L’Europa mediterranea nell’integrazione europea: spazi e culture, economie e politiche

Obiettivi, percorsi e problematiche metodologiche

Dopo un periodo nel quale le relazioni internazionali e le dinamiche economiche si muovevano per lo più lungo altre rotte, negli ultimi anni il Mediterraneo è tornato prepotentemente sotto i riflettori: il dramma dei flussi migratori, il perdurare del conflitto arabo-israeliano e le cosiddette Primavere arabe trasmettono l’immagine di un’area complessa e in fermento. Anche nella sponda europea le acque sono agitate: gli effetti della crisi economica hanno generato turbolenze finanziarie che si sono abbattute in particolare su Cipro, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, mettendo a dura prova la tenuta della moneta unica e la solidarietà tra gli stati membri. Nello stesso tempo, dal luglio 2013 la Croazia è il ventottesimo stato dell’Ue e significativi passi avanti sono stati compiuti verso l’adesione di Serbia e Montenegro.

La complessità del Mediterraneo non è certamente un fenomeno recente, ma affonda le radici nell’antico mosaico di culture e di civiltà che vi si affacciano. Sin dal capolavoro di Braudel[i], questa complessità è stata narrata attraverso ricerche che l’hanno approfondita e scandagliata in modo ormai ricco e consolidato. Eppure, la presenza dell’Ue e del processo d’integrazione europea permette forse di allargare ancor di più la visuale e arricchire quindi ulteriormente il panorama degli studi. Perché l’Ue, ad esempio, è uno dei principali promotori del dialogo tra le diverse sponde del Mediterraneo[ii]. Ma soprattutto perché, diversamente dagli studi che hanno posto l’accento sulla comparazione e sulla compenetrazione tra realtà nazionali o regionali diverse, o che si sono soffermati sull’azione svolta dalle organizzazioni internazionali più classiche, ripercorrere il processo d’integrazione europea permette di raccontare l’evoluzione dell’Europa mediterranea nell’Ue da una prospettiva d’insieme che, partendo da un contenitore comune, mette in connessione istituzioni, politiche, culture, società, popoli, religioni, spazi ed economie.

Non è solo lo stato dell’arte sull’Europa mediterranea a beneficiare dell’incontro tra la storia dell’integrazione europea e quella del Mediterraneo. È la stessa storiografia del processo d’integrazione ad arricchirsi di un approccio innovativo, che potrebbe essere definito “integrale”, che intreccia e tiene insieme i filoni più tradizionali degli European studies: i protagonisti, le istituzioni, i partiti e i movimenti, gli allargamenti e gli spazi geografici, le politiche comuni, l’impatto sulle società e sulle economie nazionali. Se è decollato lo studio, in un’ottica di lungo periodo, dell’integrazione europea e del suo impatto negli Stati membri[iii], se si sono avviate ricerche e studi comparati su alcuni filoni[iv], lo studio delle ripercussioni dell’integrazione europea su un gruppo di paesi appartenenti alla stessa area geografica è ancora allo stato embrionale, oppure è stato affrontato solo attraverso singoli casi studio – come per la politica agricola comune[v].

L’obiettivo principale di questo contributo è dunque quello di ripercorrere in modo “integrale” la presenza dell’Europa mediterranea nel cammino compiuto dall’integrazione europea, dall’istituzione della prima comunità nel 1950 alle problematiche più legate all’attualità – ad esempio l’adesione della Turchia. L’idea di fondo è quella di offrire una visione d’insieme di questo percorso, proporre alcuni “affondi” e suggerire ulteriori piste e spunti di ricerca.

Il primo interrogativo cui rispondere è quale sia la via migliore per decostruire e ricostruire il ruolo dell’Europa mediterranea nel processo d’integrazione: gli aspetti e le problematiche da tenere in considerazione sono vasti e complessi. L’ipotesi più convincente, per evitare il rischio di sviluppare un percorso a “compartimenti stagni” che non comunicano tra loro, sembra quella di “prendere in prestito” la categorizzazione resa famosa dagli studi di Fernand Braudel, mutuandone la felice intuizione di distinguere nel tempo della storia “un tempo geografico, un tempo sociale, un tempo individuale”[vi]. Partendo da questo assunto appare più che plausibile strutturare lo studio dell’Europa mediterranea nella Cee/Ue su tre piani: 1) spazi: ovvero, l’evoluzione della presenza mediterranea nell’integrazione europea, studiare gli allargamenti, i paesi candidati e candidati potenziali, la regionalizzazione di diversi stati mediterranei, il ruolo svolto dalle città; 2) cultura, società, economia: le dinamiche legate alle lingue, alla sfera religiosa, il contributo delle arti, l’impatto delle politiche europee, l’evoluzione delle problematiche economiche nell’area e nei singoli stati mediterranei; 3) eventi, protagonisti: attori e tappe che hanno scandito e determinato questa evoluzione, senza tralasciare i trattati, le relazioni tra i paesi mediterranei, le istituzioni comuni e gli altri stati membri, la contaminazione tra le culture politiche, la cooperazione tra l’Ue e le altre sponde del Mediterraneo.

Lo storico che voglia ripercorrere l’evoluzione dell’Europa mediterranea nell’Ue è destinato a incontrare sulla sua rotta più di uno scoglio. Il primo è la necessità di confrontarsi con gli studi sul Mediterraneo di Braudel e la vasta produzione storiografica che l’ha riletto, interpretato, aggiornato e riproposto in altre epoche e contesti[vii]. Il secondo è costituito dalla letteratura – anche qui vastissima e consolidata – che si è occupata dell’Europa mediterranea e delle altre realtà affacciate sul mare nel secondo ‘900. Tuttavia, malgrado l’innegabile suggestione di un incontro tra Braudel, gli European studies e la letteratura sul Mediterraneo, indulgervi comporta il rischio di allontanarsi dall’obiettivo di collocare l’Europa mediterranea nella storia del processo d’integrazione europea: appare quindi necessario che la prospettiva di questo contributo resti saldamente ancorata agli European studies.

Un ulteriore scoglio, infine, è l’apparente sovrarappresentazione, tra i tre livelli di analisi proposti, della storia politica: può sembrare paradossale che, per ricostruire l’evoluzione dell’Europa mediterranea nella Cee/Ue anche da un punto di vista sociale, culturale ed economico, si debba ricorrere in modo massiccio alla storia politica. Tuttavia, è bene ricordare che il processo d’integrazione è pur sempre un fenomeno eminentemente politico, nato e fatto progredire in via pressoché esclusiva, anche in ambito sociale, culturale ed economico dai governi nazionali e dalle élites politiche, burocratiche e intellettuali.

 

 

 

 

Gli spazi

 

La centralità del Mediterraneo negli equilibri europei era emersa chiaramente già nella seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra quando fu l’intera area a essere oggetto di rinnovate attenzioni – si pensi ai Giochi del Mediterraneo proposti dall’egiziano Taher Pasha nel 1948. Inoltre, il clima che s’instaurò tra Yalta e Potsdam generò le prime tensioni proprio nel bacino mediterraneo, dalla Palestina alla Grecia, senza tralasciare la strage di Portella della Ginestra.

Nonostante questa centralità, il processo d’integrazione europea intraprese un’altra strada: la CECA nacque intorno al confine renano e il Mediterraneo ne divenne l’area periferica. La Francia, infatti, aveva ancora ambizioni da “attore globale”. Inoltre, le conflittualità in Algeria e Tunisia e lo smacco ricevuto a Suez nel 1956, complicarono non poco lo sviluppo di una politica francese nel Mediterraneo; anche in seguito alla conclusione dell’era De Gaulle – 1958-1969 – la Francia si dedicò soprattutto alla costruzione della relazione – e della competizione – con la RFT. Spagna e Portogallo avrebbero voluto far parte del club europeo, ma l’autoritarismo dei regimi iberici fu un ostacolo insormontabile[viii]. Così per la Grecia che, pur essendo arrivata a un passo dall’adesione, vide naufragare le sue speranze a causa della dittatura dei colonnelli[ix]. Gli autoritarismi, insieme alla guerra fredda, furono dunque i “paletti” che limitarono il coinvolgimento dell’Europa meridionale nelle prime – lunghissime – battute del processo d’integrazione[x]. L’Europa mediterranea nella Cee era dunque rappresentata soprattutto dall’Italia.

