Per una mappatura degli archivi dei movimenti in Sicilia di Francesca Di Pasquale. Nella Introduzione alla Guida per le fonti alla storia dei movimenti in Italia (1966-1978), curata da Marco Grispigni e Leonardo Musci, gli autori evidenziavano “il problema della quasi totale assenza di luoghi di conservazione nell’Italia meridionale, con la conseguente difficoltà a recuperare le testimonianze di quelle esperienze. Questo limite – continuavano gli autori – è particolarmente grave in quanto una delle caratteristiche più importanti della stagione dei movimenti è stata proprio la diffusione di forme di conflitto sociale e politico in aree sociali e geografiche tradizionalmente lontane da queste esperienze”[1]. L’idea che meridione sia stato “tradizionalmente lontano” dalle esperienze movimentiste è forse uno dei frutti della mancanza di azioni per il recupero e la conoscenza delle fonti sui movimenti sociali meridionali. Volendo adottare una visione del ’68 circoscritta agli eventi di quello specifico anno, si può condividere l’affermazione di Pippo Gurrieri secondo la quale il ’68 “si apre e si chiude sulla Sicilia”, indicando nel terremoto del Belice ‘l’evento di apertura’ e nel massacro dei contadini ad Avola l’atto finale[2]. L’insieme di lotte sociali e di elaborazioni politiche che si aprirono dopo e in conseguenza del terremoto del Belice del 1968 furono in buona parte il risultato di almeno un decennio di mobilitazioni popolari e di esperienze collettive innescate dall’attività e dalla teorizzazione di Danilo Dolci in Sicilia occidentale insieme ad una nutrita schiera di sostenitori, studiosi di varie discipline e militanti, italiani ed esteri[3]. Eppure quel movimento di lotta popolare, definita da uno degli animatori del movimento, Goffredo Fofi, “uno degli episodi più belli e più luminosi della nostra storia civile”[4], e nel complesso i tanti altri movimenti di fermento sociale nel Meridione tendono ad essere oscurati in favore di analisi sul Mezzogiorno “all’insegna della pseudo-categoria della mancanza” basate su un “ragionamento in negativo, sulle carenze: di figure sociali, identità attitudini, culture moderne, di quello che nell’Ottocento veniva chiamato «spirito pubblico» e che oggi è stato ribattezzato «capitale sociale»”[5]. Nell’ultimo decennio il quadro delineato da Grispigni e Musci nel 2003 non è sostanzialmente cambiato e le iniziative e gli istituti per la conservazione delle fonti sulla storia dei movimenti continuano ad essere localizzati in grande prevalenza nelle regioni centro-settentrionali d’Italia[6]. La situazione delle fonti prodotte dai movimenti sociali in Sicilia, di cui qua faccio una breve rassegna, costituisce un paradigma, in negativo, della scarsa attenzione verso il patrimonio documentario prodotto dai movimenti sociali nel Sud Italia. La spinta ad intervenire per la conservazione e la valorizzazione su questi archivi è avvenuta nella maggior parte dei casi da parte degli stessi protagonisti delle lotte sociali e dei movimenti. Come ricordano i promotori del Centro per la storia del lavoro di Nantes, l’archivio nacque nel 1981 per rispondere ad una situazione d’urgenza – il rischio di perdere le proprie fonti documentarie – rinforzata da una “idea militante”, ossia che bisognasse scrivere la propria storia attraverso una azione concertata di storici e militanti al fine di contrastare quella storiografia basata sulle fonti ufficiali che rifletteva il punto di vista delle classi dirigenti[7]. Pur se permangono ritardi ed inadeguatezza degli strumenti – finanziari in primo luogo – a disposizione, nel complesso anche in Italia si è ormai affermato da almeno un ventennio la consapevolezza dell’importanza di tutelare le fonti non-istituzionali, che, per usare le parole degli autori della Guida, hanno ormai conquistato una “piena cittadinanza archivistica”[8]. Quella consapevolezza della necessità di tutelare la propria storia, ha caratterizzato anche in Italia la nascita di diversi centri per le fonti dei movimenti italiani, in particolare in Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria. In Sicilia questo processo non si è ancora innescato, soprattutto per le fonti dei movimenti ‘contestatari’ tipici. Nel complesso si riscontra l’assenza di quella “idea militante” evidenziata prima, ossia di una spinta “dal basso” da parte di coloro che furono protagonisti dei movimenti sociali a salvaguardare le fonti documentarie. Buona