[39] Anche perché Cohn-Bendit ha ripetutamente affermato di non volersi presentare alle elezioni presidenziali.
[40] Prodotto dal noto fotografo Yann Artus-Bertrand, Home descrive le conseguenze del riscaldamento climatico. La sua diffusione, in occasione della giornata della Terra, ha avuto un grande successo popolare.