Premessa
Il problema della tubercolosi è tornato ad imporsi all’attenzione medico-sanitaria del mondo nord-occidentale. La malattia, che alle nostre latitudini, si credeva ormai debellata, è stata vista riemergere. Il fenomeno morboso attuale è sottoposto ad attenta sorveglianza anche per la sempre più folta presenza di popolazioni immigrate, biologicamente indifese, suscettibili di ammalarsi per la precarietà delle condizioni materiali in cui vivono.
Recuperare dunque gli archivi degli enti che nel corso del tempo si sono occupati di queste “malattie sociali”, diventa indispensabile anche per ampliare la visuale degli studi, non solo a livello teorico, ma soprattutto nell’agire quotidiano e pratico della comunità locale.
Il valore delle fonti archivistiche, come concreto strumento per la ricerca storica, è stato a lungo sottovalutato. Il vasto patrimonio costituito dalla documentazione delle istituzioni pubbliche e, in particolare, di quelle sanitarie, ha rischiato frequentemente di seguire il destino di abbandono e di incuria che ha caratterizzato questi questi Enti in Italia.
Una delle cause principali di tale disinteresse risiede nella natura peculiare del welfare state italiano, orientato in diversi tratti del secondo dopoguerra da una visione di tipo assistenziale che ha portato a considerare i “beni pubblici” come risorse da sfruttare senza limiti e da assoggettare al conseguimento di benefici particolari, di corto respiro. Per gli archivi, inoltre, c’è da registrare una sempre più accentuata trascuratezza, legata alla scarsa considerazione che taluni soggetti istituzionali e amministrativi hanno della documentazione, ritenendola spesso un vincolo di ordine burocratico e non un prezioso deposito di informazioni, una fonte primaria per la ricostruzione della storia delle comunità locali[1]. L’abbandono in cui versano gran parte degli archivi delle istituzioni pubbliche è dovuto anche al ritardo della storiografia italiana in alcuni campi. Infatti la storia della medicina e della sanità ha ripreso il suo cammino, sospinta dagli indirizzi delle correnti storiografiche più avanzate come quello di lingua anglosassone e quella francese, solo negli ultimi anni[2].
Più in generale la storia delle città e delle comunità locali molto si è basata sulle letteratura esistente o sulle fonti più facilmente accessibili, mancando di estendere la sua attenzione agli archivi di diretta pertinenza degli enti pubblici territoriali e non territoriali, che rappresentano una risorsa ormai ineludibile al fine della ricostruzione di aspetti fondamentali della microstoria.
Deve essere presente un’azione costante e continua per evitare la dispersione o la perdita di tale patrimonio e dall’altro lato uno straordinario impegno volto a rendere fruibili tali risorse, mediante un’opera di conservazione, ma anche di riscoperta e diffusione.
I Consorzi provinciali antitubercolari
Nel 1927 furono emanate la Legge n. 1276 (Provvedimenti per la lotta contro la tubercolosi) e il Regio Decreto Legge n. 2055 (Assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi), che permisero di affrontare in maniera sistematica un problema sociosanitario all’epoca molto grave: la tubercolosi. La prima legge istituì obbligatoriamente, in tutti i capoluoghi di provincia, i Consorzi provinciali antitubercolari[3], la cui azione preventiva, diagnostica e divulgativa doveva attuarsi attraverso strutture quali i Dispensari antitubercolari provinciali costruiti nei capoluoghi di provincia e le Sezioni dispensariali realizzate in alcuni quartieri delle grandi città e nei centri minori di una stessa provincia, chiamati anch’essi, comunemente, dispensari antitubercolari. Queste istituzioni, oltre a svolgere la loro funzione, dovevano coordinare anche gli ospedali sanatoriali, i reparti ospedalieri, le case di cura e le colonie permanenti per la cura della malattia. La seconda legge permise di predeterminare i mezzi finanziari per la cura dei malati. Il Regime, inoltre, istituì altre iniziative per la raccolta di fondi, come l’emissione di francobolli con sovrattassa e l’istituzione delle giornate nazionali contro la tubercolosi, caratterizzate dal simbolo della doppia croce[4].
