Da questo seminario e da queste riflessioni sono scaturite alcune discussioni che hanno spinto i curatori di questa rivista ad iniziare il cammino editoriale in ambito storico contemporaneo. Il seminario che si è svolto l’anno scorso a Firenze ha evidenziato la necessità di riflettere sull’opportunità di dare maggiore visibilità al lavoro dello storico contemporaneo in Italia, non solo in ambito disciplinare accademico. La quasi totale mancanza di riferimenti on-line di sicuro ambito scientifico è stata la seconda molla che ha permesso al nostro piccolo gruppo di giovani storici di prendere la difficile decisione d’iniziare l’impegno non indifferente che sta alla base dell’Officina della Storia.
Il III incontro del seminario d’informatica e storia ha coinvolto alcuni tra gli storici più impegnati nel districare il legame spesso difficile tra le discipline storiche e le nuove tecnologie. Inevitabilmente questo incontro tra discipline in partenza così diverse ha permesso invece di fare scaturire un insieme di proposte e di sperimentazioni utili al mestiere di storico contemporaneo. Il tono generalmente fiducioso nelle potenzialità delle nuove tecnologie è stato tuttavia provocatoriamente abbassato dall’intervento di Pietro Corrao[2]. Corrao stende in un primo momento un bilancio decennale piuttosto magro dell’esperienza informatica in campo storico soprattutto se confrontato con i notevoli sviluppi dell’edizione digitale. (es: trattamento delle fonti, repertoriazione, costruzione di banche dati) In effetti lo storico deve fare i conti con tante promesse disattese. La maggiore accessibilità, l’incremento del pubblico, la velocità d’accesso, l’economicità, la multimedialità, l’ipertestualità, l’aggiornabilità dei testi, la comunicazione e l’informazione rimangono ad oggi temi appena sfiorati in ambito storico.
I pericoli secondo Corrao sono sempre tanti, troppi per l’ambito disciplinare scientifico storico. La difficoltà della riconoscibilità del materiale scientifico dall’immensità amatoriale così come l’uso di “effetti speciali” francamente esterni alla tradizione disciplinare e soprattutto l’instabilità del testo digitale pongono problemi spesso irrisolti per quanto riguarda le citazioni di fonti certe e la sicura reperibilità del testo. Le discipline storiche rispondono a questi problemi metodologici con una serie di rifiuti all’uso dell’informatica. La diffidenza della comunità scientifica crea una certa resistenza alle sperimentazioni e alla scrittura ipertestuale non lineare. In questo preciso caso Corrao descrive la particolare renitenza dei medievisti, che ci sembra di potere allargare a tutta la categoria degli storici. Il massimo del rischio informatico viene dunque preso nella pubblicazione del testo in formato PDF, formato nato per l’uso tipografico e che dunque lascia il testo nella sua immutabile forma statica. Una forma rassicurante della pubblicazione elettronica che dà stabilità al testo in quanto permette una riproduzione pressoché esatta. Questo utilizzo del formato PDF denota una certa resistenza circa la questione dell’aggiornabilità del testo stesso. Esiste anche una forte resistenza alla pubblicazione dei cosiddetti materiali grigi (spunti di convegni, pezzi non definitivi…). Sono inoltre molto poco utilizzate le nuove forme di organizzazione della scrittura presenti esclusivamente online come i weblog e le varie piattaforme WIKI ispirate alla più celebre WIKIPEDIA[3] così come l’uso di tutti quei software liberi come GNU[4] o GPL[5]. Esiste dunque una grande diffidenza verso tutto ciò che può mettere in discussione il testo o eventualmente modificarlo. La multi-identità dell’ipertesto, disattesa fino ad oggi da parte della comunità degli storici sembra essere la speranza per le opere future. Un testo scientifico, multimediale, che possa in un certo senso recuperare la dimensione didattica e quasi artigianale nel senso dell’unicità della produzione della scrittura.
