Costruire la memoria. Un legame complesso tra mass media e rappresentazioni sociali

La comunicazione sociale della memoria

Il legame tra memoria e società è un legame complesso che mette in campo molti elementi: la storia e la ricostruzione del passato; la comunicazione sociale e la diffusione delle interpretazioni della storia; i soggetti che la interpretano e quelli che la comunicano; e, infine, il rapporto di tutti questi soggetti con il potere che il controllo e diffusione della memoria sociale mette in campo.

Quello che si vuole analizzare nell’ambito di questo contributo è un aspetto della comunicazione sociale della memoria, che vede i mass media sia come strumenti sia come attori dei processi di comunicazione e di veicolazione sociale del ricordo e della sua portata simbolica.

Per individuare il ruolo della comunicazione nell’ambito dell’uso che il sistema sociale fa della memoria è utile analizzare il pensiero di Luhmann. Dal suo punto di vista, la memoria è innanzitutto un processo sociale in base al quale il sistema può garantirsi un certo controllo sugli eventi, che in tal modo non costituiscono ogni volta che si verificano un’assoluta sorpresa, ma, essendo ricordati, possono essere anticipati e riconosciuti. Grazie alla memoria, gli eventi vengono coordinati attraverso una serie coerente di relazioni, che sono poi proiettate sull’ambiente esterno[1]. Il punto centrale di questo processo è la ripetizione, cioè la possibilità di riconoscere nella realtà situazioni già conosciute che si ripetono. L’idea di ripetitività è legata al concetto di memoria. Con la ripetizione, si produce la ridondanza che “risparmia al sistema di ripetere ogni volta l’elaborazione di informazioni: si riconosce qualcosa come noto, e non si deve ricominciare sempre da capo”[2]. Laddove nella realtà avviene un evento che è di per sé unico e individuale, il sistema lo memorizza e al tempo stesso lo rielabora, fornendone una “seconda valutazione” che ne costituirà il ricordo. È il ricordo dell’evento e non l’evento stesso che va ad alimentare la ridondanza, ed è quindi il ricordo che svolge la funzione informativa per il sistema e che permette di riconoscere e valutare “automaticamente” la realtà che via via si va costituendo.

La proiezione sull’ambiente esterno di “coerenti relazioni tra eventi” e l’attivazione della memoria collettiva avvengono grazie ai mezzi di comunicazione di massa. Luhmann, infatti, sostiene che forme di memoria “genuinamente sociali» si sviluppano «solo con la disponibilità di tecnologie di comunicazione: dalla scrittura e dalla stampa fino ai recenti media elettrici ed elettronici […]. Luhmann parla a questo proposito di mezzi di diffusione, proprio per sottolineare che il loro effetto è principalmente quello di ampliare la portata della ridondanza sociale”[3]. I media, in sostanza, hanno un ruolo centrale in relazione alla memoria e alla sua funzione sociale: essi sono sia strumenti del ricordo sia costruttori e diffusori di simboli e interpretazioni legati al rapporto stesso.

 

Mass media come attivatori di memoria e costruttori della realtà

Nel momento in cui giornali e televisione si fanno “attivatori della memoria”, proponendo il ricordo di un evento unico e al tempo stesso esemplare, essi divengono co-protagonisti della sfera pubblica, soggetti che agiscono attivamente e autonomamente nel sistema sociale. Come attori della dimensione pubblica, svolgono una duplice funzione, sui piani cioè della creazione e della diffusione simbolica di significati. Come strumento di “riproduzione”, i media raccolgono nell’ambito della società e riproducono sotto forma di attualità oggetti e contesti, rendendo gli individui più acutamente consapevoli di cose che altrimenti resterebbero elementi abitudinari o trascurati nell’ambito del senso comune. Secondo questa funzione, i media riproducono rappresentazioni sociali della realtà già diffuse e accettate, attribuendo ad esse una visibilità e una criticità esponenziali. Sotto tale aspetto, quella che potremmo definire la pratica discorsiva del “fornire notizie” costituisce una moderna forma di attivazione della memoria collettiva, riproponendo e rinnovando elementi costitutivi della storia e della cultura di una società. Ma i media sono al tempo stesso – e questa è la seconda funzione che svolgono in relazione alla produzione di senso – costantemente impegnati in una competizione con altri protagonisti, che agiscono nello stesso spazio pubblico, per la definizione dei significati e la diffusione di idee e posizioni particolari.

