Introduzione

La radio ha attraversato da protagonista la storia del Novecento. Ancora oggi il suo ruolo sociale all’interno del mondo globale è testimoniato dalle innumerevoli declinazioni di questo strumento, rese possibili dalla diffusione della Rete. La radio, compagna fedele della nostra quotidianità, è stata testimone e protagonista della storia, oltre a costituire uno specchio “sonoro”, attraverso il quale studiare le culture, le abitudini, i gusti, le passioni di una data società e di una data popolazione in una determinata fase storica.

Il medium radio deve essere interpretato a partire dalla sua dimensione “volatile”, “leggera”, “immateriale”, capace di propagare contenuti attraverso la circolazione nell’etere, proprio come se fosse qualcosa di cui si fatica ad avere una percezione, se non considerata attraverso la sua dimensione sonora. L’avvento della radio ha determinato una “rivoluzione” a livello della percezione della collettività della dimensione sonora. Da questa impostazione emerge una delle caratteristiche peculiari del mezzo, la sua “oralità di massa”. L’oralità della radio rientra all’interno del parlato mediato e condizionato dalla tecnologia, definito da Walter J. Ong come “oralità secondaria” [1]; secondo questa interpretazione “la trasformazione elettronica dell’espressione verbale ha accresciuto quel coinvolgimento della parola nello spazio che era iniziato con la scrittura, e ha contemporaneamente creato una nuova cultura, dominata dall’oralità secondaria”[2]; per altri versi, come ha osservato Peppino Ortoleva, il mezzo radiofonico “presenta una caratteristica intimamente contraddittoria: da un lato ha la capacità di rivolgersi a grandi platee, dall’altro ha la simultaneità propria del parlato faccia-a-faccia”[3].

Suono e voce, linguaggi e musica, che travalicano i confini nazionali per acquisire una dimensione internazionale, o esperienza radiofoniche talvolta limitate ad una località di provincia o persino ad un quartiere di una grande metropoli. La radio, “tamburo tribale” secondo la nota definizione di Marshall McLuhan[4], medium dell’“oralità” per Rudolph Arnheim[5], potenzialmente capace di trasformare gli ascoltatori in protagonisti attivi della comunicazione secondo quanto sosteneva Bertolt Brecht già negli anni Trenta[6], a seconda dei contesti in cui è stata diffusa e nelle epoche storiche in cui ha avuto un ruolo ha saputo continuamente rinnovare i propri modelli. Come ha scritto Alberto Abruzzese “la radio è il linguaggio delle voci, dei ritmi, dei richiami e dunque un linguaggio anfibio tra interiorità ed esteriorità, appunto lo spazio ancora «inaudito» della virtualità”[7]. Una capacità camaleontica che le ha garantito lungo l’intero “secolo dei media”[8] un ruolo definito a seconda delle epoche storiche. Ma proprio grazie a questa sua capacità di rinnovarsi in base ai cambiamenti tecnologici e alle fasi storico politiche attraversate fin dalla sua nascita alla fine del XIX secolo, la radio è già proiettata verso il futuro con la capacità di sviluppare un sistema di web radio all’interno di un mondo in cui la comunicazione pubblica e privata incontra le nuove frontiere dei social network.

Officina della Storia propone questo nuovo monografico per riflettere sul rapporto tra radio e storia secondo una prospettiva aperta e interdisciplinare che punta a far dialogare la radio come fonte storica e mediale, analizzata secondo i linguaggi specifici del mezzo di comunicazione di massa. Rappresentando uno spazio di incontro tra produttori e ricettori dei messaggi le radio diventano dei luoghi di discussione, di informazione, di servizio, ma sono anche luoghi virtuali che contribuiscono a rafforzare un forte senso di identità, sia essa etnica, linguistica, religiosa o politica, oltre a costituire a seconda dei momenti storici degli strumenti di propaganda dei governi, piuttosto che le voci di un determinato movimento politico e sociale. Attraverso il contributo di numerosi studiosi e ricercatori provenienti da diverse Università italiane e straniere il monografico si è interrogato sulle prospettive della ricerca storica rispetto alla radio, che è stata studiata con un pluralità di approcci differenti. Data la difficoltà di risalire a fonti sonore originali, anche seguendo la principale storiografia nazionale ed internazionale[9], si propongono altri tipi di fonti, generalmente scritte, che puntano ad allargare il quadro della documentazione esistente per ricostruire una storia del mezzo radiofonico più completa possibile.