Per capire la portata di questo fenomeno basta indicare come nel 1938 furono censiti in tutto il territorio nazionale 94 Dispensari Antitubercolari Provinciali e 419 Sezioni Dispensariali, suddivisi in:sezioni con una propria sede, sezioni presenti in strutture ospedaliere e sezioni mobili.[5] . Queste ultime potevano avere sede propria come i Dispensari provinciali o essere ospitate all’interno di strutture ospedaliere oppure si trattava di “sezioni mobili”. Il Consorzio provinciale antitubercolare, istituito nel capoluogo di provincia aveva lo scopo di « promuovere ed agevolare la istituzione delle opere necessarie per la lotta contro la tubercolosi, sia da solo, sia in unione con altri Consorzi provinciali antitubercolari» e di «coordinare e disciplinare, in un armonico programma di azione e di propaganda, il funzionamento di tutte le opere esistenti nella provincia con tale scopo, segnalandone al prefetto le eventuali irregolarità o manchevolezze per i provvedimenti di competenza[6] ».
I Consorzi ebbero lo scopo sia di promuovere e agevolare l’istituzione delle opere necessarie per la lotta contro la tubercolosi, sia di coordinare e disciplinare il funzionamento di tutte le opere esistenti nella provincia. Di conseguenza essi si trovarono ad essere il fulcro organizzativo e amministrativo della lotta contro il bacillo di Koche a dare impulso alla costruzione, in tutta l’Italia, di strutture adibite a questo scopo[7]. I dispensari antitubercolari divennero, soprattutto durante il periodo tra le due guerre, un importante punto di riferimento per la divulgazione, la conoscenza e la prevenzione della tubercolosi su tutto il territorio nazionale: in essi non si veniva curati, ma veniva diagnosticata la malattia da curare in una sede più opportuna. Per questo motivo i dispensari, non possedendo ambienti di degenza furono generalmente piccoli padiglioni ad uno o due piani, realizzati, talvolta, vicino agli ospedali. Negli intenti vi fu, inoltre, quello di estendere il proprio compito alla protezione di coloro che convivevano con gli ammalati e della comunità per la quale gli ammalati costituivano un pericolo fisico ed economico.
A seguito della costituzione delle Unità sanitarie Locali con L.R 6 dicembre 1979 n. 93, in attuazione della legge 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario regionale e del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977 n. 616, furono sciolti i consorzi di enti locali per la gestione di servizi sociali e sanitari e i consorzi provinciali antitubercolari.
Nonostante il fatto che l’allora vigente d.p.r. 1409 del 1963 stabilisse che gli archivi degli enti pubblici soppressi dovessero essere versati ai competenti Archivi di Stato (come, d’altronde, prescrive l’attuale normativa archivistica), tuttavia si procedette con criteri molto difformi da Regione a Regione e da Provincia a Provincia.
La cura della tubercolosi sul territorio: il Consorzio provinciale antitubercolare di Viterbo ed il suo archivio
Costituzione e funzionamento del Consorzio provinciale antitubercolare di Viterbo
Sorto con decreto prefettizio n. 1640 il 30 maggio 1927 in una Provincia di recente formazione, dove ogni istituto antitubercolare mancava, iniziò a funzionare effettivamente il 1 luglio 1927, come si deduce dall’analisi della documentazione ordinata.
Il Consorzio venne costituito fra l’Amministrazione provinciale ed i Comuni della provincia, con sede in Viterbo, ai sensi della legge 24 luglio 1919 n. 1382 e dei R.D. 30 dicembre 1923 n. 2839 e 2889 sulla riforma degli ordinamenti sanitari.
Scarsi furono gli aiuti che al Consorzio vennero dalla beneficenza e dalla carità privata: non poté contare in modo sicuro se non sul contributo obbligatorio di legge, il quale da cent. 50 per ogni abitante, pagato così dalla Provincia che dai Comuni quale fissato nel decreto prefettizio del maggio 1927, salì a cent. 70 nel 1928 ed a L. 1 nel 1931.[8]
Per la raccolta di fondi e per educare all’igiene fu organizzata fin dal 1928 la Festa del Fiore che si ripeteva ogni anno a Pasqua.