La tradizione di studi sugli effetti prodotti dai media sul pubblico nel lungo periodo ha visto l’elaborazione di teorie che tendono a sottolineare la capacità dei mass media di “costruire la realtà”[4]. Al di là dei diversi approcci elaborati dalla sociologia rispetto a quello che viene definito “costruttivismo”[5] e alla relativa possibilità di azione e pensiero che viene attribuita al singolo individuo nel produrre realtà, qui interessa sostenere che i media, in quanto soggetti attivi nell’ambito della sfera sociale, possiedono una capacità del tutto simile a quella riconosciuta agli individui di costruire la realtà. Come per questi ultimi, infatti, l’azione “sociale” dei media è scomponibile in due dimensioni distinte: riproduzione e produzione. La dimensione della “riproduzione” è legata all’“intenzionalità” del soggetto e al costante riferimento al bagaglio di senso comune[6] socialmente condiviso. La “produzione”, che si realizza più raramente, è quella dimensione della costruzione della realtà sociale che implica per il soggetto un momento di “riflessione” sulla propria intenzionalità, riducendo l’automatismo di pensiero legato al riferimento costante al senso comune[7]. Le rappresentazioni sociali, che sono l’unità costitutiva del senso comune, sono allora dotate di senso che non deve essere interpretato perché è senso comune, significato attribuito “automaticamente” alla realtà attraverso una lettura non intenzionalmente determinata, ma accettata come data dalla società[8]. I media agiscono nella società e al tempo stesso la “costruiscono” sia riproducendo rappresentazioni diffuse e condivise della realtà, sia producendone e diffondendone di nuove, riflettendo sulla realtà e sulle sue possibili interpretazioni. Se la dimensione della “riproduzione” implica appunto la ripetizione di un bagaglio di senso che permette il perpetuarsi di un certo modello di realtà, la dimensione della “produzione” è quella che, attivando il pensiero riflessivo, può potenzialmente innescare dei cambiamenti nella produzione di senso.

Ma qual è il meccanismo che permette ad un pensiero riflessivo di innescare il cambiamento nel senso comune? Cosa deve accadere ad un pensiero riflessivo, che è inizialmente pensiero del “singolo” soggetto, perché si trasformi in senso comune? Il pensiero riflessivo, per produrre nuove rappresentazioni sociali, deve ottenere quello che Santambrogio definisce “successo cognitivo”, vale a dire la progressiva accettazione da parte di più individui della validità di quella specifica elaborazione riflessiva di pensiero e, nel corso del tempo, della sua accettazione sociale. Ma da cosa dipende il successo cognitivo? Il successo cognitivo di un pensiero dipende dal potere, inteso come volontà, disponibilità e capacità, che il “produttore” della nuova rappresentazione ha di imporla socialmente. I media agiscono nell’ambito di uno specifico esercizio di potere: il potere simbolico. Il potere simbolico deriva, infatti, dalle attività legate alla produzione, trasmissione e ricezione di forme simboliche dotate di significato[9]. Il potere simbolico consiste, quindi, nella capacità di intervenire nella realtà, costruendone una particolare rappresentazione e agendo sul senso comune diffuso in una società. La possibilità e la capacità da parte dei media di imporre una certa rappresentazione sociale, trasformando la lettura di un evento o di una dimensione della realtà in qualcosa di socialmente condiviso, dipende dalla forza impositiva di cui possono avvalersi nella costante competizione con altri soggetti sociali sulla definizione dei significati.

Il potere dei media di prevalere sugli altri “competitori di senso” e la loro forza come costruttori della realtà risiede sia nella relativa non “convenienza” della società e dei singoli ad utilizzare fonti alternative di conoscenza e di rappresentazione della realtà; sia nel fatto che essi vengono percepiti come una risorsa strutturalmente stabile, istituzionalizzata, condivisibile e di fatto condivisa nell’ambito della società[10]. I mass media sono soggetti che producono senso, proponendo interpretazioni della realtà che oggettivandosi divengono rappresentazioni sociali di quella stessa realtà. In questo senso, possiamo dire che i media trasformano gli accadimenti in qualcosa di comprensibile e accettabile, costruendone il senso in modo “intenzionale e soggettivo”, così che esso, immesso nella società e nel suo sistema simbolico attraverso la diffusione mediatica, diviene senso comune.

La routinizzazione del ricordo e l’inserimento del richiamo alla memoria collettiva nella prassi giornalistica e nelle routine produttive dell’informazione quotidiana avvengono sulla base di modelli narrativi propri di ogni testata giornalistica.

 

Il processo di routinizzazione della memoria

La pratica discorsiva di fornire notizie costituisce una forma moderna di attivazione della memoria collettiva, memoria che è però immessa nella routine della produzione di notizie. Il ciclo di vita di una notizia e dell’evento che quella notizia rende noto è relativamente breve. La numerosità delle fonti e la quantità esponenziale degli eventi raccontati rende tutto rapidamente obsoleto. L’informazione quotidiana contribuisce all’oblio sociale di alcune questioni che restano al centro dell’attenzione sociale per breve tempo, trasformandosi rapidamente in senso comune, normalità. È allora possibile sostenere che la funzione informativa dei media può produrre al tempo stesso la routinizzazione dell’evento e la conseguente immissione normalizzata nel senso comune, e la sua riemersione come evento della memoria necessario al sistema sociale per riconoscere e prevedere. L’istituzione di una forma di “ritualità celebrativa” di un evento eccezionale da parte dell’informazione quotidiana immette nel flusso routinario della produzione di notizie il riconoscimento e il richiamo alla memoria di un evento che per il suo carattere paradigmatico costituisce uno strumento di conoscenza e di previsione per il sistema stesso. L’informazione ha il potere, in questo senso, di applicare routine produttive alla celebrazione periodica di un evento della memoria. Rispetto alla funzione eccezionale che il sistema sociale attribuisce al ricordo di un evento, i media producono un effetto “riduttore dell’eccezionalità paradigmatica” dell’evento stesso proprio perché è nella loro natura rendere accessibile, riconoscibile e archiviabile la realtà. Questo fa sì che in parte fallisca la funzione, che per volontà e necessità la società attribuisce al ricordo di un evento, di sollevare e sollecitare la sua memoria e il suo senso critico nei confronti della storia.