Per lo storico francese Philippe Rygiel[6] la difficoltà di affidarsi al mezzo informatico pone anche alcuni problemi a posteriori. Non esistono e non esisteranno in futuro nessun racconto della “pratica” dello storico circa l’uso dei mezzi elettronici essendoci una totale assenza delle “versioni non definitive” con la cancellatura delle varie prove di scrittura e di assemblaggio del discorso storico. “Brutte copie” che stanno invece alla base dell’utilizzo delle banche dati storiche. Ci si trova spesso davanti a dei testi che sono per lo più normativi piuttosto che veri racconti pratici degli storici contemporaneisti. Egli fa una breve carrellata della presenza della storia contemporanea sul web. Prende in considerazione solo la storia contemporanea nativa sul web, ossia tutti quei materiali che non sono mai stati pubblicati prima in forma cartacea e che appaiono per la prima volta in formato elettronico. Negli anni 70-80 nasce l’esigenza di creare banche dati elettroniche soprattutto per pura necessità statistica e per analisi lessicologiche di base come ad esempio le banche dati contenenti i proclami elettorali. Questi strumenti servono principalmente per rispondere a questioni già esistenti come l’analisi della mobilità sociale. Aiutano a riscoprire concetti tradizionali come quello di classe. Una “storia delle misure” permette così per esempio di capire che alcuni ceti sono più mobili di ciò che si pensava e che esiste una maggiore fluidità sociale e geografica in un dato periodo. Gli anni 80 vedono l’utilizzo sostanziale del computer come macchina da scrivere evoluta mentre gli anni 90 ne permettono un uso all’interno della rete telematica e di definire nuove traiettorie storiche grazie alle nuove analisi informatiche. In questo periodo le domande sono diverse dal decennio passato. Ci si occupa maggiormente del livello “micro” formato da piccoli gruppi locali e ci si pone anche in modo diverso di fronte alla ricerca e ai suoi quadri generali. Cosa decidere di mettere in linea e in base a quale tipo di dibattito ma anche cosa rendere accessibile e seguendo quali linee guida diventano i nuovi quesiti. In Francia, il CNRS offre il suo sostegno alle riviste elettroniche anche se a questo stadio le riviste online sono pensate come riviste cartacee, senza troppe sperimentazioni. Lo storico può finalmente fare storia comparata spigolando qua e là. La multimedialità viene molto poco sfruttata e in questo periodo non esiste ancora nessuna piattaforma wiki in Francia. La creazione di un atlante multimediale dedicato alle popolazioni straniere in Francia è uno degli esempi più classico dell’uso informatico di questo periodo. Esistono poi una serie di problemi che ad oggi rimangono ancora irrisolti. Le varie “memorie” che si trovano online sono spesso indistinguibili dalla grande concorrenza dei “discorsi” pubblicati. L’accesso ai testi rimane un problema forte. L’esempio degli archivi di stato francesi è assai chiarificatore. Ogni prefettura ha le sue norme e decide in base alle proprie affinità. Così si possono trovare archivi gestiti da terzi, archivi rimasti unicamente su carta, altri invece consultabili unicamente su supporto digitale etc… Il problema fondamentale per lo storico contemporaneo rimane l’enorme mole di dati e di archivi che paradossalmente cresce di giorno in giorno. Gli altri ambiti storici possono contare su una documentazione relativamente limitata e finita ma lo storico contemporaneo si trova confrontato ad un numero di dati in crescita esponenziale. Non è dunque ipotizzabile padroneggiare questo volume d’informazione in modo semplice. Inoltre questo problema si riversa sulla futura formazione degli storici. Rimane fondamentale evidenziare dunque come organizzare e valutare i nuovi storici. Ad oggi rimangono gli storici-autori ma non sono emersi gruppi specifici o settori dedicati a queste nuove problematiche legate all’uso delle nuove tecnologie in storia contemporanea.
Per Roncaglia[7], i cambiamenti non sono tanto nelle “strutture” della scrittura saggistica né nell’uso dei nuovi media quanto piuttosto nella produzione e nella documentazione, nell’innovazione del formato che permette una maggiore distribuzione così come l’integrazione facilitata (CROSS-REFERENCE[8]) che diventa possibile rendendo il testo storico veramente ipertestuale. L’incapacità di misurarsi con questi nuovi strumenti fa scaturire una certa impossibilità d’uso nella forma “saggio”. La rivoluzione non sta tanto dentro il testo ma piuttosto intorno al testo. Gli ipertesti anche storici devono seguire una logica a grafi, una struttura ad albero che permetta una “deduzione naturale”. In pratica la struttura del testo deve combaciare con la struttura del ragionamento. Lo storico può allora scegliere se rendere palese almeno una parte di questa struttura e permettere di seguire la “dimostrazione” o lasciare un “movimento libero” all’interno del testo celando la struttura facendo intendere che non la si domina durante la lettura. In ogni caso l’ipertesto storico deve come ogni ipertesto narrativo offrire strumenti d’interazione, interfacce di scelta ma anche strumenti di mappatura e di controllo della navigazione. Esempi significativi di scrittura collaborativa sono riscontrabili in WIKI e WIKILEX[9]. Per quanto riguarda la gestione collaborativa di documenti e di archivi viene segnalato il sito FOOTNOTE[10] e le varie tecnologie di TRACKBACK[11] e Feed RSS[12] relative all’indicizzazione nella blogosphera.
