Introduzione
In vista delle elezioni 2009 per il rinnovo del Parlamento europeo – PE – il panorama politico italiano era entrato in fibrillazione per vari motivi, tra i quali: 1) con i risultati delle elezioni politiche del 2008, si era fatta strada l’idea che anche l’Italia fosse entrata nell’era della competizione duale tra grandi partiti, uno di centro-destra e uno di centro-sinistra: in quest’ottica, il voto per il rinnovo del PE doveva costituire la prima importante verifica; 2) gli altri partiti presenti in parlamento – LN, UDC, IdV – speravano di sconfessare il presunto trend bipartitico per rafforzare il loro potere di coalizione[1]; 3) quelli esclusi – RC, SeL – vedevano nella campagna elettorale una preziosa, quanto rara, occasione di visibilità mediatica per riguadagnare consenso nel Paese e aggirare l’ostacolo dello sbarramento al 4%[2]. L’evidente prevalenza delle dinamiche politiche interne[3] – come si potrà evincere dai prossimi paragrafi – i diversi obiettivi che ciascun partito perseguiva con le elezioni europee, rendono difficilmente percorribile la strada di un’analisi comparativa sull’europeismo dei vari partiti per coglierne le diversità, i punti in comune, le continuità/discontinuità rispetto alle forze politiche precedenti. A maggior ragione, è utile ragionare sulla campagna elettorale degli “altri” per capire modalità e contenuti con i quali hanno animato il confronto elettorale.
L’“antieuropeismo padano” della Lega Nord
Con il 10,2% dei suffragi la LN è il terzo partito italiano e più di ogni altra formazione politica può affermare di aver vinto le Europee 2009: da quando Bossi è tornato stabilmente a guidarla e ad ispirarne la strategia politico-comunicativa, la LN è risalita ai livelli di consenso del 1996 iniziando, per giunta, a mettere significative radici anche nell’Italia centrale[4]. Per questo appare importante analizzare le ragioni del boom elettorale leghista ed evidenziare l’approccio della LN all’integrazione europea.
Quanto al primo punto, è necessario premettere che le ragioni del successo leghista sono da ricondurre quasi esclusivamente a motivi di politica interna, ovvero alla presenza determinante nel governo Berlusconi. Ad esempio, con i cosiddetti “respingimenti”, la LN è riuscita a fare dell’immigrazione il tema dominante del confronto elettorale, aspetto che le ha permesso di tradurre in milioni di suffragi la “linea dura” sostenuta dalla dirigenza e dal ministro Maroni. Nel corso della campagna elettorale, le città italiane erano tappezzate di manifesti con l’immagine di un’imbarcazione carica di migranti e la scritta “Abbiamo fermato l’invasione”[5]:. Nonostante sia il partito “decano” del sistema politico italiano – fondato nel 1982 – e quello che dal 1994 più di ogni altro ha governato l’Italia[6], la LN riesce sempre a convincere l’elettorato di rappresentare la novità politica chiamata a sanare i “disastri dei partiti di Roma”. Ancora una volta, la LN e soprattutto Bossi si sono dimostrati abilissimi nell’intercettare – spesso fomentandole, come nel caso dell’immigrazione – le paure della “gente”[7]. L’estremismo sull’immigrazione non ha tuttavia impedito alla LN di accreditarsi come forza di governo responsabile e in grado di moderare gli eccessi berlusconiani; anzi, in quest’ottica, con la rilevanza parlamentare ricevuta dal voto dell’aprile 2008, la LN sembra detenere le chiavi del Governo[8] ovvero, come si direbbe oltre-Manica, “the tail wagging the dog”[9]. Nello stesso tempo, e proprio qui forse una delle cause più importanti del successo leghista, la LN ha scommesso molto sul lavoro di “bassa manovalanza” delle sezioni, rafforzando così la presenza sul territorio e rimanendo, forse, l’unico partito profondamente radicato nella società – e quindi in grado di captarne gli umori.
