La storia del sindacato e dei lavoratori tra nostalgia e negazionismo

In un mondo che cambia sotto la spinta della prassi neoliberista, della deindustrializzazione e della globalizzazione è ancora possibile salvare la memoria di quella che è stata la pratica del sindacato, del lavoro, nei suoi luoghi, nei suoi tempi e nella sua organizzazione?  E’ quello che si chiede  la rivista “International Labor and Working-Class History”[1] nel numero monografico uscito nell’autunno del 2009. E per costruire una risposta circostanziata, si parte dalla presentazione di esperienze  (“Reports from the field”) e si passa poi a ricerche condotte  in varie parti del mondo (“Articles”)  che hanno per oggetto i tentativi di rilanciare la storia del sindacato e dei lavoratori anche presso il grande pubblico. La storia del sindacato  è stata spesso  influenzata  nel secolo passato da relazioni con la grande storia sia sul piano ideologico che su quello dei contenuti narrati. A partire dagli anni Sessanta e Settanta questi storici specialisti si sono sforzati di allargare la prospettiva all’interno della quale inserire la storia del sindacato e dei lavoratori: la storia del quotidiano, la storia di tutti, la storia delle donne, dei gruppi etnici, dei conflitti razziali.  E questo con l’obiettivo più generale di saldare la storia del sindacato alla storia di tutti, alla storia generale (quella che gli americani chiamano “public history”) per poter salvare la storia del sindacato e del lavoro dalla sua cancellazione. Perché la storia del lavoro e dei lavoratori sta per essere cancellata nel senso che la tendenza è di conservare di quel passato solo quello che è ancora funzionale ai nuovi tempi, alle nuove visioni dell’economia, della globalizzazione, del nuovo modo di lavorare.

Eppure le esperienze di collegamento più stretto tra storia del sindacato e storia generale nel recente passato sono state numerose come nel caso dell’esperienza cilena e in quella brasiliana (tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta) quando la storia del sindacato si è mossa dal suo angolo per farsi storia della gente comune e della vita quotidiana. Ma in quelle aree il trionfo del neoliberismo si è accompagnato ad una repressione così violenta del movimento dei lavoratori e degli intellettuali da rendere inutile quell’avvicinamento e talvolta da rendere impossibile lo stesso racconto della storia per la dispersione e distruzione delle fonti ad opera dei regimi dittatoriali. E negli Stati Uniti e nel Regno Unito gli anni Ottanta l’avvento della politica della Thatcher e di quella di Reagan oltre oceano hanno spezzato la resistenza delle classi lavoratrici e hanno addirittura trasformato i quartieri dove le classi popolari avevano vissuto e avevano costruita la loro identità di cittadini accanto a quella di lavoratori. Si collocano in questo quadro i racconti di James Green ed Elisabeth Jameson sul restauro del Ludlow Memorial nel Colorado[2], le ricerche di David Wray sui “galà” dei minatori del Durham[3] o la distruzione dei sobborghi operai di Baltimora nel racconto di Robert Chidester e David Gadsby[4].

Il Ludlow Memorial ricorda l’uccisione di minatori e di loro famigliari (alcuni dei quali di origine italiana)  avvenuta nel 1913-1914 ad opera di esecutori che erano stati mandati dalla Colorado Fuel and Iron che era la proprietaria delle miniere. Anteriormente al 2003, il monumento che era stato eretto per ricordare quell’evento, era stato danneggiato e deturpato probabilmente perché si era perso il ricordo del significato di quanto era avvenuto. Da allora è stato avviato un percorso che ha condotto per un verso a riscoprire la memoria di quanto era accaduto Novant’anni prima e per l’altro a produrre un intervento di restauro e poi di valorizzazione di quel sito grazie ad una ampia collaborazione di storici accademici, di esponenti del movimento sindacale, di politici e di cittadini del Colorado.

Il “The Durham Miners Gala” è un appuntamento annuale, nel secondo sabato di luglio, che dal 1871 intende ricordare le battaglie dei lavoratori per creare una organizzazione sindacale a tutela e a protezione dei lavoratori contro il capitalismo senza regole del XIX secolo e che ha contribuito, partendo dal basso, a creare il rispetto dei lavoratori e del movimento sindacale. E la diversità degli stendardi e degli striscioni che vengono portati in quella manifestazione ripercorrono le diverse fasi della storia del movimento sindacale lungo quasi un secolo e mezzo.

L’articolo di Chidester e di Gadsby si sofferma sull’esperienza condotta dalla Hampdem Community Archaeology Project che a Baltimora lavora per creare un dialogo, un collegamento produttivo tra i superstiti della comunità di operai che aveva dato origine ad un sobborgo della Città e gli esponenti della classe media e medio-alta che, dopo la trasformazione di parte dell’area, si sono venuti a stabilire in quel luogo per cui quel sobborgo ha perso la sua identità ed è alla ricerca di una nuova identità. Gli sforzi che l’associazione sta facendo non hanno prodotto ancora significativi risultati e questo sconta il fatto che per un verso ai nuovi arrivati occorre far conoscere 150 anni di storia che sono all’origine di quel sobborgo di operai e agli eredi di questo gruppo sociale è necessario far accettare le nuove idee, i nuovi modelli dei quali i nuovi vicini sono portatori. Il tutto senza edulcorare la storia del passato per farla meglio accettare e d’altra parte senza travisare le differenze che caratterizzano i nuovi abitanti.

