La televisione: esperienza e forma della storia

Sotto i nostri occhi non si svolge più nessun continuum,

che il rapporto causa-effetto sembra essere sostituito

dalla esemplare solitudine dei fatti e, conseguentemente,

di quanti ne ricevono la notizia.

Per questo, forse, occorrerebbe collocare i problemi della

comunicazione […] in quella dimensione […] del sentimento collettivo….

Sergio Zavoli[1]

Nell’ambito della giornata di studi dedicata all’analisi del rapporto tra mezzi di comunicazione e storia, Mihaela Gavrila (Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Università La Sapienza di Roma) ha approfondito il discorso sul medium televisione e sul concetto di “TvStoria”.

Gavrila ha rimarcato il fatto che la Storia, quella più grande, sia comunque in realtà composta da tante storie diverse, “che riguardano il nostro gruppo, il nostro Paese, la nostra comunità, la storia di tanti piccoli e grandi eroi, storie di misteri, di guerre, di vittorie e di sconfitte, di grandi personaggi, di nobili dai sapori antichi, di piccoli grandi uomini che magari nel corso della loro vita sono riusciti a lasciare il segno, storie di grandi eventi naturali o di grandi scoperte scientifiche, storie di cronaca nera, a volte di quella rosa, storie di sport o spettacolo, storie di donne e di uomini… storie della nostra Italia, che ci appartengono in quanto cittadini di questo paese. Ci fanno sentire comunità, ci uniscono in un unico popolo, compongono il nostro Dna collettivo, fanno parte della nostra memoria sociale”.

Nell’affrontare l’analisi del rapporto tra televisione e storia, ampia è la mappa delle prospettive interpretative:

–          La Tv come cantastorie (storytelling), incentrata sui contenuti, il presente ma anche il passato, con esempi di programmi come Rai Storia, La storia siamo noi, La grande storia, Novecento, Miti, Sfide, Radici, Teche teche té;

–          La Tv come fonte;

–          La Tv come macchina del presente, e di qui le accuse di “presentismo”, con il declino delle metanarrazioni e l’annullamento della storia;

–          La Tv e la storia celata (le guerre dimenticate);

–          La Tv e la gestione della visibilità pubblica di fatti, eventi e personaggi.

È a quest’ultimo punto che Mihaela Gavrila ha dedicato più spazio nel corso del suo intervento, prendendo come esempio il personaggio che più di ogni altro, negli ultimi venti anni, personifica il potere creativo e insieme pervasivo del mezzo televisivo: Silvio Berlusconi, il mito politico interamente generato dalla televisione, una figura che, per dirla con le parole di Abruzzese, “nasce dalla testa della Tv e dalla coscia del video”. [2]

Berlusconi si presenta sulla scena pubblica già come personaggio multimediale: qualche mese prima della discesa in campo, alla casa editrice “Silvio Berlusconi Editore” a cura dello stesso Silvio Berlusconi, usciva un’edizione breve de Il Principe di Machiavelli, con delle note apocrife di Napoleone. Proprio quello stesso Principe di cui parlava Gramsci nel 1949 nelle sue Note sul Machiavelli, dicendo che

 

“è un mito: lui non si presenta come una fredda utopia, né come un ragionamento dottrinario, ma come una creazione dell’immaginazione concreta che agisce sopra un popolo disperso e polverizzato per suscitare ed organizzare la sua volontà.” [3] 

 

Berlusconi ha saputo approfittare al massimo della sua rappresentatività offrendo al paese come immagine di sé quella di autentico cittadino televisivo. Curioso, divertente e allo stesso tempo emblematico l’esempio riportato di un passaggio del tema di Assuntina, terza media, di Bari, tratto dalla raccolta Cento temi dei ragazzi di tutta Italia sui nuovi eroi della seconda Repubblica, con alcune considerazioni intorno alla figura del Cavaliere visto attraverso gli occhi di una bambina, pensieri che danno la misura di quale sia stata da subito la percezione visiva della figura di Berlusconi e di quanto chiaro e forte sia stato fin dal primo momento l’impatto a livello di immagine del personaggio sul pubblico televisivo e di conseguenza sull’elettorato e su tutta la cittadinanza:

 