Come ricordato, la storia della radio è legata al Novecento e prosegue ancora nel XXI secolo con intatta vitalità. Per restituire un quadro cronologico dell’evoluzione della radio e del suo ruolo sociale e per esplicitare le molteplici chiavi di lettura presenti, il monografico si apre con due contributi sulla radio negli anni Venti e Trenta in due diversi contesti geografici e politici. L’articolo di Silvia Espinosa Mirabet, dal titolo El peso de las locutoras en la construcción de la radio como medio de comunicación, ricostruisce il ruolo delle donne nello sviluppo e nell’aumento della popolarità della radio nella Spagna degli anni Venti e Trenta. Partendo da una serie di fonti orali l’autrice mostra come dalla metà degli anni Venti le annunciatrici ebbero un ruolo riconosciuto all’interno della radio della Spagna, favorendo anche le prime forme di incontro tra il pubblico femminile e il mezzo di comunicazione attraverso la corrispondenza postale. Se nel corso della II Repubblica spagnola le donne con incarichi di annunciatrice nella radio erano oltre un terzo, con l’instaurazione del regime di Francisco Franco, questa presenza sarebbe stata progressivamente ridimensionata. Il lavoro di Maria Ines Amarante Femmes de voix et de parole: le féminisme au Brésil et le rôle des femmes à la radio à l’aube du XX siècle, ripercorre l’importanza della radio nell’emancipazione femminile nel Brasile tra gli anni Venti e Trenta rispetto all’apertura di nuovi spazi pubblici di discussione. È soprattutto il pubblico femminile a garantire l’ascolto radiofonico nella prima fase: nel corso degli anni l’aumento del numero di programmi e degli ascolti facilita l’accesso al microfono di presentatrici, cantanti, scrittrici, autrici di opere teatrali che diventeranno voci familiari della radio brasiliana, nelle varie aree del Paese.

L’articolo di Raphaelle Ruppen Coutaz, La radio internationale helvétique et la réhabilitation de l’image de la Suisse aux États-Unis (1943-1949) illustra gli sforzi compiuti dalla SOC (Service suisse d’ondes courtes) per riabilitare l’immagine della Confederazione, accusata di collaborazionismo con le potenze dell’Asse, presso l’opinione pubblica statunitense, nel periodo che va dagli ultimi anni della seconda Guerra mondiale alla fase della ricostruzione. Attraverso le fonti di archivio della Società Internazionale Elvetica la Ruppen Coutaz mostra quanto questa radio, usata come strumento di propaganda verso il pubblico nord americano, fosse funzionale all’obiettivo delle autorità svizzere, contribuendo a restituire un’immagine positiva della Svizzera e al suo avvicinamento al campo occidentale.

L’intervento di Nelly Valsangiacomo “Lutile e il dilettevole”. La radio per gli immigrati attraverso la trasmissione Per i lavoratori italiani in Svizzera, testimonia la molteplicità di funzioni della radio e le possibilità di organizzare trasmissioni con un forte senso di identità. Partendo dalla consultazione delle fonti degli archivi della Radio svizzera di lingua italiana (RSI), si mette in evidenza il ruolo assunto dal programma Per i lavoratori italiani in Svizzera tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, al momento in cui la comunità italiana costituiva il gruppo di emigrati più numeroso. La trasmissione, che sarebbe durata fino agli anni Novanta, ha assunto un importante ruolo di servizio per i lavoratori italiani , affiancandosi e in alcuni casi sostituendosi ai tradizionali mezzi di corrispondenza per mettere in contatto parenti e amici da un lato all’altro della frontiera.

Dagli anni Settanta in Svizzera agli anni Settanta in Italia: il decennio delle radio libere e della loro crescita esponenziale. Il periodo dell’epopea delle radio libere, della stagione dei “cento fiori” radiofonici italiani[10], viene affrontato attraverso due contributi che leggono il fermento radiofonico secondo prospettive di natura storico-artistica e politica.

Valentina Vavassori nel suo articolo Radio e Underground press negli anni Settanta: dai Situazionisti a Radio Alice pone in evidenza lo stretto rapporto tra le Avanguardie e le vicende di Radio Alice, una delle emittenti più trasgressive e allo stesso tempo innovative del panorama radiofonico delle radio libere italiane. Attraverso un’analisi della rivista A/traverso, ideata dallo stesso gruppo fondatore di Radio Alice, viene istituito un parallelo tra le tecniche comunicative grafiche dell’underground press e la strategia dei messaggi radiofonici dell’emittente bolognese.

