La Public History tra memoria e comunità

Memoria, comunità e comunicazione sociale del ricordo rappresentano fattori complessi di un altrettanto articolata dinamica di ricostruzione e condivisione della storia e del passato. I processi di memorizzazione individuale basati sulle narrazioni private e sulla dimensione esperenziale della realtà si sommano, si articolano e si sovrappongono alla narrazione sociale del passato che è e viene interpretata come una delle origini fondative delle comunità. Le memorie, così come i fatti storici che raccontano, non sono univoche, anzi spesso esse si presentano eterogene e conflittuali. Ma perché esse possano dispiegare i propri effetti sociali, è necessario che vengono ricondotte ad una narrazione unificante e riconosciuta. Quali memorie verranno salvate, riprodotte e conservate dipende dalla natura delle relazioni di potere, dalle dinamiche culturali e politiche, dai flussi comunicativi messi in atto con maggiori capacità persuasorie nel sistema sociale.

Secondo la lettura funzionalista della società operata da Luhmann, la memoria è innanzitutto un processo sociale in base al quale il sistema può garantirsi un certo controllo sugli eventi, che in tal modo non costituiscono ogni volta che si verificano un’assoluta sorpresa, ma essendo ricordati possono essere anticipati e riconosciuti. Grazie alla memoria, gli eventi vengono coordinati tra di loro attraverso una serie coerente di relazioni, che sono poi proiettate sull’ambiente esterno[1]. Il punto centrale di questo processo è la ripetizione, cioè la possibilità di riconoscere nella realtà situazioni già conosciute che si ripetono. L’idea di ripetitività è legata al concetto di memoria. Con la ripetizione, si produce la ridondanza che “risparmia al sistema di ripetere ogni volta l’elaborazione di informazioni: si riconosce qualcosa come noto, e non si deve ricominciare sempre da capo”[2] (Esposito 2001, p. 10). Laddove nella realtà avviene un evento che è di per sé unico e individuale, il sistema lo memorizza e al tempo stesso lo rielabora, fornendo d’esso una “seconda valutazione” che ne costituirà il ricordo. È il ricordo dell’evento e non l’evento stesso che va ad alimentare la ridondanza, ed è quindi il ricordo che svolge la funzione informativa per il sistema e che permette di riconoscere e valutare “automaticamente” la realtà che via via si va costituendo[3].

Ma in cosa consiste la memoria sociale e comunitaria? Se è vero che essa non è la mera sommatoria delle memorie individuali, non può però prescindere da esse. La memoria dell’uomo viene spesso assimilata ad un grande archivio e le neuroscienze spiegano che questo archivio mentale è inscritto in tracce cerebrali – empiricamente rilevabile come scariche elettriche – che sarebbero in grado di conservare un segno del passato. Questa concezione meccanicistica della memoria non tiene nella giusta considerazione il concetto di memoria vivente che non è, appunto, un archivio, un registro, ma non è neppure un processo del tutto casuale. Una delle più importanti caratteristiche della mente umana è la sua capacità di trasformare serie di eventi in narrazioni storiche coerenti. Normalmente vediamo gli eventi del passato come episodi di una storia, e sono proprio le diverse storie che rendono gli eventi storicamente significativi.

La natura sociale della memoria non è evidente solo nel contenuto effettivo dei nostri ricordi, ma anche nel modo in cui essi sono mentalmente elaborati. In realtà, il ricordare vuol dire qualcosa di più del semplice riepilogo di fatti; esso coinvolge vari filtri mentali che sono del tutto indipendenti da quei fatti e che nondimeno influiscono sul modo in cui elaboriamo mentalmente la loro rappresentazione. L’acquisizione di queste strutture mentali fa parte del processo mediante il quale le persone imparano a ricordare in maniera socialmente appropriata. Lontano dall’essere qualcosa di strettamente spontaneo, ricordare è anche un’attività guidata da norme della rimembranza, indiscutibilmente sociali, che ci dicono cosa dovremmo ricordare e cosa invece dimenticare. A differenza della psicologia, la sociologia presta particolare attenzione al contesto sociale nell’ambito del quale troviamo accesso al passato, mostrandoci così che ricordiamo la maggior parte di ciò che facciamo solo in quanto membri di particolari comunità. L’essere parte di una comunità presuppone la capacità di comprendere e ricordare cose a cui si appartiene ben prima di comparire e di metterle in atto come fossero parte del nostro passato individuale.

Anche per questo le comunità possono definirsi comunità mnemoniche, una comunità è una memoria concreta, capace cioè di riconoscersi e identificarsi nel passato condiviso.  Ogni comunità mnemonica è governata da precise “norme sociali del ricordo” che selezionano tra cosa è bene e cosa invece è meglio dimenticare: in ogni società accanto ai contenuti del passato ricordati e celebrati ce ne sono altri che non trovano posto nella coscienza sociale.