Quanto al secondo aspetto, la campagna elettorale ha confermato l’“antieuropeismo padano” della LN. Il programma del primo leghismo, così come le posizioni assunte nel 1989 e in occasione della ratifica del Trattato di Maastricht, ponevano molto l’accento sull’“opportunità europea” vista come strumento indispensabile per correggere le tare delle quali i leghisti accusavano lo Stato italiano. Non condividendo l’assetto istituzionale della CEE/UE, e per rilanciare la questione democratica, la LN propose l’istituzione di una seconda Camera Alta degli Stati e delle Regioni. Se è pur vero che nel dossier “Proposte e obiettivi” si rivendica ancora una maggiore democratizzazione dell’UE – anche per respingere le accuse di antieuropeismo[10] – nei “Punti programmatici per le elezioni del Parlamento europeo” non c’è nessun riferimento a come migliorare le istituzioni UE, ritenendo che “le norme dell’Unione europea non consentono al Parlamento di avanzare proposte”: di conseguenza, “il principio fondamentale sarà quello dell’assoluto rispetto della sussidiarietà”[11]. Proprio sulla sussidiarietà la posizione leghista si è completamente ribaltata: se nel 1989 era auspicata come strumento per togliere competenze agli Stati nazionali[12], nel 2009 diventa divieto di approvare norme europee “quando le stesse regole [possano] essere decise dagli Stati (o dalle Regioni con podestà legislativa)”[13]. Così com’è radicalmente cambiato il giudizio sul Parlamento europeo che, sostenuto con forza anche prima del Trattato di Maastricht – e quindi privo della procedura di codecisione – viene ora declassato al rango di assemblea impotente e superflua.
Il cambiamento di prospettiva appare evidente e conferma la contrarietà della LN alla UE[14]. Questo non vuol dire associare l’approccio della LN all’antieuropeismo di marca britannica: tuttavia, se le obiezioni e le critiche mosse alla UE sono così vaste e numerose, e le uniche proposte avanzate invocano solo una più agguerrita difesa della sovranità statuale e regionale, la naturale conclusione che si può trarre è che, pur avendo sviluppato una forma peculiare di antieuropeismo, la LN sia contraria all’integrazione europea.
L’UDC e l’Europa: uno sguardo rivolto all’Italia?
Se nessun partito ha saputo resistere alla tentazione di sfruttare le elezioni europee per fare una campagna elettorale incentrata sulle tematiche interne, l’UDC ha portato questo atteggiamento fino alle estreme conseguenze, presentando un programma che poco aveva a che vedere con l’integrazione europea e molto con la politica interna[15]. Infatti, se si esclude il tema dell’immigrazione, gli altri erano dedicati alla famiglia, alla scuola, alla difesa della vita e perfino alle modalità di gestione delle ASL[16].
Sono due le parole chiave che riassumono la campagna elettorale dell’UDC: immigrazione e famiglia. All’interno del “Manifesto per l’Europa delle famiglie”, l’immigrazione è definita come una grande risorsa per l’Europa, anche se “l’importante è avere la chiarezza delle origini cristiane e giudaiche dell’Europa e poi confrontarsi con tutti i popoli”[17]. Sull’immigrazione Casini si è lasciato andare ad un affondo contro la UE: “A me sembra che l’Unione europea, proprio per la distanza che ci separa da quell’istituzione, abbia abbandonato l’Italia nella risoluzione dei problemi legati all’immigrazione clandestina”[18].
La famiglia rimane il fulcro della proposta UDC; su questo tema, pur sempre di politica interna, l’UDC invita l’UE a fare di più, ad esempio dando alle associazioni laiche e cattoliche che se ne occupano “non solo uno spazio di consultazione e di presenza organico a livello di Parlamento e di Commissione europei, ma [mettendole] in condizione di erogare servizi alla persona”[19].
