Premessa
L’immagine di un Risorgimento elitario, fatto da intellettuali e benestanti senza popolo, è contraddetta dalle ricerche storiche, laddove si suffraga la tesi invece che esso sia stato «un movimento di massa». Non solo vi «hanno preso attivamente parte molte decine di migliaia di persone», ma «altre centinaia di migliaia di persone, spesso vicine a coloro che hanno militato in senso stretto, al Risorgimento hanno guardato con partecipazione, con simpatia sincera o con cauta trepidazione»[1]. Il Risorgimento fu un movimento soprattutto di giovani, borghesi e popolani artigiani, che ritroviamo nei moti e nelle associazioni clandestine, nei circoli urbani e nelle manifestazioni pubbliche. Fu anche il caso di tanti oppositori rinchiusi nelle carceri degli stati preunitari; ai quali non si è riservata forse la invece necessaria attenzione, allo scopo non solo di infrangere la consueta rappresentazione elitaria del Risorgimento ma di intraprendere percorsi di ricerca politico-culturali intesi a discernere la formazione e la diffusione di un linguaggio patriottico. Di esso ci hanno lasciato tracce innumerevoli le memorie come le corrispondenze dei reclusi, coeve e postume; in un crocevia di istanze private e aneliti pubblici che tenevano insieme la dimensione affettiva e familiare con quella sociale e culturale, individuale e di gruppo. Fu il crogiuolo di un ricco repertorio di rappresentazioni e immagini patriottiche, di cui anche il proposto canone letterario risorgimentale non sembra aver tenuto conto nel dovuto modo[2].
Il carcere come luogo del “farsi” del discorso risorgimentale
Le recenti rappresentazioni letterarie ed artistiche del Risorgimento hanno privilegiato il carcere e lo schizzo biografico di figure di detenuti, tra storia e memoria: si pensi al regista Mario Martone, col suo film Noi credevamo[3], oppure ad Ascanio Celestini ed al suo teatro civile, che ha messo in scena la memoria difensiva di un ergastolano muovendo dal ricordo della Repubblica Romana del 1849 e attraverso l’invenzione di un immaginario dialogo con Giuseppe Mazzini[4]. Si valorizza una feconda coniugazione di ambienti e protagonisti: il mondo delle carceri e dei reclusi politici da una parte, dall’altra i percorsi individuali e di gruppo di esemplari figure.
E’ una sensibilità che, rispetto ad un approccio di storia sociale che già ha dato buoni frutti[5] e che è stata rilanciata con un importante lavoro di gruppo[6], la storia culturale della politica deve valorizzare; come è accaduto a proposito dello studio condotto sulla sorte dei soldati dell’ex esercito borbonico rinchiusi come prigionieri nella fortezza di Fenestrelle[7].
Potrebbe essere un approccio fecondo anche nello studio sui reclusi nel tristemente famoso carcere dello Spielberg; per il quale invece si è scelto un pur interessante approccio di storia sociale e sanitaria[8]. L’attenzione al tema delle carceri e dei reclusi politici negli anni preunitari concorre allo sviluppo di studi che indaghino sulla germinazione dei linguaggi patriottico-risorgimentali nel vivo delle linee di tensione esistenti tra la sfera pubblica e la sfera familiare. Può crescere un filone di studi prosopografici ovvero di “biografia collettiva” propedeutici allo svolgimento di studi sulla politica del e nel Risorgimento; valorizzando le corrispondenze personali, la ricostruzione di quelle reti di solidarietà le quali spesso non coincidevano con le strutture organizzative e formalizzate. L’indagine dovrà riguardare le identità di genere[9] e generazionali[10], attraverso cui analizzare la formazione di un diffuso discorso patriottico nell’Italia del Risorgimento e la possibilità di coglierlo nel suo “farsi” in un luogo particolare come le carceri, laddove venivano rinchiusi gli oppositori politici ovvero gli interpreti possibili e potenziali dell’Italia indipendente; ovvero negli spazi mobili degli anni preunitari[11], nei quali identità locali e regionali cominciarono a convivere con l’idea di una penisola tutta liberata dal dominio dello straniero e che potesse divenire una terra di elezione dei diritti di libertà.
