Recensione: Il pane della ricerca. Luoghi, questioni e fonti della storia contemporanea in Italia

a cura di Marco De Nicolò, Viella, Roma, pp. 239.

Il volume riunisce i contributi discussi in un convegno svoltosi a Roma presso l’Archivio Centrale dello Stato nel 2011, che ha visto confrontarsi studiosi, archivisti e bibliotecari sul tema della ricerca. Come dice il sottotitolo, i luoghi, le questioni e le fonti della storia contemporanea, sono al centro di questo dibattito racchiuso poi nelle pagine di un ricco volume, dotato di un ampio e aggiornato apparato di note, distinto in quattro sezioni: il sistema della ricerca, gli archivi, le biblioteche, la rete e le fonti audiovisive. La prima sezione è un’ampia panoramica sul “sistema” della ricerca, inteso come insieme di elementi interconnessi tra di loro tramite molteplici canali, ma sostanzialmente unico, che mette subito in evidenza i punti critici di questo sistema, ovvero la sempre più crescente complessità nel riuscire ad effettuare ricerche a fronte di una crescente difficoltà di archivisti e bibliotecari di espletare il proprio mestiere. Il tutto ruota attorno alle sedi in cui gli studiosi si recano per compiere la ricerca. È proprio dello scorso mese di luglio la mobilitazione di personale e utenti e associazioni per la pericolosa riduzione di personale presso l’Archivio centrale dello Stato che avrebbe irrimediabilmente compromesso la già scarsa possibilità di movimentazione della documentazione dai depositi. E proprio sugli archivi di deposito si concentra il discorso di Agostino Attanasio il quale solleva il problema del “pane di domani”, le fonti storiche di cui tra qualche anno si potrà o non si potrà disporre. La frammentazione dei depositi e dunque delle fonti richiede agli archivisti, pur tra difficoltà tecniche, operative e culturali, di “risalire”verso gli archivi in formazione per governare e indirizzare i successivi passaggi documentali. Una risposta alla frammentazione potrebbe essere data dai poli archivistici indicati già dalla Conferenza nazionale degli archivi di Bologna del 2009. Quello della frammentazione è un pericoloso rischio ripreso anche da Marco De Nicolò, il quale mette in guardia anche da cattivi esempi di valorizzazione senza la primaria “manutenzione”, portando il caso della gestione archeologica. Anche le prospettive della rete e della digitalizzazione comportano operazioni non solamente legate alla progettazione e alla gestione ma anche alla conservazione. Digitalizzare senza una progettazione finisce per essere un danno e non un vantaggio per il sistema ricerca. A fronte di una comunque presente vivacità nell’ambiente della ricerca si assiste al “prosciugamento delle risorse umane” perdendo anche in tal modo la reciproca trasmissione di competenze tra generazioni. La riduzione del personale ha incentivato il ricorso all’outsourcing che se da un lato ha avuto la funzione di attenuare gli effetti di tagli di risorse, dall’altro ha posto l’attenzione sul ruolo del privato nella dimensione del patrimonio culturale pubblico, a volte con toni allarmistici su una svendita dei beni culturali italiani. Questo quadro rende palese l’incapacità della classe dirigente, nazionale e locale, di saper guardare lontano, affidandosi invece a politiche improvvisate sui beni culturali. Queste carenze porteranno, e stanno già portando, conseguenze pesanti alla ricerca. Si rischia di legittimare un atteggiamento per cui la storia diventi solamente questione di opinioni, senza che queste opinioni vengano verificate nell’autenticità attraverso un’ampia consultazione di testi e documenti. Nel suo intervento De Nicolò sottolinea le politiche dell’indifferenza e dell’incuria, la mancanza di competenze di alcuni vertici istituzionali, le scelte di chi rappresenta una comunità senza custodirne le proprie basi civili che rendere la nostra memoria documentata e la nostra cultura sempre più deboli. Chiude la prima sezione il contributo di Paola Carucci sulle risorse assegnate agli archivi, la quale torna sull’ipotesi dei poli archivistici indicando in essi una possibilità di riduzione delle spese, prima fra tutti gli affitti e poi anche attraverso la concentrazione del personale.