Dovettero passare oltre trent’anni per assistere all’ingresso di nuovi paesi mediterranei: con la fine dei regimi autoritari, infatti, la Grecia nel 1981, Spagna e Portogallo nel 1986, entrarono nella Cee. La Comunità aveva quindi compiuto enormi passi avanti senza che a questo percorso partecipasse sin dall’inizio una sua consistente rappresentanza mediterranea; alcune debolezze “strutturali” dell’Europa meridionale nella Cee/Ue sono da attribuire anche a questa partenza “a scoppio ritardato”. Gli allargamenti degli anni ’80, non solo segnarono la nascita di una vera e propria dimensione mediterranea nella Cee, ma furono anche l’occasione, per quest’ultima, di presentarsi come approdo democratico per i paesi che uscivano dalla dittatura e che avevano bisogno di consolidare il regime democratico. I paesi dell’Europa centrale e orientale hanno sempre guardato a Grecia, Spagna e Portogallo come a dei modelli di riferimento per la delicata fase di transizione e consolidamento delle democrazie seguite al crollo del blocco comunista.

La nuova compagine comunitaria non ebbe molto tempo per sperimentarsi poiché, pochi anni dopo l’ingresso della Grecia e dei paesi iberici, la cortina di ferro si dissolse repentinamente, avviando un profondo sconvolgimento nelle relazioni internazionali che coinvolse anche la Cee. Se gli anni ’80 possono essere definiti come quelli dell’allargamento al Mediterraneo, la decade successiva sancì un riequilibrio del baricentro comunitario con l’adesione nel 1995 di Austria, Svezia, Finlandia e con l’avvio delle procedure per la riunificazione con i paesi dell’ex blocco sovietico.

Nel grande allargamento all’Europa centrale e orientale del 2004 vi fu spazio anche per l’immissione nell’arena comunitaria di nuovi paesi mediterranei[xi]: Cipro, Malta e la Slovenia, tre realtà poco estese e con economie modeste – a eccezione della slovena.

Se i “confini” dell’Ue sono piuttosto definiti, il consolidamento della dimensione meridionale è ancora in costruzione[xii]. Sono diversi i paesi dell’area mediterranea che aspettano di finalizzare il processo di adesione, che porterebbe a un rafforzamento del Mediterraneo nella Ue. Già nel 2003, con la “Dichiarazione di Salonicco”, furono fissati i criteri di adesione per i paesi dell’area balcanica occidentale[xiii]: il testo conclusivo, però, si distingueva proprio per l’assenza di un riferimento al Mediterraneo, che un allargamento ai paesi balcanici invece comportava. L’ingresso croato ha sancito una prima concretizzazione del processo di Salonicco. Ma non c’è solo Zagabria; sono quattro i paesi mediterranei candidati all’adesione[xiv]: Serbia, Montenegro, Macedonia e Turchia. Altri sono considerati candidati potenziali e hanno già intrapreso la rotta per concludere positivamente il processo di adesione: Albania, Kosovo e Bosnia-Erzegovina.

Dietro queste candidature ci sono storie nazionali ed europee complesse: c’è la Turchia che sin dal 1959[xv] ha chiesto di entrare, ci sono i Balcani[xvi]. La valenza storica, politica e sociale di questi allargamenti potenziali è evidente e va ben oltre le mere implicazioni geografiche: un allargamento che portasse l’intera penisola balcanica sotto l’ombrello comune di Bruxelles avrebbe una portata assai simile a quello del 2004 e comporterebbe la chiusura dei conti col ‘900, che proprio in quell’area ebbe il colpo di coda più drammatico[xvii]. Nei paesi mediterranei vivono circa 128 dei 503 milioni di cittadini dell’Ue – circa il 25%. Con gli allargamenti la percentuale salirebbe al 37% – 223 di una Ue a 600 milioni.

Tuttavia, queste riflessioni rischiano di far commettere l’errore di trattare il Mediterraneo e i paesi che vi si affacciano come un unicum laddove, all’interno dello stesso spazio geografico, coesistono realtà diverse. Esistono cioè più Mediterranei in base alla posizione di ogni paese che vi si affaccia: quelle dell’Italia, passaggio ineludibile per chiunque attraversi il mare, o della Spagna, porta d’ingresso con l’Atlantico, sono ben diverse da quella più defilata della Slovenia; esistono i Mediterranei dei paesi bagnati dal mare e di quelli, come il Portogallo, che storicamente vi sono legati, pur non affacciandovisi direttamente[xviii]; i Mediterranei dei vari “mari interni”; i Mediterranei sui quali si affacciano solo paesi membri o candidati della Ue, come l’Adriatico, e quelli che sono più un luogo d’incontro tra continenti e realtà statuali diverse; esistono, infine, Mediterranei legati alle penisole o alle macroaree storiche di appartenenza – iberico, latino, balcanico, greco, turco. Non si tratta di proporre un ripasso delle più elementari nozioni di geografia: dietro a ogni “Mediterraneo” ci sono realtà politiche e sociali, storie nazionali e connessioni che in modo diverso si esprimono nell’arena comunitaria anche attraverso spazi diversi. Dietro a ogni Mediterraneo ci sono sfide che si intrecciano con quelle dell’Ue[xix].

A questi mediterranei se ne affiancano poi altri che si ottengono non allargando la visuale, bensì restringendola. Il crollo del Muro di Berlino ha portato anche a una riscoperta del territorio e delle realtà locali. In altre parole, esistono realtà differenti all’interno dei singoli stati, che negli ultimi venti anni stanno conoscendo una nuova stagione[xx]: se la Francia sembra a volte distante dal Mediterraneo, la Corsica e la Provenza sono invece molto interessate alle sue vicende. Lo stesso per la Catalogna, fino ad arrivare all’estremo caso dell’Italia, dove esiste una vera e propria bipolarità tra un Sud intimamente incuneato nel Mediterraneo e un Nord, non solo geograficamente, assai più distante[xxi].

Aumentando ancora “lo zoom” si scopre che, se Parigi è lontana dal mare, Marsiglia, città europea della cultura nel 2013, ne è invece una delle “capitali” per eccellenza, come lo è Barcellona rispetto a Madrid o Istanbul nei confronti di Ankara. Esiste dunque un “Mediterraneo delle città” che lega realtà geograficamente distanti, o diverse per cultura, economia e storia, ma intimamente legate dal rapporto con il mare e dalle attese verso il ruolo della Ue[xxii].

 

Culture e società

Se la dimensione geografica offre dei punti di riferimento chiari, quella socio-culturale sembra più problematica. Innanzitutto perché se gli allargamenti sono figli del processo di unificazione, gli aspetti socio-culturali affondano invece le radici in tempi che risalgono alle prime civiltà che abitarono nel Mediterraneo e che ne modellarono gli aspetti culturali, sociali ed economici. Lo studio di queste problematiche presenta immediatamente due problematiche: 1) il rischio di uscire dal contesto dell’integrazione europea, invadendo campi coperti da ricerche già consolidate; 2) la letteratura pressoché infinita su identità, società, popoli, religioni, economie nell’ambiente mediterraneo.

Tuttavia, alcune considerazioni che stanno “a monte” rispetto all’avvio dell’esperienza comunitaria sono doverose e servono a mettere meglio a fuoco il ruolo giocato negli ultimi sessant’anni dalla Cee/Ue. La prima riguarda l’impatto delle vicende legate al ‘900 nelle relazioni inter-mediterranee. Fino al secolo precedente, infatti, la contaminazione tra le varie realtà nazionali, anche se talvolta conflittuale, era feconda: le ricerche sul repubblicanesimo in Spagna e in Italia, ad esempio, hanno messo in luce una compenetrazione tra esperienze nazionali diverse che ebbe proprio nel Mediterraneo un prezioso luogo d’interscambio[xxiii]. Il progressivo irrigidimento nazionalistico, sfociato nella Grande Guerra, interruppe i rapporti e segnò l’avvio dell’età d’oro dei nazionalismi.