Antonio Lenzi nel saggio Oltre l’antimafia: l’altro lato di Radio Aut, analizza la vicenda di Radio Aut e del suo fondatore Peppino Impastato, mettendo il luce il contesto politico in cui maturò quell’esperienza. Lenzi sottolinea come oltre all’aspetto per cui la radio viene maggiormente ricordata, vale a dire le denunce dei crimini mafiosi, nella programmazione fossero ben presenti anche programmi di natura politica in linea con l’impegno di Impastato nella sinistra extraparlamentare fino dai primi anni Settanta.

Se la diffusione della modulazione di frequenza (FM) era stata determinante per la crescita radiofonica italiana, anche in Francia negli anni Ottanta, il settore radiofonico conosce una crescita senza precedenti che porta il numero di radio oltre le mille unità nel 1984. Nell’ambito della liberalizzazione dell’etere francese, successiva alla vittoria elettorale di François Mitterrand nel 1981[11], Radio Libertaire, la radio della Federazione anarchica di Parigi, viene creata il 1° settembre 1981. L’articolo di Félix Patiès, La conception des premières grilles des programmes de Radio Libertaire, mostra come questa radio, nata per diffondere il pensiero anarchico, nello scopo di mantenere le proprie frequenze e aumentare il numero minimo di ore di programmazione richiesto dalla legge, si è progressivamente aperta ad altre associazioni, diventando nel tempo un punto di rifermento anche come tribuna dove esporre il proprio punto di vista per varie organizzazioni culturali, sindacali e politiche. Partendo dalla consultazione dei palinsesti dei primi anni di trasmissione, Patiès mostra il lavoro svolto in una radio non commerciale, associativa che si basa sulla militanza, sul volontariato e non sulle entrate pubblicitarie, come la maggior parte delle altre stazioni, evidenziando la ricchezza e le difficoltà del progetto iniziale. L’intervento di Pascal Ricaud Histoire et évolution d’une offre médiatique alternative en France:L’exemple des radios (trans)frontalières basques et catalanes, pone al centro della sua indagine lo sviluppo delle radio associative nate a partire dalla fine degli anni Settanta nello spazio transfrontaliero tra Francia e Spagna. Davanti ad uno Stato fortemente accentratore dal punto di vista linguistico, queste stazioni hanno favorito la preservazione di un’identità culturale e linguistica e rappresentano ancora oggi un luogo per favorire l’incontro e la partecipazione degli ascoltatori che condividono una stessa appartenenza. Con lo sviluppo della Rete e delle webradio si ampliano le possibilità anche per queste stazioni di raggiungere un pubblico più ampio in nome dell’abolizione delle frontiere fisiche unitamente alla condivisione e all’interattività che l’esperienza delle radio online comporta.

Lo spazio locale non è più definito da confini geografici nell’era del web 2.0. La dimensione comunitaria delle radio locali associative è evidente in quanto sono pensate e ideate per una comunità o per favorire il dialogo tra diverse comunità. Da questo punto di vista il web offre maggiori occasioni di animare una comunità o di produrre una comunità online specifica intorno ad una radio.

L’articolo di Mercedes Roman Portas e Aurora Garcia Gonzalez, La evolución de la radio y de la webradio en una perspectiva histórico-sociológica indaga il tema della trasformazione della radio in webradio analizzando il cambiamento nella programmazione e nelle modalità di fruizione degli ascoltatori. Partendo da un’analisi sociologica le autrici individuano, tra gli elementi più importanti, i mutamenti dei rapporti con il pubblico costituiti dall’interattività e dalla possibilità per gli ascoltatori di scegliere quali contenuti selezionare; la webradio rappresenta un nuovo modello di partecipazione, capace allo stesso tempo di favorire negli ascoltatori la funzione connettiva, quella identificativa e quella partecipativa. 

Nella sezione Work in progress presentiamo i contributi di Ester Lo Biundo, La propaganda di Radio Londra durante l’occupazione alleata 1943-45 e di Caterina Conti Il caso di Radio Trieste tra il 1954 e il 1976. Nel primo caso Ester Lo Biundo, già autrice di un volume sul tema, si propone di indagare attraverso l’uso di varie fonti d’archivio il ruolo condotto dalla propaganda di Radio Londra nel periodo dell’occupazione alleata con particolare riferimento all’analisi della programmazione e dell’influenza politica del Foreign Office sulla BBC. Nel secondo caso viene affrontata la vicenda di Radio Rai Trieste nel periodo compreso tra il Memorandum di Londra del 1954 e il Trattato di Osimo del 1976. In questa fase l’emittente divenne il centro della vita culturale cittadina e contribuì all’apertura di importanti spazi pubblici di discussione nella comunità cittadina. Frutto di una ricerca su numerose trasmissioni culturali, il contributo di Caterina Conti presenta alcuni risultati della sua Tesi di Dottorato privilegiando un approccio metodologico che intreccia fonti radiofoniche e fonti giornalistiche. 