La seconda sezione focalizza sugli archivi con un’ampia panoramica sulle tipologie e le loro problematiche di conservazione e fruizione, quadro che segue però un andamento altalenante tra tradizione ed innovazione. Apre la sezione Jean-Marie Palayret descrivendo gli archivi storici dell’Unione Europea intesi come depositi patrimoniali sopranazionali e pluralisti, la loro genesi e le prospettive. L’intervento successivo, di Mariapina Di Simone e Annalisa Zanuttini, prende in esame il funzionamento e le criticità degli archivi di Stato, che comprendono la conservazione della documentazione, la comunicazione agli utenti, il controllo sugli archivi correnti delle amministrazioni pubbliche, la vigilanza sugli archivi di interesse storico di enti pubblici e privati, di famiglie e persone, la valorizzazione del patrimonio conservato, mettendo in luce anche i problemi dell’inarrestabile processo di estinzione della figura dell’archivista di Stato. E archivi ed archivisti non trascurano i riflessi che i cambiamenti hanno avuto sul loro formarsi e trasformarsi. Scrive a questo proposito Mariella Guercio definendo “ubiquità digitale” i processi informativi in corso: l’impossibilità di distinguere ed analizzare i contenuti in relazione ai contesti di produzione, di tenuta e d’uso rischia di rendere difficile una valutazione critica delle fonti e dunque ubiquità anche come incertezza della provenienza. Ma a fronte della fragilità del digitale e della perdita di contestualizzazione della memoria digitale si cerca di porre rimedio attraverso poli archivistici che siano depositi documentari responsabili e luoghi affidabili di conservazione, sui quali, come osserva giustamente la Guercio, servono strategie condivise e pianificazioni nazionali per non rischiare di perdere patrimoni documentari e dunque ricerche future. L’aspetto della privacy, accennato anche nell’intervento di Mariella Guercio, in relazione però allo stile di vita digitale degli individui, viene poi trattato da Claudio Pavone, il quale sintetizza il problema delle autorizzazioni alla consultazione dei documenti riservati mettendo in evidenza la scarsa conoscenza della normativa da parte dei ricercatori. Usando una metafora nota, l’archivista sul confine, Marina Giannetto affronta il tema della cultura archivistica italiana e del ruolo di mediatore di sapere dell’archivista e del bibliotecario, in bilico tra prassi ed elaborazione teorica. Supportata da un’ampia rassegna bibliografica viene descritta la policentrica costruzione dei sistemi informativi archivistici i quali troveranno elemento di raccordo e di accesso comune nel portale archivistico nazionale del SAN (sistema archivistico nazionale). Ma, come conclude la Giannetto, il processo di costruzione di un sistema digitale alternativo alla tradizione analogica della ricerca storiografica avrà ripercussioni anche nella professione dello storico arrivando ad identificare sempre più il laboratorio dello storico con il computer connesso alle risorse elettroniche. Tornando agli archivi tradizionali, trovano spazio anche realtà, come gli archivi degli enti pubblici in generale e più nello specifico il caso degli archivi delle Regioni, che molto poco hanno offerto agli studiosi di storia contemporanea e che ancora presentano numerosi elementi problematici che si ripercuotono nelle frequenti difficoltà d’accesso da parte degli studiosi. Attraverso una indagine condotta per Regione, Alessio Gagliardi fa il punto sulla situazione degli archivi regionali ravvisando un’Italia a tre velocità. E laddove è garantito l’accesso alla documentazione, rimane aperta comunque la questione della conservazione. Come mette in evidenza Maria Letizia D’Autilia nel suo intervento, una buona politica di conservazione invece contraddistingue le fonti dell’Istat, indispensabile strumento per ricostruire la storia economica, sociale, demografica del paese. In occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, attraverso un progetto organico, è stato costituito un importante giacimento di dati statistici liberamente fruibili da web.