Paul Bertrand del CNRS intervenendo sulla realtà dei blog in campo storico denota un generale impatto euforico nel mondo della scrittura. Nasce in questo modo una “storia immediata” assai criticata dagli ambienti scientifici e umanistici. Ciononostante vengono creati portali-blog raccoglitori di blog storici come HNN[13] o CLIOPATRIA[14]. In Francia nasce il blog[15] della redazione della rivista mensile HISTOIRE[16] ma anche PECIA[17] un blog dedicato alla storia del manoscritto medievale realizzato da non professionisti ma seguendo comunque un preciso percorso scientifico. Altro esempio francese è l’ARHV[18], centro di ricerche in storia visuale (parte della EHESS) nato nel 2005, che si dedica alla ricerca e allo studio dei media illustrati (fotografia, cinema, nuovi media). Vero e proprio blog moderato da un comitato scientifico. I testi dei commenti rimangono a firma dei propri autori. La redazione ha comunque deciso di abbandonare i trackbacks per impedire attacchi da parte di robot spammer. Altra scelta tecnica importante risiede nel fatto di chiudere i commenti 90 giorni dopo la pubblicazione degli articoli. Ogni immagine si presenta sotto forma d’icona cliccabile che rimanda ad una versione più grande conservata sul sito FLICKR[19] specializzato nei fotoblog che fornisce una serie di metadati relativi all’immagine (legenda dettagliata con caratteristiche tecniche e fonti dell’immagine). Interessante anche il sito del CRID[20] che premette una discussione assai aperta all’interno del suo forum[21]. Per chiudere gli esempi francese si segnala il sito MENESTREL[22] dei medievisti su internet che può contare sulla collaborazione da parte di una quindicina di istituzioni universitarie sparse in Europa e che pubblica online studi e repertori aggiornati utili agli storici del medioevo. Due esempi più generalisti ma comunque importanti vengono invece dagli Stati Uniti con il BLOGCARNIVAL[23] che permette d’incontrarsi ciclicamente su temi ben precisi e dunque di mettere in risalto una certa comunità rispetto ad una altra. L’altro esempio di blog americano è l’ACADEMIC BLOG[24] che permette di capire la portata dei blog all’interno della comunità scientifica statunitense.
Giulio Romero[25] apre la visuale su possibili progetti scientifici sponsorizzati da privati. L’esempio portato al seminario dello studio sulla Torre Monalda[26] di Firenze è interessante sotto più punti di vista. La possibilità di effettuare uno studio approfondito su edifici storici permette una profonda analisi dei temi legati alla storia dell’intera città. Il sito finanziato, in modo assai discreto, dalla struttura alberghiera che ora occupa la torre si mostra come una vera e propria tesi, con il suo apparato iconografico, la sua bibliografia e i vari capitoli dedicati alla storia e all’uso della torre con una mappa interattiva. Il sito-documento originale è creato nell’ambito di AthelHis[27] un atelier di storia rivolto a privati e enti pubblici che propone di dare un valore aggiunto non indifferente alla promozione culturale e turistica creando studi storici specifici ma seguendo un chiaro percorso scientifico.
Enrica Salvadori[28] dell’università di Pisa fa il punto sulle edizioni elettroniche di materiale medievistico. Prende in esempio l’edizione elettronica del regesto del CODICE PELAVICINO[29], un insieme di oltre 600 documenti digitalizzati. L’edizione risulta importante inquanto vera officina del lavoro d’edizione più che per il risultato finale. Le fonti medievali pongono infatti un problema circa il lavoro collaborativi che comunque rimane un bug del mestiere di storico. La redazione ha utilizzato il software MEDIAWIKI[30] che permette di tenere traccia delle modifiche e di elaborare degli indici cronologici non automatici. Questo particolare software permette l’integrazione delle varie competenze ma soprattutto di avere una versione sempre aggiornata dell’opera online e di usufruire di un motore di ricerca interno. In ogni caso è disponibile una possibilità di stampa tradizionale che riassicura lo storico. Il neo di questo progetto è la non realizzazione di una versione XML[31], che si avvera troppo difficoltosa da un punto di vista tecnico (conoscenza lessicale complessa) ma anche di tempo (lunga codifica del testo). Salvatori è anche ideatrice e autrice del primo podcast sulla storia HISTORYCAST[32].