La trasformazione di un oggetto straordinario in senso comune praticata con sistematicità dai mass media attraverso la riattivazione periodica del ricordo è, al tempo stesso, inevitabile, necessaria e riduttiva. È inevitabile perché sta nella natura umana ridurre a categorie note e comprensibili quello che altrimenti resterebbe incomprensibile e distante. È necessaria perché è l’unico strumento attraverso il quale un oggetto può entrare e circolare come significato nell’ambito del flusso culturale di una società e quindi divenire senso e memoria comune. È riduttiva perché rischia di non produrre più quegli effetti virtuosi di riflessione e insegnamento di cui l’oggetto in sé è al contrario portatore. Il controverso legame tra memoria e attualità, tra narrazione esemplare e informazione quotidiana, è un elemento di criticità che segna sia il ruolo del ricordo sia quello dei media nell’ambito della società. Il pericolo dell’assuefazione insita nella riproduzione temporale del ricordo è amplificato nell’ambito del sistema dei media e della loro azione sulla costruzione della realtà.

Se, da un lato, il ruolo dei media in questo processo di comunicazione sociale della memoria non è prescindibile, dall’altro la natura e le logiche che muovono il sistema dell’informazione producono un effetto che potrebbe rivelarsi negativo. La memoria è sì capacità del sistema sociale di archiviare, dimenticare e recuperare quando necessario gli eventi del suo passato, ma uno degli strumenti di cui ci si avvale per ricordare, e forse quello che produce più ridondanza, ha il potere di trasformare tutto ciò che rappresenta e che immette nel senso comune in qualcosa di accettato e condiviso che, in quanto tale, finisce per non essere più oggetto di una riflessione cosciente e intenzionale da parte sia dei singoli sia della società nel suo complesso.

 

 

[1] Cfr. Luhmann N., Struttura della società e semantica, Laterza, Roma-Bari 1983.

[2] Esposito E., La memoria sociale. Mezzi per comunicare e modi di dimenticare, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 10.

[3] Luhmann N., Struttura della società e semantica, Laterza, Roma-Bari 1983, p. 19.

[4] Questo filone di studio è stato sviluppato a partire dagli anni ’80 (cfr. Wolf M., Gli effetti sociali dei media, Bompiani, Milano 1992) sulla base soprattutto della sociologia schutziana e all’apparire nei media studies di alcuni orientamenti che mescolano temi specificatamente comunicativi con l’approccio della sociologia fenomenologica (cfr. Lindlof T., Natural Audiences. Qualitative Research of Media Uses and Effects, Ablex, Norwood 1987, Lindlof T., Media Audiences as Interpretative Communities, in Anderson J. (ed.), Communication Yearbook, vol.11, Sage, Newbury Park, pp. 81-107, 1988; Lull J., World Families Watch Television, Sage, Newrbury Park 1988; in parte Meyrowitz J., No sense of place. The Impact of Electronic Media on Social Behavior, Oxford University Press, New York 1985).

[5] A partire dal testo di Berger e Luckman (Berger P. L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna 1969), parte del pensiero sociologico contemporaneo si è andato modellando sull’idea che la società venga costruita dall’azione quotidiana degli individui e che al contempo fa da cornice a questa azione.

[6] Per una definizione di senso comune cfr. Gadamer H. G., Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983; Schutz A., Scritti sociologici, UTET, Torino 1978; De Leonardis O., Le isituzioni. Come e perché parlarne, Carocci, Roma 2001.

[7] Come spiega Santambrogio, “da un lato si ha il senso soggettivo nella sua intenzionalità diretta; dall’altro, il senso oggettivo – che può essere colto riflessivamente come senso comune –, visto come il risultato di un processo intenzionale di progressiva oggettivazione e astrazione del senso intenzionato soggettivamente. Il senso oggettivo acquisisce progressivamente livelli più o meno alti di anonimità, così che appare ai soggetti come qualcosa estraneo dalle loro coscienze che pure l’ha prodotto” (Santambrogio A., Il senso comune. Appartenenze e rappresentazioni sociali, Roma-Bari, Laterza 2006, p. 120).

[8] “Quando vediamo il mondo attraverso le rappresentazioni sociali, noi “pensiamo senza riflettere”, interrompiamo i nostri sforzi di interpretazione dei significati nostri e altrui e la società pensa attraverso noi” (Santambrogio A., Il senso comune. Appartenenze e rappresentazioni sociali, Roma-Bari, Laterza 2006, p. 121).

[9] J. B. Thompson J.B., Mezzi di comunicazione e modernità, il Mulino, Bologna, 1998.

[10] Wolf M., Gli effetti sociali dei media, Bompiani, Milano 1992.

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