Accanto alle rappresentazioni risorgimentali rinvenibili nella letteratura “alta”, sul piano locale e territoriale si possono scoprire molteplici racconti di ambiente carcerario, diari e corrispondenze, così come ricordi e taccuini rimasti spesso nei cassetti degli eredi. Al centro del racconto dei reclusi, che registra uno scivolamento dalla originaria dimensione privata e familiare ad un codice di impegno civile e politico, stanno figure individuali e gruppi con forti connotazioni sia sociali (di formazione e cultura, status e ascendenza) che territoriali (il vincolo nel nome della città d’origine, della comunità e della regione); sono uomini (poche sembrano le donne) che entrarono in prigione in quanto oppositori ma con percorsi individuali anche assai diversi e che ne sarebbero usciti con una sentimento di solidale patriottismo che avrebbe concorso ad arricchire il discorso risorgimentale sulla nazione; a partire dalla notorietà assicurata loro nella comunità dalla detenzione e dalla legittimazione politica che ne sarebbe derivata, nonché grazie ad un bisogno di “dare testimonianza” che avrebbe rafforzato il rapporto tra le generazioni risorgimentali e sedimentato, forse più di altre rappresentazioni letterarie più elitarie, un pervasivo senso comune sulla percezione del processo di formazione dell’Italia unita.
Le carceri del Papa: i reclusi politici di Civita Castellana
Negli studi sulle dinamiche e sulle trasformazioni degli equilibri tra i poteri dello Stato Pontifico, la storiografia ha da tempo considerato il ruolo delle carceri. L’approccio è stato di storia sociale[12], con una attenzione verso le istituzioni e con un allargamento significativo agli studi di genere[13]. Manca stranamente una mirata indagine sul tema dei reclusi per motivi politici: le carceri e le condizioni della prigionia, le figure degli oppositori, le loro produzioni autobiografiche e culturali (tra memorie e diari, epistolari e carteggi, libri di impegno civile). Negli anni decisivi del Risorgimento, rispetto alla fitta rete degli istituti di pena dislocati nello Stato Pontificio, le autorità individuarono nel forte Sangallo di Civita Castellana il luogo in cui concentrare gli oppositori politici ritenuti più pericolosi. Da allora, dalle diverse carceri dello Stato – Bologna, Imola, Faenza, Ravenna, Cesena, Pesaro, San Leo, Ancona, Loreto, Recanati, Macerata, Tolentino, Foligno, Spoleto, Terni, Narni e altri ancora – lungo un trentennio i condannati per cause politiche sarebbero stati instradati verso Civita; anche da Castel S. Angelo, laddove solitamente andavano in precedenza i carcerati “illustri”, mentre dopo il 1849, a partire dai condannati per aver partecipato alla Repubblica Romana, i reclusi sarebbero stati dirottati anche al carcere di Paliano[14].
Il Forte Sangallo di Civita fu utilizzato come carcere dal 1750 circa al 1870; tra il 1819 e il 1846 lo Stato Pontificio lo trasformò però nel carcere per i reclusi politici più pericolosi. L’archeologo inglese George Dennis lo definì la «Bastiglia dello Stato Pontificio»[15], mentre in precedenza Piero Zama, uno dei principali studiosi del Risorgimento, ne avrebbe parlato come dello «Spielberg dolorosissimo ma non feroce dello Stato Pontificio»[16]. In realtà manchiamo di studi che non solo ne valorizzino le specificità nel contesto dello Stato Pontificio ma che ne facciano un osservatorio privilegiato a proposito di un’indagine ancor più estesa sulla formazione e sulla diffusione del discorso risorgimentale.
Fatti salvi alcuni lavori del primo Novecento[17], occorre ripartire da uno studio di Carlo Ghisalberti del 1940, ancor oggi ricco di indicazioni preziose per possibili percorsi di ricerca[18]. Egli prendeva lo spunto dalle Memorie di Pacifico Giulini, un marchigiano di Fano (1788- 1850 circa) rinchiuso nel carcere di Civita dal 1832 al 1841. Ghisalberti pubblicava in appendice le sue Memorie sulla prima, seconda e terza reclusione politica nel forte di Civita Castellana che hanno origine dagli 11 febbraio 1819. Esse riportavano elenchi e informazioni dettagliate su ciascuno dei reclusi, distinguendo tra tre periodi: dall’11 febbraio 1819 al marzo 1831, con riguardo ai partecipanti alle cospirazioni carbonare; dal maggio 1831 al marzo 1837, informando sui condannati per i moti del 1831 e per le prime azioni mazziniane; dal marzo 1837 al 25 giugno 1845, soffermandosi sui mazziniani coinvolti nei diversi moti patriottici. Dalle Memorie di Giulini egli traeva lo spunto per dettare le linee di una ricerca ancora tutta da fare, stimolante quanto sorprendentemente felice nell’anticipare metodologie di ricerca con cui anche le nuove generazioni di studiosi possono dialogare con profitto. Come quando egli, riallacciandosi agli studi di Michele Rosi e insistendo sulla «partecipazione popolare del Risorgimento», proprio a partire dalla documentazione messa a disposizione dalle Memorie di Giulini sui reclusi di Civita, annotava:
C’è la base per uno studio, che una volta o l’altra bisognerà pur fare, sulla partecipazione delle varie classi sociali ai movimenti politici nello Stato Romano. […]
Il Giulini ci offre una descrizione del Forte di Civita Castellana e, per ogni reclusione, “memorie” particolari sulle vicende più caratteristiche e sul trattamento dei prigionieri. Le prime due reclusioni hanno un correo di tabelle illustrative assai particolareggiate, che mancano (tranne quella dei morti in prigionia), per la terza […]
[…] tutti i dati desiderabili per ogni ricerca del genere vi si trovano: patria, professione, causa di appartenenza, giorno dell’arresto, anni di condanna, tribunale giudicante, grazie ottenute, principio della condanna, data della liberazione […][19].