Come insegna la psicanalisi, però anche l’oblio corrisponde ad una forma di memoria. La memoria sociale, intesa come corrente di pensiero che contiene tutte le tracce del passato, racchiude anche quei contenuti non attivati nel presente[4] (Halbwachs, 1997).

L’elaborazione sociale del passato è segnato da conflitti, ambiguità e negoziazioni che si normalizzano attraversano i processi di costruzione della memoria. Le continuità e le discontinuità del passato sono frutto di una costruzione sociale, come lo sono le origini e i confini della comunità mnemoniche: esse rappresentano il risultato di processi di ricostruzione governati non tanto da contenuti effettivi, quanto dal “modo in cui essi sono mentalmente confezionati”[5] (Zerubavel, 2005, p.16).

Il forte legame tra memoria e comunità, così come tra natura individuale e natura sociale della memoria identitaria, rende necessaria la costruzione narrativa del passato.

La comunità, come è stato detto, elabora un racconto cronologico che fornisca il senso di appartenenza e che sia unificante. Questo racconto unificante è spesso stato costruito riducendo i momenti di frattura, escludendo le minoranze, creando cortocircuiti storici funzionali alla narrazione dominante. Questa narrazione, che per molto tempo è stata escludente e parziale, oggi ha la possibilità di farsi inclusiva e polifonica, cercando un equilibrio tra realtà storica e sua rappresentazione sociale.

Quello che sta cambiando è il modo in cui una comunità pensa il suo passato, lo ricorda nel presente e ne definisce la funzionalità futura.

È necessario costruire nuovi percorsi della memoria, rinnovare le pratiche di costruzione del passato e di socializzazione al ricordo. Questo dovrebbe passare anche attraverso una rifondazione identitaria e condivisa delle comunità mnemoniche attraverso la conciliazione delle memorie individuali e l’accoglienza delle memorie altre, fin troppo spesso messe a tacere dal potere espresso attraverso le dinamiche di costruzione e ricostruzione del passato condiviso.

Immaginare e realizzare nuovi percorsi di costruzione della memoria e nuove partiche di ricordo sociale è la funzione scientifica e culturale della Public History che oltre a rappresentare un approccio interdisciplinare alla ricostruzione e alla narrazione del passato, costituisce un insieme di esperienze sul racconto storico ed identitario che spesso prende le mosse dal basso e che sempre coltiva l’inclusione e l’ampliamento delle memorie socialmente ammesse.

La Public History sta rapidamente occupando lo spazio della discussione e della ricerca sia dentro l’Accademia sia fuori. Se, infatti, da un lato si parla di crisi degli storici e del loro ruolo pubblico, dall’altro lo spazio pubblico e il dibattito pubblico sono sempre più ricchi di storia e storie: è necessario interrogarsi sul racconto della storia e sulle modalità di ricezione e di divulgazione di tali narrazioni. Questo mette in campo il forte legame tra storia e comunità, legame che si esplicita attraverso linguaggi e luoghi, in una parola attraverso processi, strategie e flussi comunicativi.

Fare storia significa anche poterla e saperla diffondere e condividere, fare storia per e con il pubblico, mettendo in campo una pratica condivisa e interdisciplinare basata e sviluppata tanto su nuovi linguaggi e nuovi strumenti di comunicazione, quanto su mezzi e canali più tradizionali. L’obiettivo vuole essere unire le pratiche del racconto con la scientificità dei contenuti storici, fare storia e comunicarla in un contesto di condivisione sempre più diffuso con le comunità, che però non abdichi alla scientificità di fonti e fatti.

Nel presente numero monografico di Officine della Storia La Public History tra temi, strumenti e pratiche sono state raccolte analisi ed esperienze approfondite secondo tre chiavi di lettura complementari: i temi, gli strumenti e le pratiche della Public History. Più specificatamente vengono ospitati gli interventi di Serge Noiret e Maurizio Ridolfi, la descrizione degli strumenti attraverso i saggi di Igor Pizzorusso- Giorgio Uberti, Mariagrazia Rossi e Giovanni Iannuzzi ed infine il racconto delle buone pratiche nei saggi di Giulia Dodi e Stefano Bartolini.



[1] Luhmann N. Struttura della società e semantica, Laterza, Roma-Bari, 1983.

[2] Esposito E. La memoria sociale. Mezzi per comunicare e modi di dimenticare, Laterza, Roma-Bari, 2001.

[3] Cfr Moroni C. “Costruire la memoria. Un legame complesso tra mass media e rappresentazioni sociali in Officina della Storia”, 31 marzo 2018. https://www.officinadellastoria.eu/it/2018/03/31/costruire-la-memoria-un-legame-complesso-tra-mass-media-e-rappresentazioni-sociali/

[4] Halbwachs M. I quadri sociali della memoria, Ipermedium, Napoli, 1997. Cfr Halbwachs M. La memoria collettiva, Unicopli, Milano, 2001.

[5] Zerubavel E. Mappe del tempo, il Mulino, Bologna, 2005.

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