La forza dei nazionalismi, che raggiunse il culmine con l’esplosione del fascismo italiano, e poi con la sua “esportazione” nell’area iberica e in Grecia, rese più che difficile la costruzione di una memoria comune cui richiamarsi per superare le divisioni della seconda guerra mondiale. La guerra fredda e la perifericità del Mediterraneo nelle prime fasi del processo d’integrazione europea contribuirono a saldare i diversi mediterranei europei ai vari percorsi nazionali, senza sciogliere i nodi prodotti dalle vicende della prima metà del ‘900. L’assenza di una memoria condivisa si è ripercossa sull’Ue, rallentandone lo sviluppo o richiedendo che si chiudessero prima i “conti col passato” – si pensi all’atteggiamento italiano verso l’ingresso della Slovenia[xxiv].

La seconda riflessione è che l’Europa mediterranea nell’Ue non è un’area omogena dal punto di vista culturale e identitario: anzi, ogni allargamento ha ulteriormente ampliato il ventaglio delle culture. Un esempio classico è quello delle lingue: se, fino alla fine degli anni ’70, l’italiano e il francese erano le lingue dell’Europa mediterranea, gli anni ’80 videro l’ingresso del greco moderno, dello spagnolo – castigliano – e del portoghese. Dal 2004 entrarono nel club l’inglese e il maltese di Malta, il turco di Cipro, lo sloveno. Altre lingue marcano i candidati all’adesione.

Il complesso degli idiomi mediterranei si è poi arricchito di un mosaico di lingue e dialetti di origine antica, che hanno peculiarità diverse rispetto alla lingua ufficiale. Il revival etno-nazionalista[xxv] iniziato nei primi anni ’90 ha trovato nel catalano in Spagna, nel siciliano e nel sardo in Italia, nel corso in Francia i casi più noti e discussi.  Non solo: con la riscoperta del territorio e delle realtà locali, le lingue nazionali sono state apertamente messe in discussione da movimenti e partiti etno-regionalisti in nome del recupero storico e culturale di lingue e dialetti regionali, trovando nel PE una cassa di risonanza e di riconoscimento[xxvi] – ad esempio con l’introduzione della cartellonistica stradale “bi-lingue”.

La terza riflessione riguarda la sfera religiosa. La supremazia della Santa Sede e della cristianità espressa dalla Chiesa di Roma, con l’ingresso della Grecia ortodossa divenne supremazia delle cristianità. Con l’allargamento del 2004, entrarono un drappello di musulmani ciprioti  e uno di protestanti sloveni. L’Europa mediterranea nella Ue non era più quindi un club esclusivo dei cristianesimi guidati dal Pontefice di Roma. Tuttavia, al maggiore pluralismo religioso faceva da contraltare la rigidità della Costituzione maltese: “The religion of Malta is the Roman Catholic Apostolic Religion; The authorities of the Roman Catholic Apostolic Church have the duty and the right to teach which principles are right and which are wrong”[xxvii].

È evidente come i candidati potenziali rappresentino due ulteriori sfide che vanno ben oltre l’Europa mediterranea: la Turchia, con quasi settanta milioni di musulmani, e la Bosnia-Erzegovina – dove se ne stimano oltre dieci anche se non è stato ancora fatto un censimento. Con queste due adesioni il 15% circa della popolazione Ue sarebbe costituito da musulmani. Il maggiore pluralismo religioso, accelerato dai consistenti flussi migratori da paesi terzi di religione musulmana, ha prodotto da un lato un irrigidimento che sfocia non di rado nella discriminazione – si pensi ai movimenti politici, religiosi e intellettuali pesantemente schierati contro l’adesione turca – ma ha anche stimolato l’inizio di nuova stagione di dialogo interreligioso che si è naturalmente aperta anche alla terza grande religione monoteista: l’ebraismo. Inoltre, dai primi anni ’90 si sta verificando anche nell’Europa mediterranea e in particolare nelle sue roccaforti cattoliche, un’avanzata di correnti post-materialistiche che hanno iniziato a mettere in discussione il ruolo della Chiesa e delle Conferenze episcopali nelle rispettive società. La sfera religiosa, come ha dimostrato l’animato dibattito sulle radici cristiane che si sviluppò durante i lavori della Convenzione[xxviii], è quindi un tema caldo che trova nell’Europa mediterranea uno dei luoghi di maggiore conflittualità ma anche di dialogo.

Se è vero che la mancanza di una memoria condivisa, il mosaico di lingue e dialetti, la difficile coesistenza tra le religioni e il rapporto tra queste e le società mediterranee possono minare alle fondamenta la nascita di un’identità comune, è anche vero che negli ultimi anni si è assistito a un intensificarsi di relazioni che ha fatto emergere un tessuto culturale comune e importanti occasioni di dialogo. La letteratura è uno degli esempi migliori: forte è il legame tra il commissario Montalbano e il catalano Pepe Carvalho, laddove il nome del personaggio siciliano creato da Andrea Camilleri è un omaggio a Manuel Vasquez Montalbán. La nuova stagione della letteratura mediterranea contemporanea si estende ai francesi Daniel Picouly e Daniel Pennac, al turco Orhan Pamuk, agli italiani Valerio Massimo Manfredi e Francesco Geda, fino al croato-bosniaco Predrag Matvejevic[xxix]. Le influenze tra questi scrittori sono sorprendenti ed evidenziano l’irresistibile tentazione comune di narrare le vicende del Mediterraneo e delle sue diverse anime. Anche in campo musicale si sono sviluppate collaborazioni come quella tra Zucchero e l’algerino Ched Mami, si sono esplorati i suoni e le culture dell’area come hanno fatto Franco Battiato, Khaled e Achinoam Nini – Noa -, l’Orchestra per matrimoni e funerali di Goran Bregovic e le più recenti Orchestre di Piazza Vittorio e Play for change – che travalicano l’orizzonte mediterraneo. Un altro campo è quello cinematografico con i film di Gabriele Salvatores, Emir Kusturica, Pedro Almodovar, Ferzan Ozpetek e Dany Boon.

 

Le economie mediterranee e l’impatto dell’integrazione europea

 

Toccare le questioni economiche è un compito delicato per la complessità di tematiche che si sono sviluppate in modo molto articolato nel corso dell’esperienza di unificazione, e perché quello economico è uno dei pochi campi sui quali c’è ormai una letteratura consolidata. Inoltre, non è semplice scindere il complesso intreccio tra le questioni economiche tout court e quelle pertinenti all’integrazione europea. È naturale quindi che in queste brevi riflessioni le tematiche economiche risultino un po’ sacrificate rispetto allo spazio e alla profondità dei quali avrebbero bisogno.

La membership della Cee/Ue è stata l’occasione per i paesi mediterranei che uscivano da regimi autoritari o totalitari, di modernizzare e rendere più competitive le loro economie. Il fascismo italiano, gli autoritarismi di Spagna, Grecia e Portogallo, quelli dei paesi dell’ex blocco comunista, vollero l’economia asservita al regime, generando però arretratezza e fragilità nelle strutture economiche[xxx]. La sfida del mercato unico imponeva a questi paesi di modernizzare le economie per evitare che fossero “travolte” da una competizione più agguerrita e meno controllata dai governi[xxxi].

Studiare le modalità con le quali si è attuata questa spinta modernizzatrice, chiama in causa le politiche comuni. Solo di recente la ricerca storica ha iniziato a colmare il gap rispetto alle discipline politologiche[xxxii], che si occupano da tempo delle politiche comuni e del loro impatto sulle realtà nazionali[xxxiii]. Considerazioni di lungo periodo sono però possibili solo per quei paesi che hanno una presenza nel club europeo sufficientemente lunga affinché un simile studio possa distaccarsi dalle grandi questioni congiunturali.