Eric Vallet descrive un’altra faccia della storia online dedicando il suo intervento alla reperibilità delle fonti arabe sul web. In quanto universo storico culturale completamente diverso da quello occidentale, il mondo arabo affronta alcune problematiche sue proprie. Esiste infatti un problema circa il rapporto della storia con il mondo storico dell’Islam. Un insieme di testi molto voluminoso che sfiora i 2 milioni di manoscritti e i vari canoni linguistici utilizzati nelle varie epoche sono i temi centrali delle problematiche legate all’utilizzo delle banche dati e delle nuove tecnologie in generale. Una cultura umanistica molto sviluppata nei primi secoli ma molto presto congelata e chiusa alle novità. Il sito di riferimento DIWAN[33] appare come lo strumento più completo. Contiene infatti un thesaurus informatizzato di epigrafia araba e islamica così come un largo numero di articoli relativi agli studi del mondo arabo medievale. Altro sito di riferimento è APD[34] la banca dati riservata alla papirologia araba. Questi due siti sono creati e realizzati da studiosi occidentali ma esistono anche alcuni siti fondamentali non di matrice occidentale. Il siriano ALWARAQ[35] ha una banca dati di oltre 800 testi (full text) e permette anche una discussione aperta e pubblica. Altro esempio è il sito saudito AL-EMAN[36] che contiene una ricca biblioteca di testi islamici ma che non permette discussioni interne.
Michal Szulc analizza alcune fonti online per la storia ebraica. Uno dei progetti più interessanti sembra essere l’INDEX OF JEWISH PERIODICALS[37] pubblicato online semestralmente (a pagamento presso il sito americano EBSCO[38]). Altro progetto che permette di avere accesso a versioni originali di testi è l’EXILPRESSE DIGITAL[39] che riproduce parte della stampa d’esilio della comunità ebraica tedesca anteguerra. Il sito COMPACT MEMORY[40] raccoglie 100 periodici della stampa ebraica tedesca (1806-1938) dando la possibilità di leggere gli articoli sia in formato full text che full scan. Importante anche la funzione del motore di ricerca interno al sito. Altro progetto importante è la raccolta full scan della N.Y. PUBLIC LIBRARY[41] del progetto relativo agli Yizkor books. Gratuitamente accessibili e liberamente consultabili gli YIZKOR BOOKS[42] sono una fonte fondamentale per la storia delle comunità ebraiche dell’Europa del nord e dell’est. Sempre riguardo agli Yizkor books sono presenti delle traduzioni online realizzate da parte di un collettivo di volontari sul sito JEWISHGEN[43]. Il sito realizzato da ebrei americani originari dell’Europa dell’est contiene alcuni testi tradotti ma non essendovi informazioni sul comitato scientifico di supervisione delle traduzioni né note circa le qualifiche dei traduttori, né tantomeno informazioni circa le versioni utilizzate il sito non può essere utilizzato a fini accademici. L’importanza dei meta dati viene in questo senso vissuta come primaria fonte di accreditamento scientifico dei dati.
Il professore Manfred Thaller[44] descrive l’importante sforzo creativo relativo alla realizzazione della digitalizzazione del codice elettronico della cattedrale di Colonia CEEC[45]. Questo poderoso database che contiene circa 400 codici manoscritti (circa 130.000 pagine) della cattedrale di Colonia ha necessitato di 2 anni per la realizzazione. Le singole pagine sono consultabili in versione full scan e full text. Le immagini full scan sono disponibili ad alta risoluzione e contengono un’importante descrizione dei meta data, d’informazioni di sfondo e di varie modalità di ricerca che vanno dalla consultazione ad “occhio nudo” fino alla più complessa analisi con zoom delle pagine full scan. Per il professore Thaller direttore del progetto CEEC il concetto di disponibilità e di fruizione del testo equivale al concetto di qualità. In questo caso sono state rispettate sia le aspettative di qualità scientifica sia quelle di fruizione del testo con un ricco apparato di documenti e note. Stessa procedura è stata adottata per il codice SANGALLESE[46] che fa parte della più vasta raccolta di manoscritti svizzeri[47]. Altro progetto particolarmente interessante sempre in ambito tedesco è la digitalizzazione degli testi incunaboli[48] a cura della università di Colonia (500 titoli dal 1460 al 1485) e della biblioteca August Herzog di Wolfenbüttel (500 titoli circa dal 1485 al 1500).