Sembra emergere il passaggio dell’UDC da partito del popolarismo europeo classico a una sorta di partito confessionale che utilizza, non di rado strumentalmente, le sensibilità del mondo cattolico per trarne vantaggi elettorali. Con il buon successo ottenuto[20] l’UDC è riuscito a intercettare il voto di quegli elettori che hanno nutrito dubbi e perplessità nell’appoggiare il PDL – per l’alleanza con la LN e gli scandali sulla condotta morale di Berlusconi – e il PD – a causa del legame con l’IdV – tanto che secondo Casini il risultato del 6-7 giugno “ha spazzato via il bipartitismo e ha dimostrato che il bipolarismo è malato perché fa vincere il populismo della Lega e di Di Pietro”[21].
L’Europa dell’Italia dei Valori: un baluardo della legalità
La campagna elettorale condotta da Di Pietro presenta molteplici spunti d’interesse sia sul piano programmatico sia su quello della comunicazione politica, stimolando riflessioni sugli equilibri futuri del centro-sinistra. L’8% dei suffragi – dato che ha fatto dell’IdV il quarto partito in Italia[22] – è frutto dello sfondamento in quella parte dell’elettorato di sinistra delusa dall’appeacement del PD[23] verso Berlusconi e non convinta dai progetti di SeL e RC[24].
La campagna elettorale dell’IdV faceva perno sulla definizione della UE come luogo nel quale “possiamo e dobbiamo difendere la Costituzione dall’attacco autoritario pre-fascista”[25] del governo Berlusconi. Lo slogan – “Torniamo in Europa” – e il logo scelto per la campagna elettorale – una cartina dell’Europa capovolta nella quale l’Italia sembra incunearsi nel continente invece che aggrapparvisi – ne forniscono un valido esempio. Logo e slogan confermano anche l’abilità nella comunicazione politica; sul notevole sito internet dell’IdV c’era uno spazio video nel quale ogni candidato si presentava illustrando la sua storia professionale, i motivi della scelta di candidarsi, le proposte che avrebbe sostenuto al PE.
Come anticipato, il programma dell’IdV aveva come tema ricorrente – e a tratti monotematico – quello della “legalità”: 1) nel campo dei fondi europei 2) in quello della tutela dei risparmiatori[26]; 3) con la richiesta di ineleggibilità al PE di persone “con sentenza di condanna penale passata in giudicato”[27]; 4) con la proposta di applicare le sentenze europee entro 60 giorni dalla loro emanazione. Altri spunti interessanti erano la richiesta di rendere obbligatorio lo studio di una seconda lingua della UE sin dall’infanzia e la creazione di un corpo di difesa europeo finalizzato “ad una linea omogenea di intervento e ad una reale presenza politica internazionale”[28]. Pino Arlacchi – candidato di prestigio eletto nella circoscrizione meridionale – puntava il suo sguardo dall’Europa al mondo, proponendo l’istituzione di un “Parlamento mondiale” da affiancare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Con la campagna elettorale per le europee 2009 l’IdV e Di Pietro sembrano aver compiuto un ulteriore passo verso il consolidamento del partito nell’elettorato e nel sistema politico italiano. Se si escludono il tema della legalità e la figura carismatica di Di Pietro, risulta però ancora difficile scorgere il progetto dell’IdV come partito, il suo bagaglio politico-identitario. In ogni caso, qualunque futura composizione di una coalizione di centro-sinistra non potrà che tener presente la realtà dell’IdV – almeno dal punto di vista della forza elettorale.