I fondi strutturali e la politica agricola comune furono le pietre miliari di un complesso sistema che ricevette nuovo impulso alla fine degli anni ’70 e soprattutto nel decennio successivo, grazie all’azione della Commissione Delors e alle sfide poste dal mercato comune e dall’Atto unico europeo (AUE). Tuttavia, i paesi mediterranei spesso si sono limitati a una lotta fratricida per “accaparrarsi” più fondi e politiche più favorevoli senza cogliere l’occasione per spingere la Cee ad adottare una strategia globale per il Mediterraneo.

C’è inoltre il problema della regionalizzazione delle economie. Se osserviamo le economie di Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, emergono forti disparità regionali. Infatti, le prestazioni in termini di Pil regionale evidenziano come la membership della Cee/Ue abbia prodotto sulle regioni “un risultato positivo, ma non esaltante”[xxxiv] – soprattutto se comparato con quello registrato dai Lander della ex RDT. Per giunta, osservando i dati della “tabella 1”, gli effetti del processo d’integrazione sembra siano riusciti solo a mitigare le disparità regionali, che sono rimaste sostanzialmente inalterate in Spagna e addirittura aggravate in Italia[xxxv]. Se queste economie, viste nella loro dimensione nazionale, sembrano competitive con le altre dell’Ue, la loro coesione è fragile e ha introdotto nell’Ue un’altra frattura, infra-nazionale, tra regioni ricche e regioni povere, che si aggiunge alla più nota dicotomia Nord/Sud[xxxvi].

 

 

Regione 1981 1985 1986 1987 1988 1989 1991 1995
Madrid (S)

74

69

72

73

78

74

100

79

Andalucia

49

46

49

50

53

51

62

47

Cataluna

73

69

71

73

77

75

98

78

Pais Vasco

82

73

75

77

82

78

92

76

Castilla-La Mancha

52

47

51

53

56

55

67

52

Norte (P)

28

25

25

25

26

25

39

39

Lisboa e Val do Tejo

44

38

42

42

43

41

59

58

Algarve

31

24

27

28

28

28

37

48

Alentejo

28

25

27

28

28

29

26

37

Kriti (G)

43

45

37

35

36

38

37

52

Peloponnisos

54

52

43

41

42

45

41

42

Attiki

52

54

44

42

44

40

46

55

Dytiki Macedonia

46

43

35

34

35

37

40

44

Veneto (I)

111

112

112

114

114

115

95

120

Emilia Romagna

132

125

125

126

126

126

126

129

Lombardia

131

130

132

131

132

132

129

131

Basilicata

63

65

61

62

62

62

61

65

Campania

66

69

67

67

67

67

66

67

Calabria

61

62

59

59

57

58

58

59

 

Tabella 1 Convergenza e disparità regionali nell’Europa mediterranea[xxxvii] (Pil medio Ue = 100)

 

Eventi e protagonisti

 

Il processo d’integrazione europea è iniziato ed è proseguito per l’impegno e l’iniziativa di individui, non necessariamente con incarichi di governo, governi nazionali e istituzioni comuni. Lo studio degli spazi e delle società non può quindi che essere completato da un terzo piano di analisi che esamini come il tema “Mediterraneo” abbia attraversato gli eventi del processo di unificazione. Eventi e protagonisti non esclusivamente interni alla Cee/Ue: questo terzo piano, infatti, si presta a essere studiato da una prospettiva interna – trattati, conflitti e alleanze tra stati membri, culture politiche e partiti – e da una esterna, che si occupa della Ue come promotrice di dialogo e integrazione tra le diverse sponde del Mediterraneo.

La nascita della dimensione mediterranea della Cee/Ue avvenne in un contesto ricco di spunti perché s’inserì nella fase di rilancio del progetto d’integrazione che prese avvio negli anni ’80. Il percorso si articolò su tre punti principali: gli Integrated Mediterranean Programs – IMP; il trattato di Maastricht; la corsa alla moneta unica.

Gli allargamenti a Grecia, Spagna e Portogallo avvennero nel momento in cui Craxi guardava al Mediterraneo come un possibile fulcro della politica estera italiana, in tandem con l’europeismo[xxxviii]. L’Italia non era quindi particolarmente “entusiasta” che il numero dei paesi mediterranei nella Cee aumentasse, perché temeva che la sua leadership potesse essere messa in discussione e perché riteneva che i nuovi ingressi fossero una minaccia all’agricoltura[xxxix] e al turismo delle regioni del Sud; cercò pertanto il sostegno della Grecia per prepararsi al meglio alla nuova sfida che si sarebbe aperta con l’adesione dei paesi iberici.

L’occasione maturò quando i negoziati sull’allargamento a Spagna e Portogallo erano alle fasi conclusive e mentre la Cee si preparava a rimettersi in moto con il processo che l’avrebbe portata all’AUE. L’Italia e la Grecia, con il decisivo – e interessato – appoggio della Francia, ottennero lo stanziamento di fondi per permettere alle regioni più arretrate di prepararsi alla sfida che si sarebbe aperta dal 1986. Il Consiglio europeo di Bruxelles del marzo 1985, partendo da una proposta elaborata dalla Commissione già nel 1982[xl], approvò gli IMP con l’obiettivo “di migliorare le strutture economiche di queste regioni per consentire loro di adattarsi nelle migliori condizioni possibili alla nuova situazione determinata dall’allargamento”[xli].

Le economie della Grecia e di alcune regioni della Francia e dell’Italia erano tra le più povere della Cee, “and appeared vulnerable to the effects of enlargement”[xlii]. Il Consiglio europeo dava anche indicazioni di massima sul finanziamento degli IMP e sui criteri da seguire per assegnare i fondi: “i criteri di ripartizione dovranno in prima luogo tener conto dei bisogni effettivi delle varie regioni e delle loro condizioni di sviluppo economico e sociale”[xliii].

Tuttavia, il solo stanziamento di aiuti non era sufficiente a garantirne il conseguimento degli obiettivi, anche perché gli IMP richiedevano il coinvolgimento delle istituzioni nazionali. Tant’è che nel 1989 il commissario europeo agli Affari regionali Millan, nel report annuale sullo stato di avanzamento degli IMP, rilevò che nelle zone italiane interessate,

 

Problems relating to the allocation of funds from the national budget could well put the brake on the IMPs in the Centre-North which had got off to a good start. The delays were far more marked in the regions of the Mezzogiorno, particularly where local political problems were compounded with structural weaknesses in programmes implementation. The principal responsibility for implementation of the IMPs fell to the Member States’ national and regional authorities”[xliv].

 

 

Spagna e Portogallo interpretarono gli IMP come un “benvenuto” non esattamente amichevole e alla prima occasione restituirono il colpo. Durante le negoziazioni per Maastricht un’alleanza tra Grecia, Portogallo e Spagna – più l’Irlanda – riuscì a far includere la coesione tra gli obiettivi fondamentali della nuova Ue e lo stanziamento di un nuovo fondo strutturale per le regioni con un Pil inferiore al 75% della media comunitaria. Quel 75% era però computato su base nazionale e non regionale: così le regioni del Mezzogiorno, grazie all’economia trainante del Nord, risultavano più ricche di quelle dei quattro paesi dell’“alleanza”[xlv].

A Maastricht, i paesi mediterranei si presentarono quindi disuniti, favorendo la saldatura del percorso verso la moneta unica alla visione monetarista imposta dalla Germania e dalla sua potente Banca centrale. Indicatori come la disoccupazione, l’ambiente o le disparità regionali non rientrarono tra quelli fissati per accedere alla fase finale dell’unificazione monetaria.