Non c’è stato convegno di archivisti e bibliotecari dall’unità d’Italia in poi, che non abbia avuto relazioni o sessioni sul rapporto tra archivi e biblioteche. E la terza sezione del volume affronta le problematiche connesse alla ricerca in biblioteca, partendo dalle biblioteche nazionali, affrontando poi quelle pubbliche statali, quelle istituzionali, nonché le risorse digitali. Come illustra Antonia Ida Fontana, nel suo contributo sulle biblioteche nazionali, di fronte all’esigenza di digitalizzare il patrimonio bibliografico affinché diventi raggiungibile da ogni parte del globo, si pone la questione della conservazione a cui si cerca di porre rimedio attraverso il progetto Magazzini digitali. Rispetto alle nazionali, le biblioteche pubbliche statali, come dice Simonetta Buttò, soffrono al pari delle altre istituzioni culturali per la situazione di crisi contingente, avendo però già subìto una costante riduzione delle risorse economiche e di personale negli anni scorsi. Il taglio maggiore è quello che riguarda l’acquisto dei libri, prima le monografie e poi gli abbonamenti dei periodici provocando lacune incolmabili nella documentazione. Lasciando da parte i fattori di debolezza, il perno attorno al quale ruota il sistema delle biblioteche italiane è il Servizio bibliotecario nazionale (SBN) una rete di istituti che producono il più grande catalogo accessibile via web del mondo, nato per superare la frammentazione delle strutture bibliotecarie. Possibilità sempre più estesa è quella di consultare in rete testi digitalizzati, che lungi dal rappresentare un ostacolo, si rivela, come nota giustamente l’autrice, uno strumento che viene in soccorso delle biblioteche, potenziando il campo della cooperazione. Il nuovo scenario pone dunque il bibliotecario ancora al centro dell’azione culturale, ma non più solo bensì supportato da una intera comunità che comprende studenti, ricercatori, professori, tecnici, informatici, tutti attori sociali interessati alla produzione di strumenti e contenuti culturali nuovi. Riprende il discorso delle risorse digitali consultabili in rete l’intervento di Rosanna De Longis, la quale, nel contesto, focalizza il discorso sulle fonti e strumenti per lo studio della storia contemporanea. Negli ultimi anni sono stati avviati dalle biblioteche pubbliche numerosi progetti che mirano a favorire la messa a disposizione sul web di contenuti digitali, contraddistinti però da disordine e casualità, mancanza di completezza ed organicità. I progetti illustrati partono dal 2001 con la Biblioteca digitale italiana. Negli ultimi anni poi molte biblioteche si sono adoperate per mettere in libera fruizione alcune delle loro collezioni documentarie dotate di maggiore organicità che trovano spazio nel portale Internet culturale, la cui consultazione tuttavia non contiene elementi di chiarimento sulle scelte compiute e sui criteri ispiratori. L’autrice sottolinea anche come il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia abbia i contorni di un’occasione perduta in questo contesto. Nell’ambito delle raccolte documentarie e bibliografiche Rosanna De Longis, in chiusura al suo intervento, sottolinea due esperienze portate avanti dalla Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma, ed inserite in un più organico progetto che mira a rendere fruibili liberamente sul web le proprie collezioni, una relativa alla Repubblica romana del 1849 ed una relativa alle pubblicazioni periodiche e fotografie della prima guerra mondiale su cui l’istituto conserva cospicui fondi. Espressione di vicende storiche complesse e legate alla tardiva realizzazione dell’Unità nazionale, sono le biblioteche parlamentari di cui parla nel volume Sandro Bulgarelli. Dopo una parentesi sulla storia delle due biblioteche l’autore illustra questo sistema binario gestito in modo avanzato anche grazie ad un efficace sito web. Una considerazione comune ad entrambe le biblioteche riguarda la cura dedicata ai cataloghi speciali di cui viene data una descrizione sintetica. Mentre il polo bibliotecario parlamentare costituisce una delle strutture pubbliche più efficienti, le altre biblioteche istituzionali, delle quali viene fatto un accenno in chiusura, privilegiano quasi esclusivamente la loro funzione di supporto all’organo a cui appartengono. Non manca nelle relazioni il punto di vista dell’utente, con un intervento di Emanuele Bernardi.