In conclusione si presenta una recensione del volume di Arturo Marzano, Onde fasciste. La propaganda araba di Radio Bari (1934-43), Carocci, Roma 2015, che si inserisce appieno nelle finalità del numero monografico di riflettere sul rapporto tra radio e storia. In mancanza di fonti sonore, Marzano ricostruisce la vicenda della propaganda radiofonica fascista di Radio Bari verso i Paesi del Maghreb e del Medio Oriente, attraverso l’uso prevalente di fonti d’archivio, dimostrando una grande capacità di restituire la dimensione “sonora” della radio.

Attraverso la presentazione di questo nuovo numero della rivista Officina della Storia si vuole offrire una riflessione del rapporto tra la specificità del medium e l’uso delle fonti mediali individuate dallo storico. Come testimonia la ricchezza degli approcci disciplinari e interpretativi, la radio si presenta ancora oggi come uno dei mezzi di comunicazione più significativi per comprendere alcuni mutamenti ed evoluzioni delle società del Novecento, ma testimonia anche la sua vitalità e il suo sguardo rivolto al futuro inserendosi in pieno nelle impetuose trasformazioni avviate con l’epoca della Rete; essa dimostra di sapersi adattare alle nuove sfide della comunicazione e a porsi come un agente importante per gli individui tra mondo globale e spazio locale.

 


[1] Cfr. W. J. Ong Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino, 1986.

[2] Ibidem, p. 190

[3] Cfr. P. Ortoleva, La cavalleria leggera della comunicazione, in F. Monteleone (a cura di), La radio che non c’è. Settant’anni un grande futuro, Roma, Donzelli, 1994, p. 24.

[4] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 2008 (tit. or. Understanding Media: The Extensions of Man, 1964) p. 269.

[5] Cfr. R. Arnheim, La radio, larte dellascolto e altri saggi, Roma, Editori Riuniti, 2003.

[6] Cfr. B. Brecht, Scritti sulla letteratura e sull’arte, Torino, Einaudi, 1973.

[7] A. Abruzzese, Dialoghi del tempo vissuto, in F. Monteleone (a cura di), La radio che non c’è. cit., p. 5.

[8] Cfr. P. Ortoleva, Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, Milano, Il Saggiatore, 2009.

[9] Si ricordano i lavori di Eric Barnouw (in 3 volumi) per la radio negli Stati Uniti, History of Broadcasting in the United States of America, New York, Oxford University Press, 1966, di Asa Briggs per la radio in Gran Bretagna, The History of Broadcasting in the United Kingdom, Oxford, Oxford University Press, 1995, di Christian Brochand per la radio in Francia Histoire générale de la radio et de la télévision en France, Paris, La Documentation Française, 2006, di Armand Balsebre per la radio in Spagna, Historia de la radio en Espana, Vol. I (1874-1939) e Vol. II (1939-1985), Madrid, Ediciones Cátedra, 2002 di Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia. Costume società e politica, Venezia, Marsilio, 2006 e di Enrico Menduni per la radio in Italia, La radio nell’era della Tv, Bologna, Il Mulino, 1994 e Il mondo della radio. Dal transistor a Internet, Bologna, Il Mulino, 2001.

[10] Per un quadro generale sul tema cfr. Radio FM 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna, a cura di P. Ortoleva, G. Cordoni e N. Verna, Bologna, Minerva, 2006.

[11] T. Lefebvre, La bataille des radios libres 1977-1981, Paris, Nouveau Monde Éditions, 2008.