Con una prospettiva rigidamente ancorata al rispetto dei vincoli di bilancio, le tensioni tra il Nord – rafforzato dal nuovo allargamento – e il Sud non tardarono a esplodere. Nel settembre del 1994, la CDU-CSU pubblicò un documento sul futuro dell’integrazione europea che rilanciava l’integrazione a due velocità. I conservatori tedeschi proposero l’istituzione di un nucleo duro per “opporre un centro consolidato alle forze centrifughe dovute a un allargamento costante, per impedire uno sviluppo divergente tra un gruppo di Sud-Est più incline al protezionismo e guidato in qualche modo dalla Francia e un gruppo di Nord-Est favorevole al libero scambio mondiale e diretto, in qualche modo dalla Germania”[xlvi]. Membri di questo gruppo ristretto dovevano essere la Germania, la Francia, il Belgio, il Lussemburgo, l’Olanda, la Danimarca e l’Irlanda. Nessuno spazio dunque per i paesi mediterranei, cui però il nucleo duro garantiva la “volontà di integrarli non appena avranno risolto i loro problemi attuali e nella misura in cui avranno essi stessi la volontà di prendere gli impegni summenzionati”[xlvii].

La frattura tra il Nord e il Sud divenne così non solo palese, ma addirittura auspicata: per la CDU-CSU, il Mediterraneo danneggiava e comprometteva il processo di approfondimento e allargamento della Ue. I quattro paesi mediterranei iniziarono a essere considerati il parente povero della famiglia: cominciarono campagne denigratorie e sarcastiche contro quei paesi che vennero ri-battezzati ClubMed per rafforzare l’idea della loro marginalità nella Ue e la conseguente utilità solo in chiave turistica ed enogastronomica. Nello stesso periodo fu coniato l’offensivo acronimo PIGS. Se l’Europa mediterranea non era riuscita a trovare una propria definizione all’interno della Ue, a farlo furono quindi gli “altri”, in particolare Germania e Olanda, sulla base delle mere condizioni economico-finanziarie.

Attacchi e pressioni che si accentuarono sempre più, con l’avvicinarsi della scadenza per entrare nella terza fase dell’Unione economica e finanziaria – UEM – e che, ancora una volta, non portarono i paesi mediterranei a ricercare strategie comuni. Anzi, i rapporti divennero più tesi, in una sorta di “guerra tra poveri” in cui ogni paese cercava di guadagnarsi la simpatia della Germania e il supporto della Francia. È in questo contesto che, nel settembre 1996, ci fu il vertice italo-spagnolo di Valencia, nel corso del quale Prodi propose ad Aznar un’alleanza “mediterranea” per ottenere un rinvio dell’UEM. L’interesse italiano era evidente: a 15 mesi dalla deadline per l’Euro, l’Italia non rispettava quattro dei cinque criteri di Maastricht. Aznar stoppò bruscamente la proposta riaffermando la clarissima determination[xlviii] della Spagna a entrare da subito nella moneta unica. Intervistato dal “Financial Times”, dichiarò: “Il primo ministro italiano mi disse che l’Italia era interessata a camminare con la Spagna mano nella mano: gli ho risposto che la Spagna non vuole camminare mano nella mano con nessuno e che saremmo stati pronti per il 1999”[xlix]. Lo smacco per l’Italia fu grande: Prodi inizialmente ammise il tentativo[l], poi lo smentì dichiarando che il vertice era servito solo a confermare la scelta italiana di entrare da subito[li]. L’azione del tandem Prodi-Ciampi e la vittoria di Jospin in Francia agevolarono gli sforzi dell’Italia che riuscì, come Spagna e Portogallo, a essere ammessa nella lista dei Paesi virtuosi. La Grecia, invece, fu esclusa: tuttavia, con una marcia a tappe forzate, anche Atene introdusse l’Euro dal 1 gennaio 2002. Il tentativo di escludere i paesi mediterranei dall’UEM era naufragato: ma le loro condizioni economiche e finanziarie, unite ai problemi strutturali, non disegnavano scenari rosei e accentuavano le conflittualità interne[lii].

 

Culture politiche, partiti, federazioni transnazionali

 

Il dialogo e la contaminazione tra le culture politiche dell’area mediterranea non sono ovviamente conseguenze dell’integrazione europea, giacché esistono quantomeno dall’età liberale e anche nel ‘900 hanno trovato luoghi d’incontro e di confronto. La nascita e le prime fasi del processo d’integrazione, per giunta, hanno visto i parlamenti relegati in secondo piano rispetto ai governi: il dibattito sull’Europa unita riguardava per lo più le élites dei partiti[liii] ed era comunque inserito in un quadro più generale figlio della guerra fredda. A legare più saldamente la Cee/Ue alle culture politiche e ai partiti – non solo mediterranei – contribuirono tre eventi chiave: l’elezione diretta del PE nel 1979 – che costrinse i partiti a confrontarsi con l’integrazione europea; il crollo del Muro di Berlino che accese il dibattito intorno al nuovo significato che avrebbero assunto le categorie di destra e sinistra[liv]; il trattato di Maastricht e soprattutto il cammino scelto per giungere alla moneta unica. Questi eventi si sommarono all’accelerazione del confronto tra partiti e culture che si ebbe nei gruppi parlamentari al PE e nelle federazioni transnazionali dei partiti europei, proiettando questi ultimi anche nell’area mediterranea in una nuova stagione di dialogo. La comparazione tra culture politiche e il dialogo tra partiti offre molteplici spunti d’interesse perché si tratta di “un’area geopolitica accomunata nel corso del Novecento dalla presenza di società ancora prevalentemente agrarie e tradizionali”:

 

“Si indaga sugli effetti della discontinuità antidemocratica e della longeva presenza di regimi autoritari, di carattere prima fascista quindi anche comunista, nonché della successiva transizione e del consolidamento democratico nel processo di modernizzazione e di nuova ricollocazione geopolitica dell’Europa tanto post-fascista che post-comunista”[lv].

 

Un approccio del genere aiuta a capire quali percorsi abbiano seguito le forze politiche dei paesi mediterranei di fronte a problematiche analoghe come il conseguimento e il consolidamento della democrazia, il dibattito sull’approdo alla scelta europea, la modernizzazione delle economie, la costruzione di un livello sovranazionale di lotta politica, l’europeizzazione del bagaglio politico e identitario, la risoluzione di eventuali disparità regionali e, più in generale, i rapporti centro-periferie. Potrebbero essere inoltre ripercorse le idee e le strategie sul Mediterraneo, le problematiche legate agli allargamenti – in particolare alla Turchia –le relazioni con le altre sponde del “Mare nostrum”, la costruzione di una piattaforma comune sia tra partiti afferenti a una stessa cultura politica, sia a livello interpartitico e interculturale.

 

La cooperazione inter-mediterranea

 

Con il crollo del Muro di Berlino non fu solo il processo d’integrazione europea a ricevere nuova linfa: le relazioni internazionali nel loro insieme entrarono in una fase nuova nella quale, però, la tentazione poteva essere quella di perseguire strategie nazionali più aggressive – come nel Golfo Persico. Liberato dagli equilibri del mondo bipolare, anche il Mediterraneo inaugurò una feconda stagione di relazioni che iniziò tra il 1991 e il 1993 quando Rabin e Arafat siglarono a Oslo gli accordi di pace. Nello stesso periodo s’intensificarono i flussi migratori dall’Africa all’Europa attraverso la “porta d’accesso” mediterranea, provocando tensioni tra il Nord e il Sud dell’Ue: dalla firma di Schengen, gli stati membri non perdevano occasione di rimproverare ai “colleghi mediterranei” di non fare un buon lavoro sulle loro coste, scaricando così il problema dei migranti sull’Ue e sui suoi membri più ricchi. Si ripropose la ricerca di una cooperazione più articolata tra le diverse sponde del Mediterraneo – tema di cui il Consiglio europeo si occupò a più riprese tra il 1992 e il 1994.

