Sull’uso politico del racconto storico nel linguaggio di Silvio Berlusconi

E’ stato ricordato come nel caso dell’Italia repubblicana ed anche con il venire meno della Guerra fredda, in ragione dell’eredità di uno stretto rapporto tra i partiti politici e gli storici dell’età contemporanea, ci sia una correlazione altrettanto marcata tra il passato politico e il tempo presente[1]. Il tema è suggestivo e torna sovente. Come nel caso di un piccolo volume di Antonio Gibelli, pubblicato in prima battuta nel 2010 e poco dopo in una seconda ed accresciuta edizione: Berlusconi passato alla storia[2]. Esso si presta ad una duplice lettura. Da una parte, ci si interroga sulla «capacità di berlusconiana di dare l’impronta» alla sua epoca, ritenendo plausibile analogie con altre età del passato (“giolittiana” per esempio, “fascista” perfino[3], e via dicendo). Dall’altra, proprio nel capitolo finale aggiuntivo, titolato Colpi di coda, la presunta (e dall’autore auspicata) uscita di scena di Berlusconi si prestava ad altrettante analogie con altre storiche cadute di regime ovvero di transizioni di potere. Le cose sono poi andate proprio così; sebbene non si possa capire ancora se davvero si tratti di una definitiva “uscita di scena” e se le analogie, come alludeva lo stesso Gibelli, possano andare al 25 luglio, al 25 aprile o all’8 settembre: «metafore che alludono non alla fine di un governo ma al crollo di un regime e – appunto- alla fine di un epoca»[4].

Che sia davvero il tempo di un passaggio di Berlusconi dalla politica alla storia del tempo presente[5], lo si vedrà. Intanto è opportuno osservare un apparente paradosso: per quanto abbondi la letteratura su Berlusconi e si addivenga ad una sua inscrizione nelle diverse epoche della storia nazionale, anche nel caso di questo libro di Gibelli manchiamo di una riflessione sull’uso del passato storico nel linguaggio berlusconiano e più in generale nel quadro delle trasformazioni dei linguaggi politici tra i due secoli[6]. Eppure trattasi di un tema di forte interesse, in relazione sia ai tratti identitari del “berlusconismo” sul piano politico- culturale e istituzionale[7] sia all’impatto da esso avuto nelle trasformazioni della comunicazione politica[8]. In entrambi i casi, con influenze significative sul modo di pensare e di rappresentare le idee di nazione e di Stato, la stessa identità culturale e morale degli italiani, il processo di deistituzionalizzazione del paese nel ventennio berlusconiano[9].

Sappiamo che Berlusconi ha modificato la comunicazione, in primo luogo, su un piano, pratico; tramite l’assenza di un partito tradizionale, l’uso innovativo dei media, le tecniche di marketing, la confezione di un “prodotto” politico. La trasformazione è avvenuta altresì sul terreno simbolico, nel senso che per giungere a capo del governo Berlusconi ha dovuto e saputo coinvolgere la parte maggioritaria della società italiana. A tale scopo, a Berlusconi e al suo movimento-partito[10], era necessario delegittimare e capovolgere gli schemi di comportamento precedenti ed ancor prima i codici di comunicazione che raccontavano il passato nazionale, l’identità degli Italiani nel rapporto tra storia e memoria pubblica. Berlusconi ha percepito il senso della trasformazione storica e il modo di inserirsi utilmente in essa. Di qui la rivendicazione e l’interpretazione di una discontinuità con il passato che fosse anche una soluzione di continuità con il racconto della storia nazionale, soprattutto fascista e repubblicana, nel discorso politico; una modalità comunicativa tra l’altro volta a delegittimare la classe dirigente legata ai partiti politici che la Repubblica avevano dapprima fondato e consolidato, ma in seguito contribuito (con gradi diversi di responsabilità) anche a rendere quasi ingovernabile.