Fuori da Roma, fuori da Strasburgo: la campagna elettorale di RC e SeL
La sinistra italiana continua a trovarsi in un acuto stato di crisi: dopo l’esclusione dal Parlamento italiano, con il voto del 6-7 giugno è arrivata anche quella da Strasburgo[29]. Attribuirne la responsabilità esclusivamente alla soglia di sbarramento, fattore comunque cruciale, appare riduttivo e fuorviante. La crisi della sinistra ha radici più profonde, ad esempio: 1) l’instabilità continua: dal 1989 non ci sono state due elezioni europee alle quali abbiano partecipato gli stessi partiti[30]; 2) la mancanza di progettualità: le continue variazioni nei nomi e delle alleanze nascono dalla difficoltà nel ripensare spazi e strategie di azione per la sinistra nell’Italia e nell’Europa degli anni 2000; 3) le lotte intestine: i vari partiti della sinistra – compreso il PD – hanno dato vita a una nuova guerra fratricida, che ha visto ciascun partito contro gli altri due[31] – facendo passare in secondo piano la “golden share” leghista sull’esecutivo e gli attriti tra i principali fondatori del PDL.
Nello stesso tempo, quella della sinistra è una crisi dovuta soprattutto a motivazioni di politica interna, di rapporti di forza – quando non di personalismi: i programmi elettorali per le elezioni europee di SeL e di RC, infatti, sono più che simili, e rivelano come una ricomposizione unitaria delle varie anime della sinistra sarebbe possibile a partire proprio dalle questioni europee e internazionali. Il punto di partenza dell’europeismo della sinistra italiana è costituito dalla ferma opposizione alla “lotta di classe a rovescio” iniziata con Maastricht, nella quale “a riconquistare potere ed egemonia sono state le classi dominanti, a scapito dei lavoratori”[32].
RC ha posto molto l’accento sulle questioni economiche, rivendicando “la sostituzione del Patto di stabilità (…) con un patto per la piena occupazione (…) un controllo democratico della Banca Centrale Europea e un radicale mutamento della sua missione, che deve essere tesa a promuovere uno sviluppo socialmente equo e ambientalmente sostenibile”[33]. Per raggiungere tali obiettivi si richiedono istituzioni comuni pienamente democratiche e “la partecipazione diretta nei processi decisionali, con referendum sulle questioni relative alle scelte fondamentali della stessa Unione Europea”[34]. Quanto alla dimensione globale, RC auspica il ritiro dei contingenti europei dall’Iraq e dall’Afghanistan riproponendo “lo scioglimento della NATO”[35].
Per SeL “l’Europa che lasciamo è quella della speculazione finanziaria, del liberismo, della destra, lontana dai popoli, vicina ai privilegiati. Vogliamo invece un’Europa del lavoro, dell’ambiente, dei diritti sociali e civili”[36]. Anche il partito guidato da Vendola ha proposto la stipula di un patto europeo per l’occupazione e di uno “per il progresso sociale che stabilisca standard comuni per le politiche sociali, educative e sanitarie. E questo vale anche per le politiche d’inclusione dei migranti oltre all’asilo per i rifugiati e profughi da guerre e dittature”[37].
L’assenza della sinistra a Strasburgo impoverirà il dibattito sul futuro dell’Europa e del suo processo d’integrazione: questa mancanza dovrebbe quindi essere sanata non tanto puntando all’abolizione della soglia di sbarramento o a una diversa politica delle alleanze, quanto al superamento delle divisioni interne.
Conclusioni
L’analisi della campagna elettorale degli “altri” ha confermato la difficoltà nel confrontare le diverse visioni sull’Europa, sulle sfide che attendono il suo processo d’integrazione. Tuttavia, è possibile trarre almeno due conclusioni generali.