“È tanto tempo che non si fanno più monumenti a grandi personaggi al cavallo. Quelli che ci sono già sono tutti monumenti a grandi personaggi del passato. Ma adesso che c’è il Cavalier Berlusconi, Capo del Governo e abile vincitore di tante cose, forse si farà un altro monumento equino. È probabile, perché Berlusconi è solo all’inizio della sua politica e infatti il suo partito ‘Forza Italia’ ha pochi mesi di vita. Pur essendo un partito ancora in fasce, si può dire, ha già vinto molte cose importanti e perciò si può pensare che chissà quante potrà vincere in futuro. È per questo che dico che può essere che nel futuro, a Berlusconi, siccome è anche Cavaliere, ci possono fare un monumento equino. Potrebbe essere lui di bronzo, o di marmo, che guida una coraggiosa carica di cavalleria gridando «Forza Italia»”.[4] 

 

L’evento televisivo più importate degli ultimi anni che ha visto protagonista Silvio Berlusconi è stato sicuramente la puntata di Servizio Pubblico di Michele Santoro andata in onda su La7 il 10 gennaio 2013. Il titolo della puntata è Mi consenta e l’ospite più atteso è proprio Berlusconi che finalmente dopo anni decide di accettare l’invito del “nemico” Santoro (dai tempi del noto “editto bulgaro” del 2002 con cui Berlusconi fece allontanare il conduttore dalla Rai) e si reca in una terra, La7, considerata ostile (ma non per chi “ama giocare in trasferta”, come dichiarato dallo stesso Berlusconi). Il momento clou della serata resta sicuramente il contro-editoriale che Berlusconi legge a Marco Travaglio: prima gli propone uno scambio di sedute per cui Travaglio prende posto sulla sua sedia mentre il Cavaliere conquista la cattedra (e la scena) e inizia a leggere la sua “letterina” in cui accusa il giornalista di essere un “diffamatore professionista” e un “genio del male”, suscitando l’ira di Michele Santoro al quale però tiene testa. Finito di leggere, Berlusconi lascia la cattedra e va a riprendersi il suo posto, invitando Travaglio ad alzarsi e risedendosi solo dopo aver dato con un gesto plateale una energica “pulita” alla sedia. [5]

Così la contesa personale e televisiva tra Berlusconi e Santoro arriva all’epilogo in diretta Tv e in piena campagna elettorale. La puntata polverizza il primato di ascolti di La7 registrando 8.670.000 telespettatori con il 33,58% di share[6]: quella che doveva essere la fossa dei leoni per Silvio Berlusconi si trasforma in un palcoscenico ad hoc per il suo cabaret e molti l’indomani parleranno di “rinascita del Cavaliere” dopo il suo “show televisivo” da Santoro.[7]

L’esempio, calzante e simbolico, ricordato da Mihaela Gavrila nel suo intervento, ci porta dritti al concetto di evento televisivo quale avvenimento desunto dal reale che viene rappresentato, quindi mediato, spettacolarizzato e reso fruibile e visibile a tutti perché raccontato attraverso parole ma soprattutto immagini che aiutano a fissarlo nella memoria individuale e collettiva. Questa è la grande rivoluzione apportata dai mezzi di comunicazione, che stravolgono le modalità tradizionali di gestione della visibilità e quindi di esercizio del potere, così come costringono a ripensare un nuovo e diverso approccio metodologico di analisi storica e storiografica.