Si insisteva sulla natura popolare del movimento patriottico, soprattutto nei territori tra Bologna, la Romagna e le Marche: «più che altrove […] le schiere liberali non sono alimentate soltanto dalla borghesia, ma accolgono uomini di ogni ceto e di ogni provenienza sociale, almeno fino al 1845»[20]. In particolare Ghisalberti ricordava che proprio ad alcuni reclusi politici romagnoli si dovessero volumi importanti di ricordi e memorie: in primo luogo i cesenati Vincenzo Fattiboni[21] ed Eduardo Fabbri[22], cui si deve un memoriale meritevole di maggior fortuna e che davvero non ha molto da invidiare alle Mie prigioni di Silvio Pellico. Si aggiunga il più noto tra tutti, il meldolese Felice Orsini[23], futuro attentatore alla vita dell’Imperatore francese Napoleone III: ma si potrebbe dire anche del ravennate Primo Uccellini[24] e ancora del cesenate Federico Comandini[25].
Ricerca storica e teatro civile
Sussistono dunque ottime premesse non solo per rilanciare l’attenzione storiografica sul tema dei reclusi politici nel farsi del discorso risorgimentale – un lavoro che richiederà i tempi lunghi dello studio -, ma anche per promuovere la coniugazione tra i percorsi avviati di una ricerca e la divulgazione storica, attraverso una forma di teatro civile laddove l’utilizzo delle fonti di prima mano risulti comunque intrinseco alla pur necessaria spettacolarizzazione di un racconto delle vicende storiche. E’ quanto si è tentato di fare proprio a Civita Castellana, sotto gli auspici dell’Assessore alla Cultura Giancarlo Contessa e con la regia del Centro Studi sull’Europa Mediterranea[26], a vantaggio sia dei cittadini sia degli studenti delle scuole superiori, allo stesso tempo spettatori e protagonisti della messa in scena di letture storiche. Ciò è avvenuto inoltre in due successive occasioni, in entrambi i casi presso la Sala Cicuti, il 5 e 7 novembre 2012, con una lettura teatralizzata di fonti archivistiche nonché di memorie e lettere di reclusi politici rinchiusi al forte Sangallo negli anni del Risorgimento.
L’universo carcerario, sul piano sia sociale che culturale e politico, ha offerto la possibilità di allestire un suggestivo quanto sobrio scenario grazie a cui, attraverso le memorie di reclusi provenienti da diverse località dello Stato Pontificio, rappresentare la formazione e la codificazione del linguaggio patriottico che concorse a corroborare l’idea di nazione risorgimentale. Sono stati privilegiati gli scritti (epistolari, diari, memorie, ecc.) dei carcerati marchigiani e romagnoli, che già Ghisalberti, come si è detto, aveva indicato come le fonti più significative per un’indagine sociale e culturale sul milieu carcerario e sulla formazione di un linguaggio patriottico-risorgimentale. In tal modo, attraverso la teatralizzazione di un percorso tra storia e memoria fortemente intergenerazionale (di padre in figlio, tra i protagonisti delle lotte risorgimentali e i discendenti che ne ravvivano la memoria), grazie a cui far rivivere il luogo del Forte Sangallo e le vicende dei suoi poco fortunati ospiti, ricreando il contesto di un tempo storico apparentemente lontano ma ancora così presente tanto nella memoria pubblica quanto nella rivisitazione della storia nazionale.
[1] A. M. Banti e P. Ginsborg, Per una nuova storia del Risorgimento, in Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgimento, A cura di A. M. Banti e P. Ginsborg, Torino 2007, pp. XXIII-XXIV.
[2] A. M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Torino 2006.