parte dei patrimoni sono conservati in abitazioni private, con tutti i rischi dati dall’assenza di locali idonei, di interventi archivistici di qualsiasi natura e, soprattutto, per la loro conservazione dopo la scomparsa dei detentori dei patrimoni. Oltre ai rischi di perdite, il patrimonio è caratterizzato da grande dispersione come testimonia, fra gli altri, la vicenda dell’archivio di Danilo Dolci: parte delle carte sono conservate a Palermo presso il “Centro per lo sviluppo creativo «Danilo Dolci»”[9], ma un “archivio storico «Danilo Dolci»” è presente anche presso il “Centro di ricerche economiche e sociali per il Meridione” (Cresm), a Gibellina, erede del “Centro studi per la piena occupazione nella Sicilia occidentale”, fondato dallo stesso Dolci negli anni Sessanta e promosso da Lorenzo Barbera. Riconosciuto di “Interesse storico particolarmente importante” nel 2008 dal Ministero per i beni e le attività culturali, contiene 654 fascicoli sull’attività delle varie realtà collettive promosse prima da Dolci e poi da Lorenzo Barbera[10]. Secondo quanto mi è stato riferito dai responsabili del “Centro per lo sviluppo creativo”, ulteriori ‘fondi’ riconducibili alle attività intraprese da Dolci e dai suoi collaboratori sarebbero conservati anche in altri luoghi ed attendono da anni un lavoro di mappatura e valorizzazione. La Guida del 2003 segnalava la presenza di documentazione prodotta da realtà movimentiste negli anni ’60 e ’70 in Sicilia soltanto presso l’Archivio di stato di Catania e l’Archivio storico degli anarchici siciliani di Ragusa. L’archivio della città etnea conserva una busta del fondo “Prefettura” contenente documentazione sul movimento studentesco ed alcuni circoli culturali di Catania del 1966 ed il fondo “Francesco Pezzino”, “promotore di lotte politiche e sindacali per l’affermazione del diritto al lavoro e all’istruzione e deputato del Pci”[11]. Lo stesso archivio catanese conserva anche le carte del “Coordinamento per l’autodeterminazione delle donne a Catania” (1970-1986), acquisiti solo nel 2005, dopo la pubblicazione della Guida[12]. L’archivio anarchico, costituitosi nel 1994, conserva documenti del gruppo anarchico ragusano, materiale del giornale “Sicilia libertaria” e documentazione varia ‘raccolta’ da Franco Leggio, con carte risalenti fino al XIX secolo[13]. Stupisce invece che la Guida non abbia segnalato il principale centro per la documentazione sul movimento anti-mafia – oltre che sullo stesso fenomeno mafioso – presente in Sicilia, il “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato” di Palermo. Fondato nel 1977 da Umberto Santino – studioso sia della mafia che dell’anti-mafia – e dalla moglie Anna Puglisi, conserva atti giudiziari sulla mafia e su altre forme di criminalità organizzata, documentazione del movimento anti-mafia, del movimento per la pace nonché di vari gruppi, partiti politici ed associazioni[14]. Il Centro Impastato costituisce una risorsa impareggiabile per lo studio del fenomeno mafioso e dell’anti-mafia. Va comunque ricordato che il movimento anti-mafia in particolare dagli anni Sessanta si è articolato in numerose associazioni e realtà. Lo stesso Santino è stato un protagonista di spicco di tale movimento ed il Centro da lui creato è espressione di una delle articolazioni di questa storia. Nella sola città di Palermo negli anni Sessanta fu intrapresa l’attività di gruppi, centri studi o riviste che costituirono un punto di riferimento non soltanto per l‘anti-mafia quanto più in generale per una riflessione critica in ambito sociale e politico. Un ruolo di primo piano fu svolto da alcune componenti del movimento cattolico, come il gruppo animato dal padre redentorista Nino Fasullo, fondatore della rivista “Segno”, o il Centro studi Pedro Arrupe, fondato dai gesuiti e successivamente, a cavallo fra gli anni Settanta ed Ottanta, il Centro di San Saverio all’Albergheria costituito da padre Scordato[15]. Negli anni Ottanta, inoltre, si svilupparono anche imponenti contestazioni contro l’installazione della base missilistica Nato a Comiso, guidate da Pio La Torre. L’archivio del dirigente politico e sindacale siciliano è diviso fra le carte relative alla sua attività in seno al Pci, conservate a Roma presso la Fondazione Istituto Gramsci e quelle relative alla sua vita, conservate a Palermo presso l’Istituto Gramsci siciliano[16]. Se alcuni lavori per le fonti dei movimenti siciliani sono stati intrapresi, ed