Scopo del Consorzio era quello di provvedere al ricovero degli infermi di tubercolosi e di promuovere le diverse forme di attività dirette a combattere con tutti i mezzi la diffusione della tubercolosi umana, nonché attuare un programma di propaganda e di educazione antitubercolare[9]. Potevano partecipare al Consorzio anche altri Enti Pubblici ai sensi dell’art. 75 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 2889[10]. Il Consorzio provvedeva al raggiungimento dei suoi fini mediante i seguenti mezzi finanziari[11]:
- contributo da parte di ciascun comune della provincia in base agli abitanti risultanti dall’ultimo censimento ufficiale;
- contributo da parte della Provincia per abitante;
- contributi di enti, opere pie, Istituzioni di beneficenza ecc. anche non partecipanti al Consorzio, sia in denaro, sia sotto forma di prestazione d’opera, o di concessione di locali, materiale, ecc.;
- contributi di Istituti di credito, associazioni, ditte, privati, ecc.;
- proventi diversi: lasciti, donazioni, oblazioni, esiti di feste di beneficenza;
- eventuale contributo dello Stato.
Le quote contributive di Comuni e Province erano iscritte annualmente nei bilanci e versate alla cassa del Consorzio presso la Tesoreria della Provincia, in due rate uguali scadenti il 30 giugno ed il 30 dicembre di ciascun anno[12].
Il Consorzio era rappresentato da un’Assemblea Consorziale formata dai delegati degli Enti consorziati, uno per ciascun ente, nominati dalla rispettiva amministrazione.
L’assemblea nominava nel suo seno il Consiglio, costituito da 8 rappresentanti, mediante schede segrete ed a maggioranza relativa.
Inoltre erano membri del Consiglio:
- il Capo dell’Amministrazione provinciale che lo presiedeva;
- un membro designato dal Consiglio provinciale Sanitario;
- il Medico provinciale;
- l’Ufficio sanitario del Capoluogo;
- un rappresentante dell’Ospedale Grande di Viterbo;
- un rappresentante della Federazione provinciale dell’Opera Nazionale per la protezione della Maternità ed Infanzia;
- un rappresentante della Federazione provinciale Fascista (per il periodo fascista);
- un rappresentante della Federazione provinciale degli ex Combattenti;
- il Presidente della rappresentanza di Viterbo dell’Opera Nazionale degli invalidi di Guerra.[13]
Il consiglio nominava una Giunta Esecutiva, tre revisori dei conti ed il Segretario del Consorzio. Della Giunta Esecutiva era Presidente lo stesso Presidente del Consiglio e ne facevano parte il Medico Provinciale e l’Ufficiale Sanitario del Capoluogo, ed altri tre membri nominati dal Consiglio[14]. I membri del Consiglio e della Giunta e i revisori dei conti restavano in carica 3 anni ed erano rieleggibili.[15]
L’Assemblea si adunava una volta ogni semestre, mentre la Giunta Esecutiva una volta al mese e tutte le volte che lo riteneva opportuno il Presidente, il quale aveva la rappresentanza legale del Consorzio.[16]
Il Consiglio deliberava:
- i bilanci e i conti annuali;
- la creazione di Istituti di cura e di profilassi;
- l’alienazione e l’acquisto di beni immobili o l’investimento di capitali;
- l’assunzione e l’estinzione di prestiti.[17]
Alla fine di ogni esercizio la Giunta presentava, unita al conto finanziario, una relazione dettagliata della gestione.[18]L’art. 17 prevedeva che in caso di scioglimento del Consorzio le sue eventuali attività sarebbero state devolute a cura dell’Amministrazione provinciale, a quelle istituzioni con scopi analoghi a quelli per cui il Consorzio fu istituito.
Il primo problema affrontato dal Consorzio, perché considerato il più importante, fu quello di dotare il capoluogo di un dispensario, un centro diagnostico completamente attrezzato e, in un secondo tempo la provincia, di una rete dispensariale tale che nessun comune potesse sottrarsi ad una indagine diretta allo studio del fenomeno tubercolare.