In questo caso il professore Thaller e la sua equipe hanno dovuto fare delle scelte di contenuti e di qualità riassunte in questi tre punti: “Summarize the least important (regesta), edit the most important (editio critica), reproduce the exhalted few (facsimile)”. Con le tecniche digitali risulta infatti meno costoso riprodurre i testi piuttosto che descriverli. I software proprietari diventano obsoleti quando i progetti sono di realizzazione lunga, per via della monumentale mole di documenti da trattare. Diventa dunque importante lavorare a progetti realizzati su base di open software che si rinnova ciclicamente grazie ad una comunità attiva. Il processo che permette al lettore di venire a conoscenza di una fonte può a volte arrivare fino a 10 anni ma con l’utilizzo dei media digitali è possibile accorciare questo gap, soprattutto utilizzando il lavoro collaborativo.
Prisca Giordani si occupa delle strategie digitali rivolte alla creazione degli archivi storici della C.E. La costruzione di una nuova “infrastruttura culturale” che funzioni da unica base europea è il nuovo progetto che unificherà vari archivi tra cui quelli della CECA, dell’EURATOM e di alcuni archivi privati di grandi personalità implicate nella costruzione europea. Nel 2009 Villa Salviati ospiterà infatti i nuovi archivi unificati europei. Il primo contratto prevede che la copia cartacea e i microfilm siano ordinati e successivamente riversati di anno in anno in formato digitale. L’accesso libero ai fondi delle varie istituzioni europee permetterà anche di usufruire del servizio “voices of europe” già disponibile online. Questa versione digitale delle grandi voci europee è disponibile anche in formato pdf. E’ da segnalare anche l’importante servizio di thesaurus multilingue EUROVOC[49] che farà parte integrante del progetto dei nuovi archivi europei.
Il professore Federico Valacchi[50] esperto di sistemi archivistici on-line sostiene che esiste un paradosso dell’archivio digitale. Più grande è l’accesso all’archivio e maggiore è la garanzia di futuro del documento. Nei sistemi documentali complessi esiste una corrispondenza tra soggetto produttore e sedimentazione. Il modello conservativo strutturato e centralizzato è sinonimo di complessità oggettiva dei sistemi documentali.
Per Corrao la grande disponibilità dei testi fa che non c’è più la necessità di rappresentare il testo. La metafonte o l’avatar si raggiunge rapidamente in un link. In questo modo le tradizioni disciplinari forti diventano inesorabilmente deboli ma per Thaller la descrizione di un documento fa parte integrante del processo intellettuale necessario per la sua comprensione.
Marcello Verga[51] direttore insieme ad Andrea Zorzi del portale STORIA DI FIRENZE[52] descrive la sua esperienza redazionale. Il sito dedicato alla storia della città non è una rivista ma un vero portale. Non articoli nuovi dunque ma luogo di aggregazione e di ricerca delle fonti con una redazione collettiva che acquisisce e recupera saggi e testi digitali. Una relazione che unisce le varie istituzioni della città (politiche e culturali) e che permette di imbastire un modo diverso di scrivere la storia della città, tematizzandone alcuni punti forti. Questo rapporto particolare con la città dona un senso nuovo al lavoro dello storico aprendo ad un pubblico più ampio. L’attività viene programmata in base a questioni che nascono dal dibattito pubblico e cittadino. Non più dunque una ricerca storiografica sterile ma un vero sforzo intellettuale che si confronta con chi deve “fare la città”. Il confronto interdisciplinare allargato ai cittadini permette allo storico di diventare “coscienza civile cittadina” come lo furono Pasquale Villani o Giovanni Spadolini per Firenze. Il portale in questo modo non supplisce alla rivista o alla pubblicazione scientifica ma va oltre il dibattito storiografico interno. Le memorie costruite dai vari gruppi istituzionali e civili vanno a far parte dei materiali utilizzati dagli storici creando una tematizzazione e una periodizzazione diversa in funzione della storia della città. Queste memorie sono considerate come fonti in senso lato dalla redazione del portale che rimane tuttavia formata da un collettivo di storici.