Ma anche dall’altra parte del mondo, in Australia  (in un contesto sociale ed economico non diverso), la trasformazione dei poli industriali in siti di archeologia industriale è avvenuto con la questa logica di fondo: creare un immagine del passato che non abbia relazioni con il presente,  quasi un reperto archeologico che deve essere presentato in funzione dell’utilizzazione estetica dei visitatori dell’oggi ma non per far conoscere la realtà del passato. L’articolo di Lucy Taksa si occupa di quattro siti di archeologia industriale che sono collocati in differenti stati dell’Australia e che sono stati costruiti a partire da quattro officine ferroviarie ora dismesse ma che per quasi un secolo sono state i perni del sistema ferroviario australiano[5]. Questi nuovi luoghi di rappresentazione del passato sono diventati luoghi turistici e di didattica per gli studenti nei quali però quello che viene rappresentato del mondo del lavoro che in quei luoghi si è realizzato è lontano dalla realtà e quindi è una prospettiva astorica dell’industrializzazione e della deindustrializzazione quella che viene rappresentata.

E’ proprio in questo articolo della Taksa che si fa uso dei concetti di “nostalgia” (che corrisponde al nostro concetto di “amore idealizzato del passato) e di “nostophobia”  (che potrebbe essere tradotto come l’opposto, cioè “la fobia del passato” ma anche come negazionismo, cioè negazione di un fatto che è avvenuto e di come si è sviluppato) per spiegare quello che sta avvenendo in Australia dove i cultori di queste aree archeologiche-turistiche intendono proporre una visione idealizzata del passato ma anche istillare la convinzione della necessità di allontanarsi da quel passato per entrare nel presente. Senza però aver proposto una conoscenza obiettiva del passato, con le sue lacerazioni e con le sue contraddizioni. E favorendo un ingresso nel presente che diviene l’entrare in un luogo reale-non reale e per il quale non si hanno gli strumenti per cogliere le caratteristiche dell’uno e dell’altro.

La storia del sindacato, del lavoro e dei lavoratori non ha bisogno di ricorrere alla nostalgia, ha bisogno di raccontare la storia così com’è effettivamente avvenuta, senza omettere e trascurare nulla. Ma per rendere questo racconto comprensibile alla cultura dei nostri giorni, è necessario in primo luogo che la storia del sindacato e del lavoro si allei vitalmente con la storia generale con la “public history” e poi che questa narrazione utilizzi tutti gli strumenti che le nuove tecnologie e i nuovi modelli di comportamento mettono a disposizione  come il turismo culturale, i musei, le feste rievocative, le raccolte della storia orale, i progetti di ricostruzione  della storia sindacale, la raccolta della documentazione negli archivi e nelle strutture di documentazione, le ricostruzioni filmiche, musicali e multimediali.

Tutto deve essere impiegato perché la globalizzazione e le radicali trasformazioni in atto non disperdano per un verso  e non banalizzino per l’altro quella che è stata la storia della classe operaia, della sua organizzazione e un secolo e mezzo di lotte per la conquista dei diritti sul lavoro e della dignità nella società civile.

 

 

 

Letture di approfondimento sul tema della storia del sindacato:

 

a livello internazionale:

 

Michel HANAGAN, An agenda for trasnational labor history, in “International labor and working-class history”, 49, 2004.

New approaches to global labor history, in “International labor and working-class history”, 66, 2004.

 

Juan MORENO, Emilio GABAGLIO, La sfida dell’Europa sociale. Trent’anni di confederazione europea dei sindacati, Roma, Ediesse, 2007

 

Hawell HARRIS, Between convergence and exceptionalism. Americans and the British model of labor relations 1867-1920, in “Labor history”, 48, 2007, n. 2.

 

in Italia:

 

Guido BAGLIONI, Domenico PAPARELLA, Il futuro del sindacato, Roma, Edilavoro, 2007

 

Carlo VALLAURI, Storia dei sindacati nella società italiana, Roma, Ediesse 2008

 

Michele COLASANTO (a cura di), Una sfida da vincere. Lineamenti storici della partecipazione dei lavoratori in Italia, Roma, Edilavoro 2008

 

 

 


[1] Thomas Miller Klubock, Paulo Fontes (ed.), Public History and Labor History, in “International Labor and Working-Class History”, n. 76, Fall 2009, pp. 2-179.

[2] James Green, Elisabeth Jameson, Marked Labor History on the National Landscape: The Restored Ludlow Memorial and its Significance, Ivi, pp. 6-25

[3] David Wray, The Place of Imagery in the Transmission of Culture: The Banners of the Durham Coalfield, Ivi, pp. 147-163.

[4] Robert C. Chidester, David A. Gadsby, One Neighborhood, Two Communities: The Public Archaeology of Class in a Gentrifying Urban Neighborhood, Ivi, pp. 127-146

[5] Lucy Taksa, Labor History and Public History in Australia: Allies or Uneasy Bedfellows?, Ivi, pp. 81-104.

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