È del 1927 la decisione di istituire subito, annesso all’ospedale, un dispensario, ovvero un ambulatorio attrezzato, che poi nel 1928 ebbe una sua sede specifica con la costruzione di un istituto dispensariale annesso all’Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo.
La Provincia venne divisa in 12 zone, ciascuna delle quali comprendenti un gruppo di paesi tra di loro uniti oltre che da facili vie di accesso, anche da tradizioni comuni e da consuetudini di vita. Queste 12 sezioni dispensariali funzionarono dal 1929 più come centri di raccolta di notizie che come veri e propri dispensari. Nel 1930 due di esse, le sezioni di Sutri e Valentano, acquistarono una individualità più spiccata soprattutto a fini diagnostici con una completa attrezzatura tecnica.
All’indirizzo profilattico mancava ancora l’assistenza domiciliare esercitata soprattutto dall’Assistente sanitaria visitatrice, la cui istituzione, per le maggiori sezioni, fu decisa nella seduta della Giunta Esecutiva del 3 novembre 1932, disciplinandone la nomina e le funzioni con l’approvazione del “Regolamento del Dispensario provinciale e delle Sezioni Dispensariali” compilato sul regolamento tipo suggerito dalla Direzione Generale di Sanità Pubblica.
Nel 1931 fu curata la costruzione di due nuove sezioni dispensariali, Civita Castellana e Ronciglione, ambedue in locali appositamente costruiti e quindi attrezzati in modo completo, le quali rappresentarono dopo il dispensario del capoluogo, le migliori unità dispensariali.
Le altre 8 sezioni erano: Acquapendente, Bagnoregio, Montefiascone, Orte, Soriano, Tuscania, Tarquinia, Vetralla. Molti di questi dispensari non erano forniti di strumenti microscopici e radiologici, quindi, dove possibile, fu stipulata una convenzione con l’Ospedale vicino.
I dispensari svolgevano anche le seguentiattività :
- scelta dei malati ospedalizzabili o da inviare nei sanatori;
- visite di controllo eseguite dal Dispensario Centrale per conto della Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali ai malati assicurati;
- assistenza ambulatoriale esercitata sia dal Dispensario Centrale che dalle sezioni per conto della Cassa;
- somministrazioni di medicinali ai più bisognosi;
- scelta dei bambini da inviare alle colonie provinciali marine e montane delle quali dal 1928 il Consorzio ha l’organizzazione e la direzione;
- propaganda giornaliera diretta ai malati ed ai familiari attraverso opuscoli, cartelli, ecc.
Nel 1934 il Dispensario Provinciale, date le numerose richieste, fu ampliato e venne aperto tutti i giorni nelle ore antimeridiane, prestandovi il loro servizio il Direttore del Consorzio ed un aiuto medico[19] .
Nel 1928, grazie ad un legato testamentario, i malati più bisognosi furono inviati presso l’Ospedale di Viterbo, inviando pochi altri in vari istituti Sanatoriali e preventoriali fuori provincia.
Si tentò di costruire, con il concorso della Cassa Nazionale Assicurazioni Sociali, un Ospedale sanatoriale in Viterbo vicino all’ospedale in costruzione del quale avrebbe utilizzato i vari servizi. Ma l’orientamento successivo della Cassa di accentrare in Roma nel grande Istituto Mussolini i malati delle province laziali, mise a tacere in modo definitivo il progetto.
Quindi il Consorzio utilizzò per il ricovero dei propri malati il “Reparto Polidori” dell’Ospedale di Viterbo della capacità di circa 40 posti letto, un reparto dell’Ospedale di Acquapendente di 12 letti e inviando fuori Provincia i malati per il trattamento sanatoriale.