Dal voto del 6-7 giugno 2009 il bipartitismo esce sostanzialmente sconfitto, il bipolarismo rafforzato. I successi elettorali registrati dall’UDC, dalla LN e dall’IdV – senza trascurare il 6,5% “unitario” di SeL e RC – hanno ridimensionato l’ambizione di PDL e PD di trasformare la politica italiana in una competizione duale. I due partiti hanno ottenuto insieme il 57% dei voti espressi[38], un dato ben lontano quindi dal 66% di DC e PCI nel 1984 – 60% nel 1989. Se poi si prendono in considerazione le Europee 2004 e, con una semplice quanto ruvida operazione aritmetica, si sommano i voti di FI, AN e Uniti nell’Ulivo, si raggiunge un 63% nei confronti del quale il dato registrato alle Europee 2009 costituisce un consistente arretramento. In altre parole, PD e PDL rappresentano due indispensabili federatori per le coalizioni di centro-destra e di centro-sinistra, ma da soli, nonostante la soglia di sbarramento, non bastano: anzi i partiti minori, come si è notato analizzando la campagna elettorale della LN, vedono comunque aumentato il loro potere di coalizione. Dalle urne europee il bipolarismo esce quindi più forte, pur interrogando entrambe le coalizioni sui rapporti di forza e le coesistenze interne: sembra che la posizione dell’UDC, unico partito sganciato dalle alleanze, non potrà essere mantenuta nel lungo periodo – anche se nel breve potrebbe garantire ancora una discreta rendita di posizione.
Una seconda riflessione riguarda invece la qualità del discorso pubblico sull’Europa, che mai come in questo caso è apparso povero e scarso di contenuti: gli unici dati in comune tra le campagne elettorali analizzate sono proprio costituiti da programmi elettorali raramente incentrati sulle grandi questioni europee[39] – che coinvolgono direttamente l’Italia e gli italiani – e dalla pressoché totale scomparsa della retorica federalista[40]. Per quanto sia normale che le tematiche di politica interna entrino nel dibattito della campagna elettorale per il rinnovo del PE, prima del 2009 non erano mai riuscite a diventare l’unico argomento di discussione – con la complicità dei media – e a trasformare le elezioni europee in veri e propri test nazionali di second’ordine. La campagna elettorale del 2009 rappresenta una preoccupante inversione di tendenza.
[1] Nel caso dell’UDC non è corretto parlare di potere di coalizione, quanto di aspirazione a veder rafforzato il ruolo di “ago della bilancia”.
[2] Lo sbarramento è stato introdotto con la legge del 20 febbraio 2009, n. 10 – che modificava ulteriormente quella del 24 gennaio 1979, n. 18. La soglia del 4% è calcolata sul piano nazionale e non sulle circoscrizioni – fattore che, per esempio, nell’Italia centrale ha penalizzato RC. La contrarietà dei “piccoli partiti” allo sbarramento era anche motivata dal rimborso delle spese elettorali che la nuova legge assegna solo alle liste che conseguono il 4%.
[3] Nel suo consueto editoriale domenicale, Barbara Spinelli accusava: “Possiamo già prevedere le parole che verranno dette, in molte capitali del continente, subito dopo le elezioni europee: è mancato, ancora una volta, quel che viene chiamato spirito o comune sentire europeo. In ogni Stato si vota su temi nazionali, ogni elettore tende a giudicare il proprio governo o la propria opposizione, non quello che le istituzioni europee hanno fatto o faranno (…) Tutti questi ragionamenti hanno un difetto. La realtà, continuano a vederla attraverso l’unica lente che conoscono: quella dello Stato-nazione. Ogni giorno i fatti dimostrano che la lente è inadatta, senza tuttavia intaccare la monotona routine. È come se nella pittura fossimo rimasti alle figure bidimensionali, ricusando la prospettiva di Piero della Francesca. La vecchia lente garantisce all’osservatore comodità, sforzo minimo, potere: perché abbandonarla?”, B. Spinelli, Incapaci di pensare europeo, in “la Stampa”, 7 giugno 2009.
[4] Nella circoscrizione dell’Italia centrale la LN ha conseguito un sorprendente 3% ed è riuscita a eleggere un eurodeputato. Le ambizioni leghiste sul piano nazionale sono ben riassunte nell’intervista rilasciata da Borghezio in M. Cremonesi, “La Lega è cambiata: ora diciamo ‘prima gli italiani’”, in “Corriere della Sera”, 4 giugno 2009.