La conferenza di Barcellona del 27-28 novembre 1995, fortemente voluta da Solana, ministro degli esteri spagnolo e dal connazionale Marín, vice presidente della Commissione europea, pose le fondamenta per una partnership tra l’Ue e i Paesi terzi con la storica inclusione di Israele. La Dichiarazione di Barcellona[lvi] prevedeva l’avvio di tre partenariati: 1) partenariato politico e di sicurezza per definire uno spazio comune di pace e stabilità (nel quale sostanzialmente si riaffermava solennemente il rispetto dei diritti dell’uomo); 2) partenariato economico e finanziario finalizzato alla creazione di una zona di prosperità condivisa: gli obiettivi erano “accelerare il ritmo di uno sviluppo socio-economico sostenibile; migliorare le condizioni di vita delle loro popolazioni, aumentare il livello di occupazione e ridurre le disparità di sviluppo nella regione euromediterranea; incoraggiare la cooperazione e l’integrazione regionale”[lvii]. Nella parte economica, si poneva l’accento sul ruolo della donna e sulla protezione dell’ambiente per uno sviluppo sostenibile, mentre per quel che riguardava la parte finanziaria, l’Ue, come stabilito dal Consiglio europeo di Cannes del giugno 1995[lviii], sarebbe intervenuta con un significativo pacchetto di aiuti di quasi 5 miliardi di ECU e facilitando gli investimenti privati; 3) partenariato nei settori sociale, culturale e umano per lo sviluppo delle risorse umane, la promozione della comprensione tra culture e degli scambi tra società civili, il cui fulcro era nell’impegno dei partecipanti a riaffermare “che il dialogo e il rispetto tra culture e religioni sono condizioni necessarie per il riavvicinamento dei popoli; in proposito, sottolineano l’importanza del ruolo che i mezzi di comunicazione di massa possono svolgere ai fini di una conoscenza e comprensione reciproca delle culture, come fonte di arricchimento reciproco”[lix].

Tuttavia, nonostante il solenne impegno preso a Barcellona, l’Ue tornò presto ad allontanare lo sguardo dal Mediterraneo, preferendo concentrarsi sull’allargamento all’Europa centrale e orientale[lx]. La cooperazione rimase così “a metà” per oltre dieci anni fino a che Nicolas Sarkozy decise che era ora di “scongelarlo” per utilizzarlo come contrappeso all’ascesa di Angela Merkel e per tentare una soluzione al “problema turco” – che aveva acceso le presidenziali francesi.

Sarkozy ospitò a Parigi un vertice il 13 luglio 2008 al termine del quale lanciò il “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”[lxi] con l’obiettivo

 

to enhance multilateral relations, increase co-ownership of the process, set governance on the basis of equal footing and translate it into concrete projects, more visible to citizens. Now is the time to inject a new and continuing momentum into the Barcelona Process. More engagement and new catalysts are now needed to translate the objectives of the Barcelona Declaration into tangible results”[lxii].

 

Gli aspetti più interessanti del rilancio voluto da Sarkozy erano l’istituzione di organismi comuni – specialmente la co-Presidenza dell’organizzazione, formata da un membro dell’Ue e da uno degli altri paesi; l’inclusione di altre organizzazioni, come la Lega degli Stati arabi; un atteggiamento più pragmatico e attivo – in diversi campi, ad esempio in quello dell’alta educazione[lxiii]. L’iniziativa, oltre a segnalare il rinnovato interesse della Francia per il Mediterraneo, confermò all’Ue e ai suoi stati membri, a prescindere dalla collocazione geografica nell’Unione, l’inevitabilità di sviluppare un’articolata politica per il Mediterraneo.

 

Prospettive

 

Per Fernand Braudel, il Mediterraneo era “mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”[lxiv]. Dopo aver ripercorso, seppur brevemente, l’evoluzione dell’Europa mediterranea all’interno del processo d’integrazione europea, sembra che il percorso tracciato combaci perfettamente con la definizione dello storico francese. Spazi, eventi, protagonisti, dinamiche economiche e socio-culturali, fanno emergere “Europe mediterranee” diverse che vanno a comporre “un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale”[lxv] in un carattere contraddittorio, come ha scritto Giuliana Laschi, “perché regione nella quale si esprimono contemporaneamente unità e divisione”[lxvi].

Di conseguenza, la definizione tradizionale dell’Europa mediterranea nell’Ue come l’insieme dei quattro membro storici – Grecia, Italia, Spagna e Portogallo – è sempre più parziale e insoddisfacente. L’analisi sugli spazi ha messo in luce come ormai ci siano nell’Ue “poli mediterranei” diversi che vanno oltre la tradizionale distinzione tra Nord e Sud: quello balcanico a Nord, quello greco-latino, più tradizionale, a Sud-Ovest e, quando sarà sciolto il nodo dell’adesione di Ankara, quello turco a Est. Così come si sono evidenziate le relazioni che vanno oltre gli stati nazionali e si incentrano sulle regioni o sulle città. Anche il livello culturale-economico-sociale ha messo in luce la precarietà di una definizione dell’area rigidamente ancorata allo stato nazione – si pensi alla sfera religiosa. Infine, la storia politica del processo d’integrazione ha evidenziato, accanto all’intermittente interesse della Francia, come i quattro paesi tradizionalmente associati al Mediterraneo siano stati spesso in lotta tra loro e hanno cercato più di “rafforzare e implementare il loro spazio vitale”[lxvii] piuttosto che costruire strategie e interessi comuni da portare in un’Ue, nella quale la questione mediterranea è spesso stata centrale, ma mai priorità[lxviii]. Emerge infine con forza il fatto che l’Europa mediterranea, a sua volta, è solo una delle molte parti di un intricato sistema di relazioni politiche, commerciali, culturali e sociali che abbracciano tutti i paesi affacciati sul “Mare Nostrum”.

L’Europa mediterranea nell’Ue sembra quindi un insieme di geometrie variabili che si scompongono e si ricompongono diversamente in base alle varie issues legate al processo d’integrazione o ai punti di vista dai quali le si osserva. L’asse Grecia-Italia-Spagna-Portogallo rappresenta, sì, il cuore di un sistema mediterraneo, che però è molto più complesso e che quindi va attentamente studiato nella sua globalità[lxix].

Appare anche chiaro che un’efficace prosecuzione di questo percorso non può prescindere da due snodi metodologici. Il primo, come chiarito in premessa, è proporre un approccio “integrale” agli European studies, che punti a intrecciare in una prospettiva diacronica i diversi filoni di studio sulla costruzione europea mettendone a frutto le sinergie. Il secondo, che per esigenze di sintesi e di obiettivi poteva essere appena delineato in queste pagine, è rileggere la storia del processo d’integrazione europea e del suo impatto nel Mediterraneo alla luce delle categorie e degli studi di Braudel e della letteratura che a lui si è ispirata.

 


[i] F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, ed. 2010.

[ii] Anche se con risultati contrastanti, si veda G. Garavini, Dopo gli imperi. L’integrazione europea nello scontro Nord-Sud, Firenze, Le Monnier, 2009 e S. Panebianco, L’Unione europea “potenza divisa” nel Mediterraneo, Milano, Egea, 2012. Da una prospettiva araba si veda H. Habeeb, Le partenariat euro-méditerranéenne, apportes et limites: le point de vue arabe, Paris, Publisud, 2003.

[iii] Per il caso italiano si veda A. Varsori, La Cenerentola d’Europa? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, P. Craveri, A. Varsori, L’Italia nella costruzione europea. Un bilancio storico (1957-2007), Milano, Franco Angeli, 2009 e M. Cotta, P. Isernia, L. Verzichelli, L’Europa in Italia, Bologna, il Mulino, 2005.

[iv] Si pensi al recente fascicolo di “Memoria e Ricerca” (n. 41/2012) curato da Maurizio Ridolfi sulla ridefinizione dei concetti di destra e sinistra dopo il 1989 nell’area mediterranea.

[v] Si veda G. Corinto, La frattura agricola mediterranea, in S. Cannizzaro, G. Corinto, C. M. Porto, Il Mediterraneo. Dalla frattura regionale al processo d’integrazione, Bologna, Pàtron editore, 2009, pp.73-102.

[vi] F. Braudel, Prefazione alla prima edizione francese, in Id., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, cit., p. XXVIII.