I ricoveri diminuirono nel 1932 per un nuovo orientamento del Consorzio:si preferì il ricovero di malati sanatoriabili anziché immobilizzare le proprie disponibilità per malati irrecuperabili le cui degenze erano a carico dei Comuni. Infatti fin dal 1928 il Consorzio richiese ai Comuni il concorso di L.5 giornaliere per i malati da ricoverare negli ospedali della Provincia, L.10 per quelli sanatoriali e con provvedimento del luglio 1932 fu chiesto ai Comuni un contributo di L.5 per i malati ovunque ricoverati.
Il Consorzio provvedeva direttamente al ricovero nei vari Istituti di cura a seconda delle indicazioni che il malato presentava, fissando un massimo di 6 mesi di ricovero, tranne i casi più gravi.
Dopo il recupero dell’ammalato, il Consorzio provvedeva affinché non ci fosse un ritorno della malattia concedendo dei sussidi post-sanatoriali: i dimessi dai sanatori o dagli ospedali venivano assistiti presso il dispensario o a domicilio, se ritenuti non in grado di lavorare ed iscritti nelle liste dei poveri del comune.
La prevenzione infantile veniva attuata attraverso colonie temporanee estive, colonie elioterapiche locali e assistenza scolastica; inoltre una vasta opera assistenziale a favore dei fanciulli predisposti alla tubercolosi fu compiuta, spesso in accordo con il Comitato provinciale dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia[20], con l’invio di numerosi bambini in colonie profilattiche permanenti.
La colonia estiva segnò la prima forma di attività profilattica nella provincia svolta dal Consorzio, e la prima colonia marina fu fatta a Tarquinia, con tende concesse dalla Direzione di Sanità nel 1928.
Le ammissioni dei bambini avvenivano sempre attraverso il Dispensario centrale e le sezioni dispensariali.
Alla colonia marina seguì nel 1929 una colonia montana a S. Martino al Cimino che nel 1932 ebbe dimora stabile con la costruzione di tre padiglioni a carico dell’Amministrazione provinciale, seguiti nel 1933 da altri tre.
Dal 1928 venne somministrato, nelle scuole elementari, olio di fegato di merluzzo e tale forma di assistenza fu sviluppata negli anni successivi.[21]
Tra i mezzi più efficaci di prevenzione infantile ci fu l’apertura della Colonia permanente di Bolsena avvenuta il 16 aprile 1934, fatta costruire dall’Amministrazione provinciale ed affidata in esercizio al Consorzio.
Questa colonia rappresentò la prima opera antitubercolare della Provincia a carattere permanente e fu intitolata al pediatra viterbese Luigi Concetti.
Scopo del preventorio era il ricovero dei bambini di ambo i sessi dai 6 ai 12 anni, predisposti alla tubercolosi, o figli di tubercolotici o conviventi con tubercolotici. Aveva un reparto di quarantena, un reparto di degenza, una infermeria, una scuola, ed aveva una capienza di 60 posti letto. I bambini venivano segnalati dai Dispensari e scelti dal Dispensario centrale il quale li inviava in colonia dopo aver praticato per ognuno di essi un esame radiografico e una cutireazione, praticando a tutti, nel primo mese di soggiorno,una vaccinazione detta Maragliano.
Soprintendeva alla colonia il direttore del Consorzio, con l’aiuto di personale laico e religioso: il primo come persone di fatica, il secondo con funzioni direttive.
Venivano inviati alla Colonia anche i convalescenti polmonari del padiglione pediatrico di Porta Furba, e numerose erano le richieste avanzate dai comuni della Provincia e dei vicini Consorzi di Roma e Terni.
Il fondo archivistico
L’archivio del Consorzio provinciale Antitubercolare è stato ritrovato durante i lavori di riordinamento dell’Archivio storico della Provincia di Viterbo[22], nelle soffitte del palazzo provinciale. Sicuramente ha subito nel corso del tempo varie perdite, ma complessivamente il materiale ha mantenuto l’ordinamento originale e le perdite sono probabilmente coeve alla sua soppressione.
Nonostante l’allora vigente d.p.r. 1409 del 1963 stabilisse che gli archivi degli enti pubblici soppressi dovessero essere versati ai competenti Archivi di Stato, il fondo del Consorzio antitubercolare di Viterbo fu frammentato tra la Provincia di Viterbo, l’Archivio di Stato e l’attuale ASL (allora USL VT/3), seguendo nei fatti il principio dell’eredità delle funzioni esercitate e delle competenze.
