In occasione del decimo anniversario della sua fondazione la SPHM (Societé Pour l’Histoire des Médias) ha organizzato un Convegno internazionale dal titolo “Faire de l’histoire avec les médias”. I lavori sono stati articolati attraverso tre tavole rotonde, che hanno affrontato diversi aspetti e differenti approcci metodologici allo studio della storia dei media. Ogni tavola rotonda è stata preceduta ed intervallata dalla proiezione di alcune fonti audiovisive, tratte dall’archivio dell’INA (Institut National de l’Audiovisuel).
Dopo il saluto iniziale del Presidente della SPHM Christian Delporte, che ha sottolineato la necessità di inserire lo studio dei media all’interno della storia contemporanea favorendo un dialogo con le altre scienze sociali, è iniziata la discussione della prima tavola rotonda che si è incentrata sul tema Les médias, acteur de l’histoire. Il dibattito si è concentrato sul ruolo dei media nel lavoro dello storico, interrogandosi su cosa essi apportano di nuovo nella ricerca storica, attraverso quali motivazioni gli storici li utilizzano come fonte e in che modo è possibile introdurre la fonte mediatica tra gli strumenti ordinari dello storico. Da segnalare le riflessioni di Jean-François Sirinelli, che ha ricordato che la storia dei media, pur essendo una disciplina giovane, risulta già particolarmente feconda da un punto di vista scientifico; è tuttavia necessario integrare in maggior misura i media nella ricerca storica in quanto essi possono apportare contributi significativi in determinati ambiti disciplinari, come ad esempio nella storia politica, dove il loro uso come fonte rappresenta un’ulteriore possibilità di approfondimento. Analoghe considerazioni possono essere valide anche per la storia culturale, in cui l’analisi dei mezzi di comunicazione rappresenta una componente centrale. Interessante ed appropriato l’intervento di Michel Vovelle, che dal suo punto di vista di storico della Rivoluzione francese, ha sottolineato l’importanza dei “media” di quel periodo, come i quadri, i manifesti, i volantini, le medaglie, perché in grado di fornire dei fondamentali strumenti di ricerca per uno storico. Infatti queste diverse forme di espressione di diffusione popolare, si rivelano preziose fonti necessarie per ricostruire l’immaginario collettivo di una data fase storica. I media, sia quelli dell’epoca della Rivoluzione francese, che quelli dell’età contemporanea, sono degli strumenti attraverso i quali lo storico può recuperare la memoria ed i simboli del passato; tuttavia – ha concluso Vovelle – occorre saper contestualizzare tali fonti per non cadere in errori di interpretazione.
Sul tema generale della storia dei media si segnalano alcune opere di riferimento: D’Almeida Fabrice, Delporte Christian, Histoire des médias en France de la Grande Guerre à nos jours, Paris, Flammarion, 2003; Jeanneney Jean-Noël, Storia dei media, Roma, Editori Riuniti, 1996 (trad. italiana di Jeanneney Jean-Noël, Une histoire des médias, des origines à nos jours, Paris, Seuil, 1996) ; per un approccio metodologico alla storia dei media : D’Almeida Fabrice (dir.), La question médiatique: les enjeux historiques et sociaux de la critique des médias, Paris, Séli Arslan, 1997 ; Delporte Christian, Gervereau Laurent, Marechal Dénis (dir.), Quelle est la place de l’image en histoire?, Paris, Nouveau Monde Éditions, 2008 ; Anania Francesca, I mass media tra storia e memoria, Roma, Rai ERI, 2008 ; Ortoleva Peppino, Mediastoria. Mezzi di comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo, Milano, Il Saggiatore, 2002.