alcune realtà hanno valorizzato i propri archivi, nel complesso il panorama sulle fonti dei movimenti siciliani continua ad essere caratterizzato da grande frammentazione, scarsa attenzione da parte dei soggetti istituzionali deputati ad intervenire per la salvaguardia del patrimonio archivistico e, come si diceva, anche da parte di diversi esponenti dei vari movimenti che hanno animato l’isola. Manca soprattutto un quadro complessivo delle fonti presenti nella regione che possa dar conto delle numerose realtà che hanno animato diverse stagioni di fermento sociale, delle loro articolazioni, dei loro collegamenti e che possa contribuire anche a scardinare quel “mito” in negativo – di cui si diceva in apertura di questa breve nota – di cui si è nutrita una certa storiografia sul meridionalismo italiano. Francesca Di Pasquale Dottore di ricerca dal 2007 con una tesi dal titolo La scuola per l’impero. Politiche educative fasciste per gli arabi di Libia (1922-1940), ha in seguito conseguito il titolo di archivista-paleografo. Dal 2008 al 2011 ha diretto il progetto per la salvaguardia e la valorizzazione dell’archivio storico libico presso il “Centro libico per l’archivio e gli studi sorici” (Tripoli-Libia). è autrice di pubblicazioni sul colonialismo in Libia, con particolare riferimento al periodo fascista, e sulla politica culturale libica. Parole chiave: Archivi – Sicilia – movimenti sociali – lotte popolari – antimafia [1] Tracce di movimenti. Fonti per lo studio della “stagione dei movimenti” in Italia, in Fondazione Lelio e Lisli Basso – Issoco, a cura di Marco Grispogni e Leonardo Musci, Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale per gli archivi, Roma, 2003, p. 39. [2] Il ’68 in Sicilia in L’ingranaggio inceppato. Il sessantotto della periferia, a cura di Franco Riccio e Salvo Vaccaro, Palermo-Sao Paolo, Ila Palma, 1992, p. 149. [3] Su Danilo Dolci esiste un’ampia bibliografia. Si vedano, fra gli altri: Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci: una rivoluzione non violenta, Milano, Terre di mezzo, 2007; Giuseppe Fontanelli, Danilo Dolci, Firenze, La Nuova Italia, 1984; Vincenzo Schirripa, Borgo di Dio: la Sicilia di Danilo Dolci (1952-1956), Milano, Franco Angeli, 2010. [4] Da dove ricominciare in Lorenzo Barbera, I ministri dal cielo. I contadini del Belice raccontano, Palermo, :duepunti edizioni, 20112 (I edizione Milano, Feltrinelli, 1980), p. 7. [5] Salvatore Lupo, Introduzione a Jane C. Schneider e Peter T. Schneider, Un destino reversibile. Mafia, antimafia e società civile a Palermo, Roma, Viella, 2009, p. 9. [6] Una panoramica dall’Indice degli istituti per luoghi nella Guida, cit., pp. 241-247 e dall’elenco degli istituti che posseggono materiali per la storia dei movimenti indicato nel sito dell’Archivio “Marco Pezzi”: http://www.comune.bologna.it/iperbole/asnsmp/biblioteche.htm (13/06/2012). [7] Le Centre d’histoire du travail de Nantes, Goergen, in Archives, histoire et identité du mouvemet ouvrier, a cura di Alda De Giorgi, Charles Heimberg e Charles Magnin, Genève, Collège du Travail, 2006, pp. 25-26. [8] Tracce di movimenti, cit., p. 13. [9] http://www.danilodolci.it/index.php?option=com_content&task=view&id=18 (15/06/2012). [10] Un elenco dei fascicoli è consultabile nella seguente pagina web: http://www.cresm.org/adb/results.php?keywords=&anno_rif_iniz=1950&send=invio (15/06/2012). [11] Scheda n. 10 in Guida, cit., p. 57. L’Archivio “Mario Pezzino” è inserito anche nella rete “Archivi per non dimenticare”: http://www.retedegliarchivipernondimenticare.org/index.aspx (15/06/2012). [12] È disponibile l’inventario on line: http://www.archivi-sias.it/consulta_dettagli_albero.asp?IST_ID_Elemento=300080000&DettagliRootNode=300083207 (15/06/2012). L’Archivio di Stato di Catania ha recentemente promosso una mostra documentaria dal titolo “Comitati studenteschi a Catania nel 1961”: http://www.archivi.beniculturali.it/ASCT/Manifestazioni%202012/Comitati%20studenteschi/manifesto%20Comitati%20studenteschi.pdf (15/06/2012). [13] Scheda n. 31 in Guida, cit., pp. 68-69. [14] Una scheda del Centro in Ilaria Moroni (a cura di), Rete degli archivi per non dimenticare. Guida alle fonti per una storia ancora da scrivere, Roma, Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, 2010, pp. 139-141. [15] Un destino reversibile, cit., pp. 141-150. [16] Un quadro completo dell’archivio è presente in http://archiviopiolatorre.camera.it/ (15/06/2012).