L’ultima sezione del volume è uno sguardo verso le nuove fonti, tali sia per la loro data di nascita ma anche per il brevissimo periodo di tempo a partire da cui hanno cominciato ad essere assunte come fonti della storia. L’intervento di Vanessa Roghi affronta il tema delle fonti audiovisive di origine televisiva, e dopo una parentesi sulle questioni di metodo, focalizza sugli archivi televisivi affrontando le criticità della loro consultazione. La prospettiva è quella di un portale condiviso di tutti gli archivi audiovisivi maturata a livello europeo e recepita recentemente anche in Italia dove però i numerosi tagli alla spesa pubblica stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di tali archivi. Si è tentato qualche anno fa un progetto, Presto (Preservation technologies for european broadcast archives) naufragato sotto la mole immensa del lavoro da svolgere. Recentemente un nuovo progetto europeo, Euscreen, costituito da un consorzio di televisioni europee, ha ripreso l’idea del portale digitale per facilitare l’accesso agli archivi audiovisivi. Nonostante al consorzio partecipi anche la Rai non è comunque possibile consultare le sue immagini on line, cosa che invece è possibile per esempio per la TV romena. Ma molte sono le problematiche che sollevano gli archivi audiovisivi primo fra tutti il diritto d’autore. La strada verso cui tendere, come dice l’autrice, è quella della sinergia fra archivi pubblici e privati come insegna il modello inglese. Non di nuove fonti ma di nuove prospettive per la storia contemporanea, parla Ilaria Moroni nel suo intervento sulla Rete degli archivi per non dimenticare, creata per valorizzare e diffondere documenti e fonti sul terrorismo, le stragi, la violenza politica, i movimenti e la criminalità organizzata. Una delle problematiche connesse alla divulgazione delle fonti documentarie conservate negli archivi e nei centri che aderiscono al progetto è senza dubbio di natura economica, soprattutto per molti archivi privati che non sono neppure riusciti ad effettuare un riordino sommario della loro documentazione. Ma altre problematiche legate alla pubblicazione degli atti delle Commissioni parlamentari di inchiesta, ai versamenti dei documenti giudiziari, alla normativa sul segreto di stato e alla digitalizzazione della documentazione giudiziaria, rimangono, come dice l’autrice, nodi cruciali da sciogliere per permettere di consegnare alle generazioni future queste memorie. Chiude il volume, l’intervento di Emmanuel Betta che si interroga sul rapporto tra ricerca storica, fonti e digitale. La rivoluzione del web ha investito anche la dimensione della ricerca storica e la sua stessa qualità e modalità di conservazione dei dati e delle fonti per scrivere la storia di questi decenni. La possibilità stessa di archiviare il web si poggia su pochi esempi, come Internet Archive, e si scontra con la produzione e memorizzazione giornaliera di più informazioni di quante ne siano state immagazzinate in gran parte della storia. E le cifre si moltiplicano per un’altra fonte storica di primario interesse, le e-mail. E l’autore in questo contesto vede decisivo il ruolo delle istituzioni archivistiche o bibliotecarie sia nella produzione di corpora di pubblicazioni omogenee e coerenti alle necessità euristiche della ricerca storica, sia perché integra e arricchisce la semplice scansione del testo attraverso i metadati. L’elemento rilevante e qualificante in questo senso non è soltanto la disponibilità gratuita del testo ma la possibilità di interrogarlo. L’autore chiude il suo intervento con alcuni esempi di uso del digitale per i documenti sonori e filmati, come l’archivio video di storia orale, la Digital Library della scuola normale superiore di Pisa o il progetto Imagotusciae.

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