L’occasione del seminario puntava proprio a stimolare un’attenta riflessione in questo senso e in primo luogo è emersa la considerazione di fondo, ispirata a Jean-François Lyotard, su come oggi ci si trovi ormai ben oltre il concetto di metanarrazione: consumati i grandi quadri di riferimento che hanno caratterizzato l’età moderna, che puntavano a dare una visione globale e unitaria della realtà e concepivano la storia come un processo lineare di progressiva emancipazione, l’epoca postmoderna contempla invece l’emergere delle pluralità e delle differenze e la moltiplicazione delle forme del sapere.[8] Il predominio degli strumenti tecnologici sostituisce sempre di più la forma elementare e tradizionale della narrazione, introduce particolari forme di mediazione e rende la conoscenza disponibile enormemente accresciuta e potenziata. In questo senso si possono quindi considerare i media come strumenti di controllo democratico[9], a partire dalla grande opportunità che offrono in termini di controllo della visibilità e di creazione di nuove forme di pubblicità, nel senso appunto di ciò che è reso visibile e accessibile a tutti. Il sovrano delle epoche passate, di cui si aveva una visibilità limitata nello spazio e nel tempo perché confinata alle rare situazioni di compresenza, cede il posto al leader contemporaneo che deve invece imparare a gestire la rappresentazione di sé, la propria immagine mediale, di fronte ad un pubblico che non è fisicamente presente ma che, proprio grazie ai media e in particolar modo al mezzo televisivo, può usufruire di una visibilità allargata, con potere di accesso sia alla scena che al retroscena, recuperando, e anche in qualche modo andando oltre, quella dimensione di compresenza delle situazioni comunicative del passato. La sfera pubblica si trasferisce nel privato delle nostre case[10], gli eventi del mondo esterno vengono catapultati all’interno dei nostri salotti e attraverso lo schermo televisivo possiamo fare esperienza, viva e diretta, di quegli avvenimenti[11]. Ma la visibilità è un’arma a doppio taglio: non solo la possibilità dei molti (i telespettatori) di controllare i pochi (i personaggi pubblici, la politica, il potere) ma anche la capacità di quei pochi di sorvegliare la massa completamente immersa nel sistema dell’industria culturale e sempre più dipendente e condizionata dall’uso frenetico dei dispositivi tecnologici. Una moderna versione del Panopticon di Bentham, secondo Foucault, che ci avvolge completamente arrivando a controllare in modo sempre più capillare ogni singolo aspetto della nostra vita[12]. Si rende necessaria quindi una nuova riflessione sul concetto stesso di potere, che non è soltanto potere politico, giuridico o economico quali regolatori dei rapporti di assoggettamento nelle dinamiche delle relazioni sociali, ma un potere multiforme che si moltiplica e si manifesta secondo tante altre modalità e attraverso strumenti diversi. Così come il potere della comunicazione, appunto, questa fitta rete di scambi in cui tutti noi siamo coinvolti nella doppia veste di produttori e destinatari, osservatori e osservati, con la conseguente frantumazione del senso unitario di ordinamento della società e la moltiplicazione di fonti, linguaggi e soggetti.

L’era postmoderna si presenta così all’insegna della frantumazione dell’identità stessa degli individui e quindi dell’intera società spogliata di ogni storicità, di quella visione retrospettiva che conferisce senso al passato e lo collega idealmente ad una prospettiva futura. L’imporsi delle nuove tecnologie scardina i tradizionali concetti di spazio e tempo: lo spazio diventa quello di un’immagine e il tempo si suddivide in una serie di momenti isolati, non correlati tra loro. In questo senso quindi le nuove forme di potere trovano nei mezzi di comunicazione, e in particolar modo nella televisione, i principali strumenti di controllo e insieme di seduzione offrendo allo spettatore la rappresentazione della realtà come una serie di eventi di natura spettacolare.[13] Quella che i mass media offrono è quindi l’immagine del mondo e della sua storia, è un racconto coniugato in un eterno presente (di qui l’accusa, soprattutto alla televisione, di “presentismo”, appiattimento della storia sul presente), un racconto del quale però tutti possono venire a conoscenza e di cui tutti possono fare esperienza, hic et nunc, e quindi di qui anche il riconoscimento alla stessa televisione del suo ruolo di strumento democratico quale opportunità unica per molti di conoscere la storia.

È legittimo pertanto a questo punto interrogarsi al riguardo e chiedersi in che modo i media possano essere considerati come ufficiali e autorevoli fonti di storia.

Come affermato da Alberto Abruzzese nel corso del suo intervento introduttivo al seminario, se il postmoderno ha decretato la fine della storia bloccando il tempo e frantumando lo spazio, lo stesso evolversi della tecnologia ha tuttavia rivelato il mondo dell’esperienza. Dal punto di vista dello storico non dovrebbe esserci differenza tra lo studio del “classico” documento rispetto a quello audiovisivo: non sono diversi i documenti ma gli strumenti utilizzati per analizzarli. Questione di approccio e di metodo. La tecnologia nasce dal mutamento del mondo, ad ogni trasformazione si accompagna una ri-mediazione: se, di fronte al medium, si riuscisse a spostare l’attenzione facendo slittare lo sguardo dal contenuto alla forma, ad emergere non sarebbe soltanto il dominio assoluto dell’immaginario dei media ma la storia del mondo come tecnica, la storia della sua trasformazione. Il disfacimento dei criteri costitutivi della storia (spazio, tempo, soggetti, individuo, società, istituzioni) ha determinato la crisi del ruolo dello storico ma forse il punto di svolta potrebbe risiedere in una rilettura in chiave antropologica di quegli stessi paradigmi, una antropologia critica del soggetto-uomo e delle sue tracce.