Luigi Tommasini[53] si è soffermato sulle banche dati di fotografie storiche nel momento in cui la memoria visiva prende il posto della memoria scritta. La fotografia necessita di una catalogazione e di una digitalizzazione particolare per valorizzare la cosiddetta “fotografia d’opera” coperta da diritti editoriali. Questa particolare digitalizzazione deve affrontare una serie di problemi di metodo. Innanzitutto la complessità della documentazione che spesso è voluminosa. In seguito il contesto nel quale fu scattata e sviluppata la fotografia così come il problema filologico relativo all’informazione di corredo fino ad arrivare infine alle informazioni relative alla committenza. Tutti questi dati formano il substrato di base della fotografia storica. Lo standard di catalogazione per le fotografie storiche viene definito nella scheda catalografica F, creata dal ministero per la conservazione dei beni culturali ed è quindi sottoposta a vincoli ben precisi di catalogazione. Ma oltre a questi fattori tecnici entrano in gioco anche gli aspetti più “filosofici”. L’aspetto estetico e la valenza grafica dipendono anche dal rapporto con l’originale o dal rapporto con il contesto come ad esempio il supporto usato per contenere la fotografia. Un rapporto complesso tra l’originale e la copia che tocca sia il negativo, sia la foto. Inoltre è necessario potere definire il rapporto della foto con se stesa in caso di eventuali manipolazioni, tagli o ritocchi. Nel caso della fotografia sapere se si è di fronte all’originale non è mai cosa facile. L’esempio portato da Tommassini del MOMA[54] di New York è assai esemplificativo. Come giudicare delle fotografie storiche staccate dai loro albi originali? La library of Congress ha realizzato una raccolta di fotografie d’epoca intitolata AMERICAN MEMORY[55] che permette una visualizzazione abbastanza completa dei meta dati. Questa raccolta fa parte del più ampio progetto NATIONAL DIGITAL LIBRARY[56] al quale partecipa anche l’archivio del FARM SECURITY ADMINISTRATION[57] con fotografie del periodo intorno alla seconda guerra mondiale. In questo vasto progetto americano vengono mostrati i negativi e le print originali. In questo caso la catalogazione segue lo standard DUBLIN CORE[58]. Per quanto riguarda esempi più europei anche il sito di GALLICA[59] ha un fondo fotografico importante così come la MEDIATHEQUE DE L’ARCHITECTURE ET DU PATRIMOINE[60]. Per quanto riguarda l’Italia l’ICCD[61] mette a disposizione una importante fototeca nazionale[62] che però non ha né motore di ricerca sul web né tanto meno la possibilità di consultazione dei materiali archiviati via internet. Esiste anche una società italiana per la storia della fotografia che però non appare sul web. Per quanto riguarda gli archivi privati il discorso è leggermente diverso. Sono spesso molto bene organizzati in vista della vendita dei materiali digitali. Si può segnalare GETTY IMAGES[63], CORBIS[64], ALINARI[65] e ovviamente l’agenzia MAGNUM[66]. In questo caso la consultazione criptata delle foto è gratuita e diventa a pagamento nel momento del download digitale o della domanda di copie cartacee. Altre agenzie di vendita d’immagini storiche per l’Italia sono l’agenzia FARABOLA[67], FOTOARCHIVI E MULTIMEDIA[68].
Esistono anche alcune fondazioni che permettono di consultare ed eventualmente acquistare copie delle fotografie dei loro fondi . Tra queste spicca senz’altro la Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico – AAMOD[69] che permette di consultare la banca dati online e di avere una piccola anteprima del materiale. La fondazione NEGRI[70] dal canto suo non ha una vera banca dati online, ma permette di acquistare i vari volumi tematici pubblicati dalle fotografie presenti nell’archivio. Il sito IMMAGINI DI STORIA[71] è anch’esso privato ma offre tuttavia la possibilità di ricerca nella sua banca dati e di visualizzare le immagini criptate. Il sito fa da concentratore in quanto contiene le fotografie di vari enti e fondazioni non particolarmente specializzati nell’archiviazione fotografica. Altro ente particolare è la rete bibliotecaria di Romagna[72] che permette una ricerca accurata dell’intero opac romagnolo usando un suo standard proprio e non la scheda f di riferimento. Sono disponibili le immagini non criptate e i relativi meta dati. In ogni caso bisogna tener conto che errori e inesattezze di catalogazione sono purtroppo sempre riscontrabili nei siti privati e nelle piccole iniziative locali. Rimangono ancora i siti personali che pongono importanti problemi dal punto di vista filologico ma che a volte permettono di visionare materiali inediti e documenti unici.