Presso l’archivio storico della Provincia di Viterbo è conservata gran parte dell’archivio, 295 pezzi, con un arco cronologico compreso tra il 1927 ed il 1975.
Presso l’Archivio di Stato di Viterbo sono state versate 9 buste nel 1983. Questa documentazione, ancora non riordinata, comprende statistiche, relazione e progetti del sanatorio per Viterbodal 1936 al 1968.
La parte sanitaria, comprendente i fascicoli dei pazienti e la documentazione diagnostica, è stata ritrovata all’interno dell’archivio della ASL di Viterbo. Purtroppo tale documentazione oggi non è più consultabile a causa della inagibilità dei locali dell’ex Ospedale Grande degli Infermi e delle precarie condizioni di conservazione dei fascicoli stessi.
Dopo la spolveratura e la disinfestazione della documentazione storica della Provincia di Viterbo, è stato effettuato il riordinamento dei fondi archivistici, che si trovavano disseminati nelle soffitte dell’amministrazione. Insieme al fondo del Consorzio provinciale antitubercolare, sono stati recuperati anche gli archivi del Comitato provinciale dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia e del Comitato antimalarico. Nel lavoro di riordinamento, in pochi casi sono stati sostituiti i faldoni originali che si trovavano in buone condizioni
L’archivio del Consorzio si compone di 10 serie (Circolari, Atti contabili, personale, assistenza, Colonia Bolsena, Comitato prezzi, protocolli della corrispondenza, carteggio, miscellanea, stampa).
La serie delle circolari, sicuramente mutila, si compone di una sola busta con arco cronologico compreso tra il 1928 ed il 1946. Si tratta di circolari inviate dagli organi superiori tra cui l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica.
La serie degli atti contabili è costituita dalle seguenti sottoserie: Bilanci preventivi, Conto consuntivo, allegati ai consuntivi, Libri mastri, Giornali cassa, Registri spese. Complessivamente si tratta di 51 registri e 98 buste con un arco cronologico compreso tra il 1929 ed il 1975. Questa è la serie meglio mantenuta dell’archivio e che non presenta lacune cronologiche.
La serie del personale si compone di 5 buste con un arco cronologico compreso tra 1928 e 1959. Si tratta di concorsi per i posti di direttore Sanitario e per Assistente Sanitaria Visitatrice.
La serie dell’assistenza (49 registri e 30 buste), che rappresenta l’attività propria dell’Ente, è stata articolata in 12 sottoserie con un arco cronologico compreso tra il 1927 e 1963: Spedalità, Ricovero neonati, Ricoverati ospedale Acquapendente, Ricoverati ospedale Viterbo, Ricoverati in sanatori vari, Ricoverati sanatorio Costanzo Ciano (LI), Ricoverati in preventori vari, Dimessi dalle case di cura, Sussidi, Ricoveri in sospeso, Ricoveri che non hanno avuto corso tbc e preventori, Ispezioni case di cura.
La documentazione riguardante la Colonia di Bolsena si compone di 23 registri e 7 buste con un arco cronologico compreso tra 1935 e 1961 ed è articolata in 5 sottoserie: Libri mastri, Libri giornali, Amministrazione, Ricoverati nel preventorio, Dimessi. . La colonia lacuale di Bolsena era di Proprietà della Provincia, ma data in gestione al Consorzio che vi ricoverava i bambini a rischio di tubercolosi. Questa colonia era anche utilizzata dai Consorzi Antitubercolari di Roma e di Terni che versavano una quota per il suo mantenimento.
Il comitato prezzi era un organo interno al Consorzio che doveva vagliare i prezzi dei generi presenti sul mercato e scegliere il più conveniente in rapporto qualità/prezzo. Purtroppo il solo registro dei Verbali della commissione acquisti del 1950 non consente di capire a pieno il suo funzionamento.
