Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor (1942), il governo americano commissionò alla propria industria cinematografica una serie di filmati di propaganda, composti quasi esclusivamente di materiali di repertorio.
Si tratta della serie “Why we fight” (Perché combattiamo, 1942-1945), una documentazione delle diverse fasi del conflitto: l’espandersi della dittatura nazista (Preludio alla guerra e Nazi Strike), l’evolversi della guerra (Dividi e conquista, La battaglia d’Inghilterra, La battaglia di Russia, La battaglia cinese, Vittoria tunisina), il progressivo coinvolgimento degli Stati Uniti (Conosci il tuo alleato: l’Inghilterra, La guerra viene in America), l’analisi del nemico (Conosci il tuo nemico: la Germania, Conosci il tuo nemico: il Giappone), le prime vittorie (Due giù, uno ancora da finire). Scopo di tali documentari era spiegare perché si era entrati in guerra e contro quali nemici si stava combattendo. Il compito di realizzare e coordinare tali documentari fu affidato a Frank Capra, uno dei più importanti registi di Hollywood degli anni Trenta e Quaranta, il principale rappresentante della commedia sofisticata, nonché il principale portavoce dell’America del New Deal. Capra, nato a Palermo nel 1897, fin dai suoi primi film, da “La donna di platino” (1931) a “Accadde una notte” (1934), si propone di fornire agli spettatori non solo intrattenimento ma anche spunti di riflessione. Seguendo la regola dell’insegnare divertendo, egli mostra, attraverso i suoi lavori, i diritti e i doveri del buon cittadino, amante della patria, della libertà, della democrazia. Il tutto, però, è espresso nei termini della commedia di costume, in modo che il discorso politico e morale nasca da una visione leggera, comica, umoristica della realtà .La poetica di Capra, fondata su alcuni principi fondamentali, tratti dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e dalla Bibbia, culmina nella cosiddetta trilogia democratica e rooseveltiana: “E’ arrivata la felicità” (1936),” L’eterna illusione”(1938), “Mr. Smith va a Washington” (1939). In questi film, gente umile, semplice, sprovveduta si trova a fare i conti con il capitalismo aggressivo, la corruzione , l’arbitrio ma ogni singola storia, individuale o collettiva, si conclude con l’immancabile happy hend. Il messaggio è chiaro: il popolo degli Stati Uniti deve superare i conflitti e le lotte di classe, collaborare con il governo per creare una società più giusta e più democratica. Capra si fa, dunque, interprete del nuovo spirito della società americana che, grazie all’azione politica del presidente democratico Roosevelt, esce faticosamente dalla Grande Depressione. In quest’ottica, l’arte del regista era destinata, come poi avvenne, ad esaurirsi con il venir meno degli stimoli e delle conquiste sociali dell’America rooseveltiana. Anche nella serie documentaria “Perché combattiamo”, alla quale Capra si dedica negli anni della guerra, tornano i motivi tipici dell’opera del regista: la gente, la figura di Cristo, i media, la stampa, ne “La battaglia di Russia” , persino il Natale. In “Preludio alla guerra” ci sono riferimenti all’amata Bibbia e la contrapposizione tra due mondi: quello degli uomini liberi e quello degli schiavi. Gli uomini liberi credono in Mosè, Cristo, Maometto, Confucio e hanno i loro eroi in Lincoln, Garibaldi, Lafayette; schiavi sono, invece, i popoli d’ Italia, della Germania e del Giappone. Di essi, Capra ricostruisce la storia recente: la delega alla dittatura, il potere dei media, il fanatismo delle masse. La serie delle battaglie offre la possibilità di realizzare ritratti delle diverse nazioni: c’è quello, quotidiano e quasi divertito, della gente britannica, quello storico della Cina filosofica e operosa, ma, soprattutto, c’è quello della Russia, esaltata senza riserve. Anche in quest’ultimo caso, a Capra interessa la gente comune, gente che ama la propria terra e che ha, persino, le proprie chiese. Il regista sorvola sul comunismo e sul patto Stalin- Ribbentropp: la Russia di Capra è la Russia della gente. Ci sono, poi, i film riguardanti l’America, nei quali viene esaltata la modernità e la tecnologia (le macchine, il juke box, la televisione, ecc..) nonché il mito della mobilità e del viaggio. Chiude la serie “Il soldato negro”, l’unico con un esile plot di finzione: qui la storia d’America è mostrata dal punto di vista della gente di colore. Il film parte da un sermone di un prete ai fedeli e si conclude con un coro finale e un blues: “Gerico”. Il didascalismo di Capra, con i suoi topoi, si esprime a pieno in questa serie documentaria: la struttura simile e ripetitiva, l’uso dell’animazione, i riassunti filmati delle puntate precedenti contribuiscono a creare, come ha scritto Vito Zagarrio, “un enorme wargame”, un serial bellico, in cui, però, la parte più interessante resta quella dedicata alla storia delle nazioni, filtrata attraverso il punto di vista del popolo.