Esperienza, forma, crisi: queste le tre parole chiave che racchiudono in qualche modo il senso delle riflessioni intorno al rapporto tra media e storia emerse nel corso del seminario. La televisione nello specifico, attraverso l’uso di suono e immagine, si pone come crocevia nella costruzione del racconto della storia, del mondo e insieme della storia del mondo. Attraverso i mezzi di comunicazione assistiamo da un lato alla moltiplicazione dell’esperienza del reale, dall’altro ad una sua privatizzazione ma si tratta in ogni caso di una esperienza mediata, riflessa, di una registrazione della realtà in una qualche forma. E ci troviamo oggi di fronte ad una pluralità di forme: ogni documento storico (scritto, sonoro, visivo) è una forma di registrazione e di rappresentazione degli eventi reali. La Storia è l’insieme dei documenti e delle esperienze intorno ad essi, e quindi è l’insieme delle forme e dei mezzi che li racchiudono. In un epoca di mutazione e di crisi profonda di valori, punti di riferimento, di dottrine e ideologie, di crisi dello storico e della storia, vissuta e narrata, di predominio assoluto dell’immaginario dei media, e quindi dello spettacolo come contenuto veicolato, sarebbe utile forse da una parte concentrarsi proprio sulle forme di comunicazione, tante e diverse, e quindi sui media come tecnica e sulle loro fasi di trasformazione e ri-mediazione e, dall’altra parte, recuperare la storia come nuovo contenuto e riconsiderarla come valore culturale da trasmettere: ma dovrebbe trattarsi di una storia intesa, mutuando le parole di Abruzzese, nel senso più ampio di antropologia della storia, con uno sguardo globale e d’insieme che possa ambire a comprendere la filosofia del mondo.

 

 

 

 


[1] S. Zavoli, Introduzione al seminario “Tv, costituzione e democrazia, politica e pluralismo”, Roma, 2010.

[2] A. Abruzzese, Elogio del tempo nuovo. Perché Berlusconi ha vinto, Costa&Nolan, Genova, 1994.

[3] A. Gramsci, Note sul Machiavelli: sulla politica e sullo stato moderno, Einaudi, Torino,1949.

[4] P. Nicotri, Berluscon de’ Berlusconi: il Cavaliere, Bossi, Fini. Cento temi dei ragazzi da tutta Italia sui nuovi eroi della seconda Repubblica, Marsilio, Roma, 1994.

[8] Cfr. J. F. Lyotard, La condizione postmoderna : rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano, 1981; ed. or. 1979.

[9] Cfr. J. B. Thompson, Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Il Mulino, Bologna, 1998.

[10] Cfr. R. Williams, Televisione, tecnologia e forma culturale. E altri scritti sulla Tv, Editori Riuniti, Roma, 2000.

[11] Cfr. J. Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1995

[12] Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 2005; 1° ed. 1976; ed. or. Surveiller et punir. Naissance de la prison, Editions Gallimard, Paris, 1975.

[13] Cfr. G. Debord, La Société du spectacle, Èditions Buchet-Chastel, Paris 1967; ed. it. La società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008.

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    By: Ilenia Imperi

    Dottore di ricerca in Storia d’Europa: società, politica, istituzioni, XIX–XX secolo, laureata in Lingue e Letterature Straniere e in Scienze della Comunicazione, si è dedicata negli ultimi anni allo studio dei mezzi di comunicazione di massa, approfondendo in particolare l’analisi del mezzo televisivo. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, con una tesi comparata tra ricerca storica e critica sociologica sulla ricostruzione del caso Moro attraverso i Tg della Rai.
    Collabora con la cattedra di Teorie e tecniche dei media presso il Disucom all’Università della Tuscia, con il Centro Documentazione Archivio Flamigni di cui è socia ed è membro del comitato scientifico della Rete degli archivi per non dimenticare.
    Ha pubblicato recentemente il volume Il Caso Moro: cronaca di un evento mediale. Realtà e “drama” nei servizi tv dei 55 giorni, Franco Angeli, 2016. Tra le altre sue pubblicazioni: I 55 giorni del caso Moro tra evento mediatico e ricostruzione storica, in Una vita, un paese. Aldo Moro e l’Italia del Novecento, a cura di Renato Moro e Daniele Mezzana, Rubbettino, 2014; La casa e il design nell’Italia degli anni Settanta. Un caso di studio: la rivista Casaviva, in Consumi e mass media, a cura di Francesca Anania, Bologna, Il Mulino, 2013 (pubblicazione PRIN 2008); Tra la pagina e lo schermo. E Unibus Pluram: un saggio di David Foster Wallace, Quaderni DiSCom – Riflessioni sull’Europa, Ed. Nutrimenti, 1/2009.

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    Il seminario: Dalla storia dei media ai media come fonti di storia
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