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    By: Raffaello A. Doro

    Il cambiamento del sistema mediatico francese all’inizio degli anni Ottanta, con la votazione della legge del luglio 1982 che sancisce la fine del monopolio statale sulle comunicazioni, non sarebbe stato possibile senza il composito e variegato movimento delle radio libere, attivo in Francia nel periodo tra il 1977 e il 1981. Thierry Lefebvre, storico dei media, del cinema e autore di numerosi contributi sull’argomento, nel volume La Bataille des radios libres, ricostruisce gli avvenimenti significativi che segnano la lunga fase di clandestinità delle radio libere francesi prima dell’avvento al potere di François Mitterrand nel maggio 1981. Il tema della libertà di antenna, strettamente correlato con il diritto alla libertà di espressione, poneva in primo piano la gestione dei media, già profondamente criticata durante gli avvenimenti del maggio ’68. Dopo l’elezione di Valéry Giscard d’Estaing nel 1974 il controllo del governo sui canali della radio televisione pubblica era stato rafforzato trasformando la questione del monopolio in un argomento rilevante nel dibattito dell’opinione pubblica.

    Attraverso un ampio uso di fonti orali, Lefebvre ripercorre con attenzione le origini del movimento delle radio libere in Francia. A partire dalla nascita della rivista Interférences nel 1974 vengono ricostruiti i primi effimeri tentativi di trasmissioni al di fuori del monopolio, sottolineando il carattere esemplare che assume il modello italiano per la situazione francese. In Italia una sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1976 aveva posto di fatto fine alla gestione statale sulle comunicazioni audiovisive decretando in pochi anni una crescita senza precedenti del settore radiofonico e televisivo. Lefebvre ricorda inoltre la situazione specifica della Francia dove accanto alle radio del servizio pubblico esistono le radio cosiddette “periferiche” come RTL, Europe 1 e Radio Monte-Carlo. Queste emittenti, con gli studi situati in Francia e i trasmettitori posti al di fuori dei confini dell’Esagono, pur rispettando il monopolio, venivano tollerate poiché controllate in modo indiretto dallo Stato che deteneva delle quote di partecipazione nei bilanci delle singole emittenti.

    In questo quadro legislativo, a partire dal marzo 1977 diverse radio “libere”, “pirata” o “clandestine” sorgono in varie parti della Francia: militanti extraparlamentari, ecologisti, avvocati, giornalisti, sindacalisti, uomini politici o semplici appassionati di tecnica radiofonica e di musica si mobilitano per creare il proprio strumento di comunicazione.

    I risvolti politici della “bataille des radios libres”, sono ben evidenziati da Lefebvre quando si sofferma sul ruolo svolto da un gruppo di giovani avvocati, militanti del Partito Repubblicano del Presidente della Repubblica Giscard d’Estaing. Dopo aver subito una denuncia per l’attività della propria radio(Radio Fil Bleu a Montpellier), essi spostano la questione sul terreno giuridico richiamandosi alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino e al principio della libertà di espressione, evidenziando le contraddizioni della legge davanti ad una situazione in cui l’uso della banda FM e i progressi tecnologici consentono di realizzare una radio con costi accessibili a tutti.

    Nonostante l’attivismo di molti animatori radiofonici, la repressione del governo che resta fedele al principio monopolistico, impedisce un ascolto stabile e duraturo e le trasmissioni si limitano ad appuntamenti settimanali e generalmente preregistrati per evitare il “brouillage”, il disturbo sistematico sul segnale emesso dai servizi di controllo di Télédiffusion de France nei confronti delle radio libere. La promulgazione della Legge Lecat, che dal giugno 1978 inasprisce le misure contro chi avrebbe trasmesso al di fuori del monopolio, segna secondo Lefebvre l’incapacità della governo liberale di Raymond Barre di rispondere ad un bisogno di comunicazione sollecitato da più parti della società francese. Il nuovo provvedimento stabiliva che chiunque avrebbe trasmesso al di fuori del monopolio rischiava dai 10000 a 100000 franchi di ammenda e da un mese ad un anno di prigione.

    Dalla fine del 1978 la storia delle radio libere si intreccia strettamente con le vicende più generali della società francese. Per contrastare il piano di licenziamenti proposto dal governo nel settore dell’industria siderurgica i sindacati CFDT e CGT creano le proprie radio di lotta nella regione della Lorena, fornendo un sostegno molto importante alla popolazione del bacino di Longwy che utilizza la radio per far sentire la propria voce in un momento di crisi.

    La partecipazione diretta dei sindacati alla battaglia per la fine del monopolio contribuisce a far evolvere le posizioni anche all’interno dei partiti politici. Le forze di destra, UDF e RPR, pur non essendo ideologicamente contrarie alla fine del monopolio statale sulle comunicazioni, mantengono una posizione di rigida chiusura, al punto che il primo ministro Raymond Barre nel settembre 1979 apostroferà le radio libere come il “germe potente dell’anarchia”. Lo spettro dell’“anarchie à l’italienne”, con la conseguente proliferazione di radio private cresciute in modo vertiginoso in questi anni, è agitato da Giscard d’Estaing e Barre anche come un rischio per i finanziamenti alla stampa regionale.