Le due serie dei protocolli e della corrispondenza sono estremamente lacunose. La prima si compone di 26 registri dal 1927 al 1959 (mancano gli anni 1942; 1944; 1946), mentre il carteggio si compone di 2 buste con un arco cronologico compreso tra 1932 e 1941. Si tratta di una serie mutila avendo noi documentazione dal 1932 al 1934 e poi 1941.
Chiudono l’archivio la miscellanea in cui sono confluiti fascicoli a quali non è stato possibile attribuire una serie. Si tratta di due buste con arco cronologico compreso tra 1934 e 1957 e la stampa, ovvero i bollettini ufficiali della Prefettura di Viterbo, inviati per corrispondenza al Consorzio.
[1] A. Lepore, La memoria della città: fonti archivistiche per la storia dei servizi sociali, in Medicina e ospedali memoria e futuro. Aspetti e problemi degli archivi sanitari, atti del convegno Napoli, 20-21 dicembre 1996,Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, Roma, 2001, p. 237.
[2] Sul tema si può vedere G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia: dalla peste nera ai nostri giorni, RomaBari, GFL editori Laterza, 2016; S. Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, Roma, Donzelli, 2004. In entrambi i testi si può leggere la bibliografia di riferimento sull’argomento.
[3]Il primo provvedimento legislativo che istituì i Consorzi provinciali antitubercolari fu il RD del 18 aprile 1918; sul tema dei consorzi provinciali antitubercolari si può vedere D. Minafra, il consorzio provinciale antitubercolare, in N. Papaldo (a cura di), Gli enti pubblici sanitari, Padova, 1977, pp. 243-251.
[4]Il simbolo della doppia Croce quale emblema per la lotta contro la tubercolosi fu istituzionalizzatocon la Legge n. 3038 del 6 Dicembre 1928 e disciplinato l’uso con lacircolare ministeriale del 21 Novembre del 1930 n. 47217.
[5]Il bello che cura. L’architettura dei dispensari antitubercolari e dei sanatori in Italia tra le due guerre, a cura di L. Bonesio, F. Mangione, C. Rosponi, A. Soffitta, Roma 2009, p. 13
[6] Cfr. l’art. 1 della Legge 23 giugno 1927, n. 1276
[7]Prima della Grande Guerra si trovavano in Italia già edifici adibiti a simili mansioni:“ […] Nel 1924 i dispensari erano 108: alla fine del 1933 ascendevano a 406 e sono andati sempre aumentando […]”. Tratto da G. Bizzarini, Storia e aspetti della lotta antitubercolare, Firenze 1938.
[8]“Relazione sul funzionamento del Consorzio Provinciale Antitubercolare di Viterbo nel primo quinquennio 1928 VI – 1932 XI” pp. 3-4
[9]Statuto. Consorzio provinciale antitubercolare,Viterbo, Urcionio, 1928, Art. 2
[10]Ivi, Art. 3
[11]Ivi, Art. 4
[12]Ivi, Art. 5
[13]Ivi, Art. 7
[14]Ivi, Art. 8
[15]Ivi, Art. 9
[16]Ivi, Artt. 10-12
[17]Ivi, Art. 20
[18]Ivi, Art. 14
[19]Consorzio provinciale antiturcolare, Relazione della Direzione sanitaria sulle attività svolte dal Consorzio dell’anno 1934.XII, Viterbo, Tipografia Agnesotti, 1935, pp. 10-13.
[20] L’archivio del Comitato provinciale dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia è conservato anch’esso nell’Archivio storico della Provincia di Viterbo.
[21]Relazione sul funzionamento del Consorzio Provinciale Antitubercolare di Viterbo nel primo quinquennio 1928 VI – 1932 XI, .pp. 18-19
[22] L’archivio è stato riordinato tra il 2002ed il 2005 grazie ad un finanziamento prima della stessa Provincia e successivamente usufruendo di finanziamento regionale. Il lavoro di ordinamento ed inventariazione è stato effettuato da M. Chiara Bernardini, Federica Carboni, Chiara Franzoni e Gilda Nicolai, sotto la vigilanza della Soprintendenza archivistica per il Lazio.