[5] Il manifesto riprendeva il filone inaugurato con la campagna elettorale per le politiche 2008: in quest’ultimo caso, l’efficace comunicazione politica leghista aveva coniato un manifesto raffigurante un nativo americano che ricordava come si trovasse a vivere nelle riserve per non aver “frenato” in tempo l’immigrazione. Si veda http://www.leganord.org/ilmovimento/manifesti2009.asp
[6] Dal maggio 1994 all’aprile 1996, dal maggio 2001 all’aprile 2006 e dall’aprile 2008.
[7] Ad esempio, l’immigrazione dalla Libia – e in generale quella via mare – presentata dai leghisti come una vera e propria invasione, costituisce solo la minima parte dell’immigrazione clandestina – circa l’8-10%. Il Dossier Caritas-Migrantes 2009, addirittura, stima nell’1% la percentuale di immigrazione clandestina via mare sul totale dei migranti presenti in Italia.
[8] Ed è questo uno dei punti sui quali si registra il malumore della componente di AN nel PDL. Si veda, F. Bei, Troppo cedevoli con Bossi. Pdl, finiani all’attacco, in “la Repubblica”, 9 giugno 2009.
[9] Ovvero, “la coda scodinzola il cane” e non più ragionevolmente il contrario.
[10] “Il nostro Movimento non è contrario all’Europa in sé. Anzi, da un punto di vista puramente teorico, l’Europa potrebbe essere la sintesi ideale per realizzare, in maniera compiuta, il modello federale di unità tra i popoli europei. Contrariamente a questo, è ormai passata nell’opinione pubblica l’idea che la Lega Nord sia da inserire tra i cosiddetti movimenti politici definiti euroscettici”, R. Marraccini, La Lega Nord e l’Europa, in Proposte e Obiettivi, http://www.padaniaoffice.org/pdf/programmi_elezioni_2009/proposte_obiettivi.pdf, p. 60.
[11] http://www.padaniaoffice.org/pdf/home/Punti_programmatici_europee2009.pdf, p. 1.
[12] Famoso lo slogan usato per le Europee 1989: “Più lontani da Roma, più vicini all’Europa”.
[13] http://www.padaniaoffice.org/pdf/home/Punti_programmatici_europee2009.pdf, p. 1.
[14] Lo stesso Bossi ha dichiarato di considerare il voto europeo inutile.
[15] Su “l’Unità” si commentavano i programmi elettorali con lo stile delle pagelle di calcio; l’UDC è “tra i più svogliati nel presentare il tema del programma europeo (…) ha molto poco di europeo, visto che contiene unicamente proposte di intervento in Italia (…) Un programma più da elezioni politiche che da elezioni europee. Fuori tema”, L’Europa fuori dalla campagna per le europee, in “l’Unità”, 30 maggio 2009.
[16] “La carriera di medici e infermieri deve basarsi su un sistema meritocratico che premi i migliori, non chi ha le conoscenze giuste. Per il bene e la salute di tutti vogliamo la gestione delle ASL senza ingerenze della politica”, http://www.udc-italia.it/site_upload/files/2009/FLYER_UDC_2scelto4.pdf.
[17] On. L. Capitanio Santolini, a cura di, Manifesto per l’Europa delle famiglie, http://www.udcitalia.it/site_upload/files/2009/ele_europee_manifesto_euro_fam.pdf.
[18] http://www.pierferdinandocasini.it/2009/06/01/immigrazione-siamo-per-uno-stato-giusto/.
[19] On. L. Capitanio Santolini, a cura di, Manifesto per l’Europa delle famiglie, cit.
[20] 6,51% dei suffragi e cinque parlamentari eletti a Strasburgo – tra i quali l’ottantunenne De Mita.
[21]http://www.udcitalia.it/?page=front/pageref&pageref=%3C?REF%20type:page;src:giornale;par:rubrica=23%territorio=%idarticolo=11404%container=no;?%3E. Sul rapporto tra PDL e LN Casini ha portato l’esempio francese: “Vi ricordate Chirac con Le Pen? Si rifiutò di fare alleanze con l’estrema destra e questa scomparve. La Lega invece è diventata un partito di lotta e di governo ed ha una posizione di rendita micidiale”, G. Fregonara, intervista a P. F. Casini, Casini: andiamo avanti da soli. Scelte volta per volta, in “Corriere della Sera”, 9 giugno 2009.