    Nell’ambito dei partiti della sinistra, PCF e PS, che rimangono legati all’idea di monopolio, si propone la creazione di radio locali municipali, gestite dagli eletti e dai rappresentanti delle collettività locali. Radio Lorraine Coeur d’Acier, la radio della CGT di Longwy, sembra rispondere a questa tipologia di emittente, ma riveste al tempo stesso un ruolo del tutto specifico per il movimento delle radio libere, considerata come un simbolo di resistenza della popolazione della Lorena davanti al rischio della perdita del posto di lavoro.
    La vicenda della trasmissione di Radio Riposte, la radio della Federazione di Parigi del Partito Socialista, avvenuta il 28 giugno 1979, rappresenta un avvenimento decisivo. Dalla ricostruzione di Lefebvre emerge come in seguito alla denuncia ricevuta da François Mitterrand per aver partecipato a questa trasmissione, il tema del monopolio e della libertà di antenna diventerà uno dei temi più caldi durante la campagna per le elezioni presidenziali del maggio 1981. Non è infatti un caso che uno delle 101 proposte del programma di governo del futuro Presidente della Repubblica prevede la fine del monopolio sulle comunicazioni e che uno dei primi provvedimenti attuati dal nuovo governo socialista nel 1981 sia la legge di tolleranza nei confronti delle radio libere ancora clandestine, completata poi dalle legge del luglio 1982 che sancisce definitivamente la fine del monopolio.
    Nel testo di Lefebvre sono evidenziate le posizioni contrastanti delle federazioni nazionali delle radio libere, in particolare l’ALO (Association pour la Libération des Ondes) e la FNRL (Fédération Nationale des Radios Libres) sullo statuto delle nuove radio rispetto al finanziamento e alla potenza dei trasmettitori. Se l’ALO è favorevole ad un ricorso limitato alla pubblicità, la FNRL si oppone ad ogni ipotesi di finanziamento pubblicitario così come all’aumento della potenza dei trasmettitori nel timore che in questo modo il settore si sarebbe aperto alle grandi imprese commerciali relegando in secondo piano la comunicazione sociale e locale. Tali divergenze mostrano già quali saranno i punti di maggiore divergenza nel momento in cui sarà definita la nuova legge che regolamenta il settore a partire dal 1981.

    La vicenda di clandestinità delle radio libere francesi tra il 1977 e il 1981, così come raccontata nell’opera di Thierry Lefebvre, permette di cogliere alcuni passaggi importanti e alcuni attori significativi della società francese che appaiono decisivi nella definizione successiva di un nuovo quadro legislativo per i mezzi di comunicazione di massa che durante il decennio Ottanta avrebbe cambiato in profondità il sistema mediatico francese. Dopo le opere scritte a ridosso di quegli anni, o dedicate al periodo successivo al 1981, il libro di Thierry Lefebvre, offre numerose piste di ricerca che permettono di cogliere la genesi del movimento delle radio libere in Francia, considerato dall’autore come una trasformazione dello spirito del “mai ’68”, mostrando la capacità della radio di permettere l’espressione di gruppi politici, minoranze, identità linguistiche locali, rivendicazioni territoriali, e più in generale tutte quelle voci che solitamente erano escluse dai grandi canali di comunicazione.
    L’opera di Thierry Lefebvre indaga con attenzione e cura questo periodo, che diventa di estrema utilità per comprendere le evoluzioni successive, radicali e irreversibili, che il paesaggio audiovisivo francese ha conosciuto a partire dal maggio 1981.

    Cfr. in particolare F. Cazenave, Les radios libres, Presses Universitaires de France, Paris 1980 e C. Collin, Ondes de choc. De l’usage de la radio en temps de lutte, L’Harmattan, Paris 1982.
    Cfr. A. Cojean, F. Eskenazi, FM. La folle histoire des radios libres, Grasset, Paris 1986.

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    Il rotocalco televisivo di informazione: Tv7 racconta l’Italia degli anni Sessanta
    Recensione: Arturo Marzano, Onde fasciste. La propaganda araba di Radio Bari (1934-43)
    Officina della Storia Indice n. 16/2016

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