[vii] Si vedano J. A. Marino, Early Modern History and the social sciences. Testing the limits of Braudel’s Mediterranean, Kirskville, Truman State University press, 2002, G. Piterberg, Braudel revisited: the Mediterranean world 1600-1800, Toronto, University of Toronto Press, 2010, M. Aymard, One Braudel of several? in “A Journal of the Fernand Braudel Center”, vol. 24/2001.

[viii] Si veda M. Samaniego Boneu e M. M. Tavares Ribeiro in A. Landuyt, a cura di, Idee d’Europa e integrazione europea, Bologna, il Mulino, 2004. Sulla Spagna si veda inoltre C. Powell, The long road to Europe: Spain and the European community, 1957-1986, in J. Roy, M. Lorca-Susino, a cura di, Spain in the European Union: the first Twenty-five years 1986-2011, Miami, 2011, e J. G. Armenteros, L’Unione europea e il Mediterraneo. Una prospettiva spagnola, in A. Landuyt, Interessi nazionali e idee federaliste nel processo di unificazione europea, Siena, Dipartimento di Scienze Giuridiche, politiche e sociali, 1998. Sul Portogallo si veda il saggio di Manuel Porto in A. Landuyt, D. Pasquinucci, a cura di, Gli allargamenti della Cee/Ue 1961-2004, Bologna, il Mulino, 2005.

[ix] R. Bideleux, Tra oriente e occidente: la Grecia e l’integrazione europea, in A. Landuyt, a cura di, Idee d’Europa e integrazione europea, cit. Si veda inoltre il saggio di Procopis Papastratis in A. Landuyt, D. Pasquinucci, a cura di, Gli allargamenti della Cee/Ue 1961-2004, cit.

[x] F. Bicchi, European foreign policy making toward the Mediterranean, New York, Basingtoke, Palgrave, MacMillan 2007 e F. Bicchi, Unione europea e Mediterraneo. Dal Trattato di Roma al dopo Barcellona (1957-1997), Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997.

[xi] Si vedano i saggi di Vito Bobek e Susas Senior Nello in A. Landuyt, D. Pasquinucci, a cura di, Gli allargamenti della Cee7Ue 1961-2004, cit.

[xii] M. Anderson, E. Bort,  The frontiers of Europe, London and Washington, Pinter, 1998.

[xiii] Dichiarazione conclusiva del vertice di Salonicco Unione europea – Balcani occidentali, Salonicco, 21 giugno 2003, http://europa.eu/rapid/press-release_PRES-03-163_it.htm (visto 15 maggio 2013).

[xiv] Sul portale dell’Unione europea è possibile controllare per ogni Paese candidato o candidato potenziale tutte le tappe che hanno segnato il rapporto con l’UE (“interactive timeline”) e scaricarne i principali documenti.

[xv] Per il cosiddetto Ankara agreement del 1963, che sancì la partnership tra la Cee e la Turchia, si veda http://www.avrupa.info.tr/en/turkey-the-eu/history.html (visto 15 maggio 2013). Si veda inoltre il saggio di Panos Tsakaloyannis in A. Landuyt, D. Pasquinucci, Gli allargamenti della Cee/Ue 1961-2004, cit.

[xvi] Si veda L. Gori, L’Unione europea e i Balcani occidentali: la prospettiva europea della regione (1996-2007), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007 e F. Privitera, Le frontiere (o i limiti?) dell’allargamento: l’UE di fronte ai Balcani, in G. Laschi, a cura di, Oltre i confini: l’Ue fra integrazione interna e relazioni esterne, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 207-242.

[xvii] Si veda il saggio di Robert Bideleux in A. Landuyt, D. Pasquinucci, Gli allargamenti della Cee/Ue 1961-2004, cit.

[xviii] Tant’è che il Portogallo non partecipa ai Giochi del Mediterraneo.

[xix] D. I. Dolghi, I. Horga, The relationship between Political Europe and Cultural/Geographical Europe, in G. Laschi, a cura di, Oltre i confini: l’Ue fra integrazione interna e relazioni esterne, cit., pp. 73-86.

[xx] G. Sapelli, L’Europa del Sud dopo il 1945. Tradizione e modernità in Portogallo, Spagna, Italia, Grecia e Turchia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, pp. 345-356.

[xxi] Si veda F. Renda, Sicilia e Mediterraneo. La nuova geopolitica, Palermo, Sellerio, 2000 e V. Scotti, L’Italia corta. Le miniere del Mediterraneo, Roma, Datanews, 2010.

[xxii] Si veda L. Grazi, L’Europa e le città. La questione urbana nel processo di integrazione europea (1957-1999), Bologna, il Mulino, 2006 e L. Grazi, a cura di, Le città e l’Unione europea. La dimensione urbana tra percorsi storici e dinamiche di europeizzazione, Bologna, il Mulino, 2012.

[xxiii] Si veda M. Ridolfi, M. Cortina Suárez, a cura di, Democrazia e repubblicanesimo in Spagna e in Italia nell’età liberale, Roma, Nutrimenti, 2010 e M. Ridolfi, Repubbliche e repubblicanesimo. L’Europa meridionale (secoli XIX-XX), “Memoria e Ricerca”, n. 9/2002.

[xxiv] Si veda M. Bucarelli, La Slovenia nella politica italiana di fine Novecento dalla disgregazione jugoslava all’integrazione euro-atlantica, in M. Bucarelli, L. Monzali, a cura di, Italia e Slovenia fra passato, presente e futuro, Roma, Edizioni Studium, 2009.

[xxv] W. Connor, Etnonazionalismo. Quando e perché emergono le nazioni, Bari, Edizioni Dedalo, 1995.

[xxvi] Si veda F. Tronconi, I partiti etnoregionalisti. La politica dell’identità territoriale in Europa occidentale, Bologna, il Mulino, 2009.

[xxvii] Constitution of Malta, Capitolo 1, art. 2.

[xxviii] Si veda J. H. H. Weiler, Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo, Milano, Bur, 2003 e J. Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, Roma, Edizioni San Paolo, 2004.

[xxix] Del quale è opportuno ricordare Breviario Mediterraneo, pubblicato in Italia da Garzanti nel 2006.

[xxx] Completa e stimolante la ricostruzione in G. Sapelli, L’Europa del Sud dopo il 1945, cit., pp. 127-216.

[xxxi] Ritrosie verso l’apertura dei mercati emersero già in Francia e in Italia in occasione dei Trattati di Roma, si veda S. Cruciani, L’Europa delle sinistre, Roma, Donzelli, 2009.

[xxxii] Si veda A. Landuyt, a cura di, Le politiche della Comunità/Unione europea. Origini e sviluppo storico, “Memoria e Ricerca” (n. 30/2009).

[xxxiii] Per l’Italia S. Fabbrini, a cura di, L’europeizzazione: teorie, comparazione e implicazioni per l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2002.

[xxxiv] R. Leonardi, Coesione, convergenza e integrazione nell’Unione europea, Bologna, il Mulino, 1998, p. 161.

[xxxv] Sulle disparità regionali in Italia si veda R. D. Putnam. La tradizione civica nelle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993.

[xxxvi] La conflittualità tra regioni ricche e povere ha interessato anche la letteratura. Montalbán scrisse un romanzo nel quale Pepe Carvalho doveva risolvere un caso legato a un misterioso progetto – Región Plus – che mirava a creare una regione transnazionale incentrata sul triangolo Barcellona-Milano-Toulouse, M. V. Montalbán, L’uomo della mia vita, Milano, Feltrinelli, 2000.

[xxxvii] Dati in R. Leonardi, Coesione, convergenza e integrazione nell’Unione europea, cit., pp. 163, 188.

[xxxviii] E. Calandri, Il Mediterraneo nella politica estera italiana, in A. Giovagnoli, S. Pons, a cura di, L’Italia repubblicana nella crisi degli ani Settanta, vol. I, Tra guerra fredda e distensione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.