Sulla stessa lunghezza d’onda, Serge Noiret[73] mette in guardia sulle nuove immagini che circolano sul web. Le fotografie “born digital” derivanti dall’uso dei telefonini e dei dispositivi digitali pongono nuove problematiche. Lo storico deve trattare le fonti digitali con le dovute cautele ma deve anche cimentarsi egli stesso nelle tecniche di ripresa e di fotografia digitale, se non altro per capire i limiti e le potenzialità delle immagini digitali. Per Noiret anche i contributi non-esatti o sbagliati danno l’idea del contesto e permettono una analisi più globale. Possono essere indicativi i seguenti siti non professionisti SEPT. 11 DIGITAL ARCHIVE[74] che contiene una serie di documenti fotografici relativi all’11 settembre o PANORAMA OF WORLD WAR II LANDMARKS[75] che raggruppa fotografie a 360° in formato cubic virtual reality e in formato QTVR[76] (quicktime virtual raelity) su luoghi legati alla seconda guerra mondiale. Questo sito propone di scoprire un nuovo modo di “vedere la realtà storica” con la volontà di nutrire la memoria collettiva e le rimembranze dei luoghi della guerra. La soggettività del singolo fotografo è importante per gli organizzatori perché impregnata della propria cultura e della propria “storia” personale.
Secondo Stefano Vitali l’uso dei documenti digitali deve essere subordinato alla presenza dei meta dati perché rappresentano la base della fonte storica digitale. Le foto modificate possono ed in taluni caso devono essere utilizzate ma bisogna pur sempre segnalarne le modifiche ed i motivi. Ogni nuovo elemento apportato farà parte della storia del documento.
Guido Abbatista[77] descrive l’esperienza di CROMHOS[78] e di ELIHOS[79] e la partecipazione a gruppi di riviste successivamente inserite nei grandi agregatori come EBSCO. Il progetto Elihos “biblioteca di storiografia moderna online” nasce inizialmente come classica rivista online con le sue sezioni tipiche. Un database bibliografico, delle recensioni, dei saggi e progressivamente si espande sotto forma di seminario virtuale con gruppo di coordinamento. La biblioteca digitale di fonti porta con se alcuni quesiti non solo tecnici. Nella difficoltà di pubblicare online si deve fare i conti con i diritti di copyright, con i troppi link esterni e non ultimo con il cosiddetto “scientific & digital divide” delle grandi riviste a pagamento del nord-america come JSTOR[80], ELSEVIER[81], THOMSON LEARNING[82], GALE[83], etc… Per affrontare questi giganti dell’editoria scientifica la negoziazione e l’unione di più soggetti accademici in esperienze consortili sembrano non solo necessarie ma vitali per rimanere aggiornati. L’esperimento italiano effettuato con il CILEA sembra piuttosto modesto e Abbatista si chiede quante università italiane siano veramente abbonate a questi servizi. Martin Van Gelderen[84] propone l’esempio del EEBO[85], immensa banca dati a pagamento. Queste nuove forme di ricerca, neanche immaginabili alcuni decenni fa, permettono oggi allo storico di effettuare corrispondenze ed incroci di varie fonti e di elaborare nuovi modelli di rappresentazione.
Hélène Millet del CNRS ha portato l’esempio di due database ancora in formazione, “l’operation Charles VI”[86] e i “Fasti Ecclesiae Gallicanae”[87]. Due banche dati contenenti informazioni circa la prosopografia d’una parte delle persone al servizio di CarloVI e dall’altro il censimento del clero presente in Francia dal 1200 al 1500. Entrambe le banche dati utilizzano Mysql e php e permettono le classiche interattività dei CMS ossia ogni autore ha il potere di convalidare o meno le informazioni mantenendo il diritto sul proprio lavoro anche se il lavoro è svolto in un’ottica di collaborazione autorale oltre ovviamente alla possibilità di usufruire di strumenti particolari per sfruttare al meglio le schede della banca dati. Grafici quantitativi e di relazione (grafi) ma anche connessioni geografiche, personali e cronologiche generate in automatico sono gli strumenti più interessanti.
Sophie Lalanne[88] porta l’esperienza di PHEACIE[89], delle biblioteche universitarie online “SUDOC”[90] e di HOLLIS[91] biblioteche della Harvard University online. Per quanto riguarda le banche dati iconografiche specifiche per l’età classica viene segnalato il sito PERSEUS[92] e il TLG[93] (Thesaurus Linguae Graecae, banca dati di testi classici in versione full text nonché il BRYN MAWR CLASSICAL REVIEW [94] che fornisce resoconti delle pubblicazioni sul mondo classico in generale come anche DIOTIMA[95] che raccoglie tutta una serie di documenti sullo studio del mondo femminile e di genere nel mondo classico.