Il dibattito è proseguito con il commento di alcuni documentari, andati in onda sul primo canale dell’ORTF tra il 1962 ed il 1967, riguardanti i cambiamenti dei costumi e della cultura dei giovani francesi negli anni Sessanta. Ludivine Bantigny, maître de conférences all’Università di Rouen, ha evidenziato come nella seconda metà del Novecento, i media hanno costituito una sorta di veicolo privilegiato per rappresentare i giovani, finendo per costruire una loro identità attraverso il discorso mediatico. Infatti ogni modo di nominare i giovani da parte dei media è diventato una forma di identità, che tuttavia, presentando un punto di vista esterno all’universo giovanile, segnala la difficoltà di rappresentare in modo convincente questa categoria sociale, fornendo piuttosto dei modelli o degli stereotipi. Da qui ancora la necessità per uno storico di saper dialogare con la fonte audiovisiva, tenendo presenti le possibili deformazioni che essa induce, quando la si accetti senza una riflessione critica sulle condizioni che hanno permesso la sua produzione.
La seconda tavola rotonda dal titolo Quelle échelle pour l’histoire des médias, si è avvalsa della partecipazione di studiosi di storia contemporanea di diversi Paesi, ed ha provato ad interrogarsi sulle dimensioni di spazio e sulle possibili scale geografiche per la storia dei media, analizzando diverse ottiche comparative in differenti contesti nazionali. Tali tematiche, sono state introdotte dall’intervento di Fabrice D’Almeida dell’Institut Français de Presse dell’Università Paris 2, che ha proposto alcuni argomenti attorno ai quali ragionare rispetto ai diversi contesti geografici che i media possono rappresentare. In particolare illustrando l’idea della mediatizzazione, ha evidenziato come si possono raccontare degli eventi e in che modo può diffondersi un’informazione attraverso i media, quando la lettura di un fenomeno sociale è condizionata dal punto di vista di chi produce un documento audiovisivo. Da questo punto di vista le fonti audiovisive proposte hanno riguardato da un lato la rappresentazione dell’Africa e della società africana nei documentari del primo canale televisivo dell’ORTF nel 1969, e dall’altro il ruolo assunto dai media nelle campagne elettorali. Per quanto riguarda la rappresentazione dell’Africa, Odile Goerg dell’Università Paris VII, ha sottolineato come i media permettono una modulazione degli stereotipi, che finisce con l’essere condizionata in modo evidente dallo strumento televisivo, rafforzando un tipo di rappresentazione che diventa caricaturale e poco realistico. Inoltre fino al termine del periodo coloniale le immagini che rappresentavano l’Africa sono state prodotte dai Paesi coloniali, rafforzando l’idea che gli europei si trovassero in quel continente per controllare ed aiutare la popolazione indigena, fornendo così una visione non aderente alla realtà. Maurizio Ridolfi, dell’Università della Tuscia di Viterbo, nel commentare una fonte audiovisiva riguardante le elezioni politiche in Italia del giugno 1979, andata in onda sul canale televisivo Antenne 2, ha evidenziato come il tema della campagna elettorale permette di offrire delle riflessioni anche rispetto al rapporto tra i media e lo spazio geografico. Infatti con le elezioni si affronta una scala di dimensioni elettorali che si estende dall’ambito locale a quello europeo. Ha messo in luce il rapporto diretto tra spazio elettorale e costruzione del consenso con l’esempio dell’Italia repubblicana, dove le grandi regioni elettorali sono durate a lungo nel tempo. Dal punto di vista delle scale della comunicazione, mentre il sistema tradizionale dei media è piuttosto legato ad una dimensione nazionale, a partire dalla fine degli anni ’70 si rafforza il ruolo della rappresentazione locale, non solo attraverso la stampa regionale, ma anche attraverso i nuovi mezzi audiovisivi, come le televisioni e le radio locali. Tramite questi mezzi di informazione, il cittadino elettore diventa anche uno spettatore, e contribuisce a consolidare il rapporto tra sistema politico e sistema dei media. François Valloton, docente di storia contemporanea dell’Università di Losanna, nel suo intervento ha riconosciuto come anche in Svizzera la mediatizzazione della politica è passata per scelte e decisioni del governo, ricordando come fino agli inizi degli anni ’60 nella televisione svizzera non vi fosse una particolare attenzione al discorso politico. In conclusione si è ribadito come i media favoriscano la creazione di spazi pubblici che si delineano lungo diverse scale geografiche e come sia necessario interrogare i media per passare dalla scala locale a quella prima nazionale e poi internazionale. Sul rapporto tra potere e spazio locale in Africa occidentale si segnala il lavoro Goerg Odile (dir.), Pouvoirs locaux et gestion foncière dans les villes de l’Afrique de l’Ouest, Paris, L’Harmattan, 2006; per il rapporto tra propaganda e mezzi di comunicazione: Ridolfi Maurizio (a cura di), Propaganda e comunicazione politica. Storia e trasformazioni nell’età contemporanea ( secoli XIX-XX), Milano, Bruno Mondadori, 2004; D’Almeida Fabrice, Images et propagande au XXè siècle, Paris, Casterman-Giunti, 1995.