[22] Alle precedenti Europee del 2004 aveva ottenuto un modesto 2,14%.
[23] Sul sito dell’IdV dedicato alle Europee troneggia un video di Di Pietro che si apre con la significativa scritta “Unica Opposizione”.
[24] Anche attraverso alcune significative candidature di esponenti culturali della sinistra italiana come il filosofo Gianni Vattimo e lo storico Nicola Tranfaglia.
[25] L. De Magistris, http://www.youtube.com/watch?v=JLiCbHJJtIQ. Per Antonio Di Pietro, “l’Europa è la grande scommessa, un baluardo per il nostro Paese che si ritrova alle prese con una crisi economica di proporzioni immani e con un governo incapace di gestirla”, http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/elezioni/europee/doc/presentazione%20Di%20Pietro%20da%20caricare.pdf
[26] “Tutela dei risparmiatori: Authority di vigilanza europea, su nomina dei Paesi membri, per il controllo e la supervisione dell’operato delle banche, inclusa la Banca Centrale”, http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/elezioni/12punti.php.
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Per Monica Frassoni, eurodeputata uscente con i Verdi e candidata di SeL, “il fatto di essere usciti dal Parlamento europeo è una grave perdita che non possiamo negare né sminuire, soprattutto considerato il quadro uscito dalle elezioni a livello europeo: una forte astensione in molti paesi europei, con la connessa progressione dei partiti euroescettici e di estrema destra”, http://www.sinistraeliberta.it/frassonirendiamo-nostri-temi-vincenti-anche-in-italia/.
[30] Infatti: 1) 1989: PCI e DP; 1994: PDS e RC; 1999: DS, RC e PdCI; 2004: Uniti nell’Ulivo, RC e PdCI; 2009: PD, SeL, RC.
[31] RC aveva fatto dei manifesti nei quali sosteneva che il voto a SeL era un voto “regalato” al PD. Sul sito di SeL si chiedeva a militanti e sostenitori di inviare sms/email tipo ad amici e simpatizzanti apertamente polemici verso PD e RC: “5 risposte a 5 domande (cattive) su Sinistra e Libertà: (…) 3) Pur essendo di sinistra perché dovrei preferirvi al PD? [risposta] Come ormai ampiamente dimostrato la politica seguita dal PD è di rottura con la sinistra (…) 4) Ancora una volta una sinistra divisa tra voi e Rifondazione? [risposta] non si può che rilevare la differenza sostanziale: da un lato un progetto, quello di Sinistra e Libertà che vuole avere un futuro, dall’altro un passato che non va oltre la testimonianza della sua problematica, seppur nobile, identità”, http://www.sinistraeliberta.it/battiquorum/.
[32] F. Amato, Per un’Europa del lavoro e della pace, in www.fabioamato.it.
[33] http://www.unaltraeuropa.eu/programma_unitario_per_le_elezioni_europee.php
[34] Ibidem.
[35] Un’altra Europa è possibile, in http://www.fabioamato.it/?page_id=8.
[36] http://www.sinistraeliberta.it/il-programma/.
[37] Ibidem.
[38] Se invece ci riferiamo ai voti potenziali, PDL e PD hanno ottenuto solo il 38% – 19.615.997 voti su 50.342.153, fonte http://europee.interno.it/.
[39] Solo per citarne alcune: la crisi economica e le possibilità di soluzioni comuni, la questione ambientale, quella energetica, quella democratica, il processo di ratifica del Trattato di Lisbona.
[40] Anzi, nelle elite politiche italiane inizia quasi ad insinuarsi una certa paura nel dichiarare il proprio sostegno al processo d’integrazione europea auspicando un suo ulteriore approfondimento.