[3] M. Martone, Noi credevamo, Bompiani, Milano 2010. Trattasi della sceneggiatura dell’omonimo film, scritta insieme a Giancarlo de Cataldo. Di quest’ultimo si veda il romanzo storico I traditori, Torino 2010, anch’esso prodigo di rinvii alle carceri (inglesi nello specifico) e a figure di detenuti.
[4] A. Celestini, Pro patria, Einaudi, Torino 2011. Con il sottotiolo Senza prigioni, senza processi, trattasi di una produzione del Teatro Stabile dell’Umbria, con prima assoluta il 6 ottobre 2011 all’Auditorium del Parco della Musica di Roma.
[5] Cfr. A. Capelli, La buona compagnia. Utopia e realtà carceraria nell’Italia del Risorgimento, Milano 1988.
[6] Cfr. L. Antonielli (a cura di), Carceri, carcerieri e carcerati. Dall’Antico regime all’Ottocento, Soveria Mannelli 2006.
[7] Cfr. A. Barbero, I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, Roma-Bari 2012.
[8] Cfr. D. Felisati, I dannati dello Spielberg. Un’analisi storico-sanitaria, Milano 2011. Il lavoro é costruito sulle fonti d’archivio del carcere di Brno, riprodotte per la parte italiana presso l’Archivio di Stato di Rovigo.
[9] Cfr. S. Soldani: Il Risorgimento delle donne, in Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgimento cit., pp. 183-224.
[10] Cfr. A. Arisi Rota, I piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani, Bologna 2010.
[11] Cfr. per esempio M. Meriggi, Sui confini nell’Italia preunitaria, in Confini. Costruzioni, attraversamenti, rappresentazioni, a cura di S. Salvatici, Soveria Mannelli 2005, pp. 37-53.
[12] Cfr. per esempio M. Di Sivo, Sulle carceri dei tribunali penali a Roma, Campidoglio e Tor di Nona, in L. Antonielli (a cura di), op. cit., pp. 9-22.
[13] Cfr. per esempio, I conservatori della virtù. Donne recluse nella Roma dei Papi, Roma-Bari 1994. Di recente, Chiara Lucrezio Monticelli, La nascita del carcere femminile a Roma tra XVIII e XIX secolo, in «Studi storici», n. 2, 2007, pp. 447-476.
[14] Per l’elenco di circa tremila reclusi nel carcere di Paliano, stilato da Cesare Mazzoni (tra gli arrestati nel novembre 1853), cfr. A. Gennarelli, Il Governo Pontificio e lo Stato Romano, vol. 2, Prato 1860, pp. LXXII-CXI.
[15] B. Barbini, La Bastiglia dello Stato Pontificio. Vicende e personaggi nella storia del forte di Civita Castellana nel Risorgimento, in «Biblioteca e Società», 1997, pp. 32-39.
[16] P. Zama, La Marcia su Roma del 1831. Il generale Sercognani, II edizione, Faenza 1976, p. 139.
[17] Si veda M. Todeschini, Prigionieri politici a Civita Castellana, in «Archivio emiliano del Risorgimento nazionale», a. II (1908), pp. 326-328; egli fu il primo recluso – dal 1831 al 1835 – ad aver lasciato una ricca documentazione su Civita. Si aggiunga G. Spadoni, I martiri marchigiani del Forte di Civita Castellana, in «Archivio marchigiano del Risorgimento», a. I (1906), fasc. I, pp. 33-42 : uno studio purtroppo lasciato incompiuto.
[18] A. M. Ghisalberti, I reclusi di Civita nelle “Memorie” di Pacifico Giulini, in «Rassegna Storica del Risorgimento», a. XXVII, fasc. VII-VIII, luglio-agosto 1940, pp. 707-754 e fasc. IX-X, settembre-ottobre 1940, 829-895.
[19] Ivi, p. 712.
[20] Ivi, p. 711.
[21] Z. Fattiboni, Memorie storico-biografiche al padre suo dedicate, 3 voll., Cesena 1885.
[22] E. Fabbri, Sei anni e due mesi della mia vita. Memorie e documenti inediti, a cura di N. Trovanelli, Roma 1915.
[23] Memorie politiche di Felice Orsini scritte da lui medesimo e dedicate alla gioventù italiana, terza edizione, Torino 1858.
[24] P. Uccellini, Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano pubblicate con annotazioni storiche di T. Casini, lighieri”, Roma 1898.
[25] A. A. Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di Federico Comandini e di altri patrioti del tempo (1831-1857), Bologna 1899.
[26] Con la cura, la regia e la presenza in scena di Gilda Nicolai e del sottoscritto.