[xxxix] Diffidenze già emerse nel 1964 sulla “questione degli agrumi”, si veda A. Shlaim, G. N. Yannopoulos, a cura di, The EEC and the Mediterranean Countries, Cambridge, Cambridge University Press, 1976 citato in G. Laschi, I vicini del Sud: le relazioni tra la Cee e i paesi mediterranei, cit., pp. 354-355n.

[xl] Nel lanciare una politica Cee nel Mediterraneo, il vicepresidente della Commissione Natali disse: “Geopolitical reasons in themselves make an impressive case for the necessity of a coherent European community policy on the Mediterranean. A glance at the map proves it. Look first at the Balkans and then at the mouth of the Atlantic. Take in the Dardanelles and the petrol-producing region of the Near East; remember too that the Mediterranean is the inescapable North.South axis for links between Europe and Africa”, Commission of the European communities, The Community and the countries and region of the Mediterranean, December 1982, file 19/82, Archives of the European integration, University of Pittsburgh, p. 1, http://aei.pitt.edu/14644/1/Eur_File_19-82.PDF (visto 25 maggio 2013).

[xli] Consiglio europeo, Conclusioni del vertice di Bruxelles, 29-30 marzo 1985, http://www.european-council.europa.eu/media/849229/1985_marzo_-_bruxelles__it_.pdf (visto 25 maggio 2013). Anche il Commissario Bruce Millan ricordava che l’intento era quello “to prevent any worsening of possible regional imbalances caused by the Community’s enlargement on the accession of Spain and Portugal”, Integrated Mediterranean Programmes; Mid-Termes progress: need to speed up implementation, Bruxelles, 25 Ottobre 1989, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-89-808_en.htm?locale=en (visto 25 maggio 2013)

[xlii] Commission of the European communities, The integrated Mediterranean programmes, May 1989, file 7/89, Archives of the European integration, University of Pittsburgh, pp. 3, 5 http://aei.pitt.edu/4624/ (visto 25 maggio 2013).

[xliii] Consiglio europeo, Conclusioni del vertice di Bruxelles, 29-30 marzo 1985, cit.

[xliv] Commission of the European communities, The integrated Mediterranean programmes, January 1986, file 1/86, Archives of the European integration, University of Pittsburgh, p. 2, http://aei.pitt.edu/14712/1/EUR-FILE-1-86.pdf (visto 25 maggio 2013).

[xlv] Si veda K. Dyson, K. Featherstone, The road to Maastricht: negotiating  Economic and MOnetary Union, Oxford, Oxford University Press, 1999 e il capitolo su Maastricht in A. Varsori, L’Italia e la fine della guerra fredda. La politica estera dei governi Andreotti (1989-1992), Bologna, il Mulino, 2013.

[xlvi] CDU-CSU, Riflessioni sulla politica europea, riprodotto in E. Letta, Passaggio a Nord-Est, Bologna, il Mulino, 1994, Doc. X, p. 180.

[xlvii] Ibidem, p. 181.

[xlviii] Citato in G. Pelosi, Ma Prodi e Aznar promettono: pronte anche Roma e Madrid, in “il Sole 24 ore”, 18 settembre 1996.

[xlix] Riprodotta in A. D’Avossa Lussurgiu. L’asse del marco “sfratta” l’Italia dalla moneta unica, in “Liberazione”, 1 ottobre 1996.

[l] Si veda M. Monti, Un primo passo verso l’Europa, in “Corriere della Sera”, 30 settembre 1996.

[li] R. Prodi, Atti Legislativi, Camera dei Deputati, XIII Legislatura, Assemblea, Discussioni, 28 novembre 1996, pp. 8069-8070.

[lii] Il riferimento è alla stagione secessionista della Lega Nord che faceva perno proprio sulle difficoltà italiane verso la moneta unica; si veda M. Piermattei, Europeisti, antieuropei, ma soprattutto padani. La Lega Nord, la moneta unica, l’integrazione europea (1982-1998), in “Memoria e Ricerca”, n. 36/2011, pp. 169-187.

[liii] Tanto da far parlare di un “internationalisme des fonctionnaires”, R. Obiols, La nécessaire dimension transnationale du socialisme européen, in “Nouvelle revue socialiste”, n. 11, 1990, p. 140.

[liv] M. Ridolfi, Introduzione, in M. Ridolfi, a cura di, Destre e sinistre. Le culture politiche del Novecento nell’Europa mediterranea, “Memoria e Ricerca”, n. 41/2012, p. 5-7.

[lv] Ibidem, p. 9.

[lvi] Si veda “La Commissione propone di dar vita a un partenariato euromediterraneo”, 8 marzo 1995, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-95-219_it.htm?locale=en (visto 7 settembre 2013).

[lvii] Barcelona Declaration, adottata dalla Conferenza Euro-mediterranea, 27-28 novembre 1995, http://www.eeas.europa.eu/euromed/docs/bd_en.pdf (visto 25 maggio 2013).

[lviii] Consiglio europeo di Cannes, 26-27 giugno 1995, Conclusioni della presidenza, Parte B: allegati, http://www.europarl.europa.eu/summits/can2_it.htm#anx5 (visto 26 maggio).

[lix] Barcelona Declaration, adottata dalla Conferenza Euro-mediterranea, 27-28 novembre 1995, cit.

[lx] Sul deludente esito del processo di Barcellona si veda la puntuale ed esaustiva ricostruzione in G. Laschi, I vicini del sud: le relazioni tra la Cee e i paesi mediterranei, cit., pp. 366-370 e J. Kelley, New wine in old wineskins: promoting political reforms through the new European Neighbourhood Policy, in “Journal of Common Market Studies, vol. 44, n. 1/2006, pp. 29-55.

[lxi] L’atipicità del nome rivelò i contrasti tra Francia e Germania: Sarkozy dovette rinunciare all’espressione “Mediterranean Union” a causa delle pressioni tedesche, http://euobserver.com/9/25284 (visto 26 maggio 2012).

[lxii] Joint declaration of Paris summit for the Mediterranean, Paris, 13 July 2008, p. 11, http://ec.europa.eu/research/iscp/pdf/paris_declaration.pdf (visto 26 maggio 2013).

[lxiii] Un esempio è dato dall’inaugurazione della prima Università Euro-Mediterranea nella città slovena di Piran – giugno 2008.

[lxiv] F. Braudel, Mediterraneo, in F. Braudel, a cura di, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, 2010, pp. 7-8.

[lxv] Ibidem, p. 9.

[lxvi] G. Laschi, I vicini del Sud: le relazioni tra la Cee e i paesi mediterranei, cit., p. 348.

[lxvii] Ibidem, p. 349.

[lxviii] R. Gomez, Negotiating the Euro-Mediterranean partnership: strategic action in EU Foreign policy?, Alershot, Ashgate, 2003.

[lxix] B. Amoroso, Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro, Bari, Edizioni Dedalo, 2000, pp. 159-180.

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    By: Massimo Piermattei

    Massimo Piermattei, curatore del numero, è professore a contratto di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università della Tuscia e membro del teaching staff della cattedra Jean Monnet “l’Europa mediterranea nell’integrazione europea: culture e società, spazi e politiche”. Le sue ricerche sono incentrate sull’europeizzazione dell’Italia e dell’Irlanda, sull’evoluzione della regione mediterranea nella storia del processo d’integrazione europea e sui partiti europei. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Crisi della repubblica e sfida europea, Bologna, Clueb 2012; Territorio, nazione, Europa: le presidenze Cossiga, Scalfaro e Ciampi, in “Presidenti. Storia e costumi della Repubblica, nell’Italia democratica”, ed. by, M. Ridolfi, Roma, Viella, 2014; On the Mediterranean shores of EU: geography, identity, economics and politics, in C. Blanco Sío-López, S. Muñoz, ed. by, Converging pathways. Spain and the European integration process, Bruxelles, Peter Lang, 2013.

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    Le destre tra sovranità nazionale, localismi e sfida europea
    Officina della Storia. Indice n. 7 / 2011
    Le culture politiche italiane e il Trattato di Maastricht (1992-1994)

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