Il dibattito serrato ha evidenziato alcuni punti chiave della discussione. Il fatto che qualsiasi testo, storico o narrativo, sia polisemico è un dato pressoché oggettivo che in qualche modo dovrebbe facilitare la scrittura ipertestuale. Ma rimane l’importanza del fattore estetico nella costruzione dei siti e dei portali. L’estetica grafica non indica solo un certo gusto dell’ente realizzatore, ma spesso serve a distinguere i siti fai-da-te realizzati da non professionisti dai più seri e articolati siti professionali. Pensati alla radice come servizio alla comunità degli storici conferiscono un livello superiore di serietà scientifica ai testi disponibili, uniformandone stili e regole di pubblicazione. Per i contemporaneisti le difficoltà sono decuplicate. Esiste una vera esitazione di fronte al materiale grezzo “born digital”. Ci si interroga su quali strumenti utilizzare per analizzare questi documenti. Strumenti in gran parte sconosciuti dagli storici come possono essere i forum, i newsgroup o ad un livello più profondo l’analisi dei file log di accesso ad un dato sito. Bisogna forse allora diventare informatici per essere storici del XXI secolo? Per quanto riguarda la fotografia viene intesa più come traccia e indice che documento. Una volta passata su internet la fotografia diventa praticamente testo da decifrare. Paradossalmente la fotografia digitale cambia il concetto stesso di fotografia e rende più sfumata la differenza tra fotografia vera e falsificata. Le troppe foto presenti sul web richiedono allora processi di validazione ancora più importanti che per le fotografie su pellicola per potere essere prese in considerazione dallo storico. Altro quesito sollevato durante il dibattito è relativo allo studio di tutte quelle forme online di storia non professionale, dilettantistica, soprattutto circa il tema dei “miti storici” che vengono ricreati e modificati in base alle inclinazioni dell’utente. E’ forse nato un filone storico tutto da esplorare. L’esperienza complessa della storia legata ai temi informatici obbliga lo storico a prendere esempi al di fuori della sua disciplina come i gestori commerciali di grandi banche dati (banche, assicurazioni…) che hanno varie esperienze nel manipolare grandi mole di dati diversi, spesso schematizzati e che si rifanno alle tecniche di Data mining[96], disegno sperimentale e che più generalmente usano i vari processi tipici della chemiometria.[97] Tutte queste considerazioni approdano all’idea che lo storico non può più permettersi di rimanere isolato nel suo studio ma non avendo il tempo di “giocare” con i vari flussi d’informazione presenti sul web deve necessariamente allearsi con gli informatici, gli esperti di logica fuzzy[98] e dell’analisi fattoriale[99]…
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Piccola bibliografia indicativa:
S. Vitale, Passato digitale, Milano, Bruno Mondatori, 2004.
G. Bandini e P. Bianchini (a cura di), Fare storia in rete. Fonti e modelli di scrittura digitale per la storia dell’educazione, la storia moderna e la storia contemporanea, Roma, Carocci, 2007.
A. Criscione, S. Noiret, C. Spagnolo e S. Vitali (a cura di), La Storia a(l) tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea (2001-2003), Bologna, Pàtron, 2004.
P. Rygiel, S. Noiret, Les Historiens, leurs revues et Internet (France, Espagne, Italie), Paris, Publibook, 2005.
L. Micham, D. Faulds “Making British Heritage Available on the World Wide Web: The State of Digitization in Special Collections Librarianship in Great Britain”
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[1] http://www.ecole-francaise.it/fr/atelier_et_informatique_III.pdf
[2] http://www.unipa.it/~pcorrao/
[3] http://www.wikipedia.org/
[4] GNU’s Not Unix – http://www.gnu.org/home.it.html
[5] General Public License – http://gplv3.fsf.org/
[6] http://www.bibliomonde.com/pages/fiche-auteur.php3?id_auteur=2090
[7] http://www.merzweb.com/
[8] http://en.wikipedia.org/wiki/Cross-reference
[9] http://it.wikipedia.org/wiki/Progetto:Wikilex
[10] http://www.footnote.com/
[11] http://en.wikipedia.org/wiki/Trackback
[12] http://it.wikipedia.org/wiki/Really_simple_syndication
[13] http://hnn.us/
[14] http://hnn.us/blogs/entries/9665.html
[15] http://histoire.typepad.fr/
[16] http://www.histoire.presse.fr/
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