La terza ed ultima tavola rotonda dal titolo Approche interdisciplinaire des médias. Recherches autour du thème de la guerre ha riprodotto lo schema delle discussioni precedenti, sviluppando un dibattito a partire da alcuni filmati relativi al conflitto nella ex-Jugoslavia, diffusi tra l’agosto del 1992 e il gennaio del 1993 dai canali televisivi TF1 e Antenne 2. Il confronto si è incentrato sugli approcci diversi e su quelli in comune tra le varie scienze sociali che si occupano dei media, sia come oggetto che come fonte della propria ricerca (la sociologia, le scienze politiche, la filosofia, la storia dell’arte, l’antropologia e le scienze del linguaggio). Inoltre gli intervenuti si sono interrogati su quali sono le frontiere tra una disciplina e l’altra, quali le reciproche influenze e quali le motivazioni di queste influenze. Nel caso specifico del tema della tavola rotonda ci si è domandati in che modo la guerra viene analizzata attraverso le fonti mediatiche dalle varie scienze sociali prese in considerazione. Le argomentazioni di Alice Krieg Planque, Maître de conférences in Scienze del linguaggio all’Università Paris-Est Créteil, sulle differenze tra la storia – che si occupa dell’analisi del contenuto di un discorso – e le scienze del linguaggio, che privilegiano l’analisi del modo in cui viene esposto un contenuto, assumono maggiore valenza se rapportati all’uso dei media come fonte per la ricostruzione di eventi di guerra. È stato inoltre osservato come tra le varie discipline che studiano i mezzi di comunicazione di massa, la sociologia si trova sempre più stimolata ad orientare la propria prospettiva sulla ricezione dei contenuti da parte del pubblico. Infine sono apparse significative le riflessioni di Jacques Semelin del Centro d’études et de recherches internationales di Sciences Politiques, che hanno insistito sulla necessità di studiare i media in un contesto di guerra sotto due profili: indagandone da un lato la funzione di propaganda, dall’altro la funzione di veicolo di messaggi ed informazioni rivolti a chi vive l’evento della guerra in una prospettiva diversa da quella di chi vi è direttamente coinvolto. Per un approccio multidisciplinare al tema della guerra e alla sua rappresentazione attraverso i media si segnala il lavoro curato da due sociologi: Dupret Baudoin, Ferrié Jean-Noël, Médias, guerres et identité. Les pratiques communicationnelles de l’appartenance politique, ethnique et religieuse, Paris, Éditions des archives contemporaines, 2008 ; per un’analisi specifica del ruolo dei media nel conflitto nella ex-Jugoslavia : Palmer Michael, Quels mots pour le dire? Correspondants de guerre, journalistes et historiens face aux conflits jougoslaves, Paris, L’Harmattan, 2003.
Il convegno si è rivelato un interessante occasione di dibattito, di confronto internazionale ed interdisciplinare tra vari studiosi, che partendo dall’analisi di fonti audiovisive specifiche ha permesso di approfondire questioni ed approcci metodologici della storia dei media, oltre al rapporto tra mezzi di comunicazione e storia contemporanea, che si rivelano di estremo interesse per la ricerca storica.