Sappiamo inoltre quanto rilievo ebbe per Berlusconi e la sua “discesa in campo” (nel 1994) l’utilizzo delle televisioni, i cui linguaggi, tra esigenze dell’Auditel e semplificazione del discorso pubblico[11], seppero veicolare al meglio i temi di un’antipolitica e di un populismo risultati vincenti nella crisi d’identità nazionale emersa negli anni di fine secolo[12]. In quel contesto, in primo luogo nelle televisioni (pubbliche Rai e berlusconiane Fininvest) maturò la stessa trasformazione del racconto storico rispetto all’originario approccio didattico-pedagogico proprio di una prima fase televisiva[13]. Le esigenze del mercato e della spettacolarizzazione hanno portato ad una realtà televisiva laddove «le verità storiche valgono nell’istante in cui vengono pronunciate, si riferiscono esclusivamente a quella trasmissione, pronte a essere smentite in quelle successive». Tende a prevalere (come nel modello della trasmissione di Bruno Vespa Porta a Porta) «una visione “privatistica” della storia, rivissuta attraverso il familismo, l’aneddoto, il dettaglio insignificante». Ecco perché «il revisionismo tende a privilegiare la comunicazione televisiva rispetto ai libri puntando alla costruzione di un senso comune che prescinde dalla conoscenza storica»; laddove la storia diviene «un racconto che deliberatamente ignora ogni riferimento alle fonti archivistiche; la rinuncia a ogni obbligo di provare le proprie argomentazioni interpretative»[14]. Del resto, molte delle tematiche del cosiddetto “revisionismo”, fin dagli anni Ottanta, furono anticipate prima dalla televisione che da seri libri di storia: l’edulcorazione del ventennio fascista e la privatizzazione in chiave familiare della dittatura mussoliniana, la Resistenza divenuta semplicemente e tout court “guerra civile”, la retorica sui “ragazzi di Salò”, la demonizzazione dei partiti politici e la retorica della “partitocrazia”, la banalizzazione della Costituzione, ecc..

Proprio in relazione al fatto che al berlusconismo si assegna ormai la capacità di aver improntato un’epoca della storia nazionale, è opportuno allargare l’indagine sui suoi linguaggi oltre quelli più appariscenti e già individuati: in primo luogo, il codice di comunicazione desunto dal gergo sportivo[15]. In questa occasione basti anticipare che il percorso di ricerca contempla una doppia chiave di lettura: la capacità di Berlusconi e del suo entourage di utilizzare in modo strumentale alcuni fattori culturali propri della crisi della società italiana, nonché la legittimazione di un racconto storico reso indistinto e sciolto da un forte nesso con le istituzioni democratiche e repubblicane[16].

 


[1] G. Orsina, The Republic after Berlusconi: Some reflections on historiography, politics and the political use of history in post-1994 Italy, in “Modern Italy “, 1 (2010), pp. 77-92.

[2] A. Gibelli, Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria, Roma, Donzelli, 2011 (nuova edizione).

[3] Era la tesi di fondo del volume di G. Santomassimo (a cura di), La notte della democrazia italiana. Dal regime fascista al governo Berlusconi, Milano, Il Saggiatore, 2003.

[4] A. Gibelli, Berlusconi passato alla storia, cit., p. 129.

[5] Cfr. in tal senso L. Cafagna, Come lo giudicherà la storia?, in “Limes”, 6, 2010, pp. 29-32.

[6] Cfr. R. Gualdo e M. V. Dell’Anna, La faconda Repubblica. La lingua della politica in Italia (1992-2004), Lecce, Manni, 2004.

[7] Cfr. P. Ginsborg e E. Asquer (a cura di), Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere, Roma-Bari, Laterza, 2011.

[8] Per la prima fase, cfr. F: Tuccari (a cura di), Il governo Berlusconi. Le parole, i fatti i rischi, Roma-Bari, Laterza, 2003. Si veda ora G. Zagrebelski, La neolingua dell’età berlusconiana, in P. Ginsborg e E. Asquer (a cura di), Berlusconismo, cit., pp. 223-234.

[9] Sul piano sociologico, cfr. P. Ceri, Gli italiani spiegati da Berlusconi, Roma-Bari, Laterza, 2011.

[10] C. Moroni, Da Forza Italia al Popolo della Libertà, Roma, Carocci, 2008.

[11] Cfr. C. A. Merletti, La Repubblica dei media. L’Italia dal politichese alla politica iperreale, Bologna, il Mulino, 2010, pp. 101 ss.

[12] Cfr. A. Tonelli, Stato spettacolo. Pubblico e privato dagli anni ’80 a oggi, Milano, Bruno Mondadori, 2010, pp. 117-125.

[13] Cfr. per esempio F. Anania, La Rai scrive la storia dell’Italia repubblicana, in “Memoria e Ricerca”, V, n. 10, dicembre 1997, pp. 71-94.

[14] G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 115.

[15] Cfr. N. Pozzo e P. Russo, Berlusconi and the other Matters: the era of Football Politics, in “Journal of Modern Italian Studies”, 3, 2000, pp. 348-70.

[16] Utile potrà essere il volume di S. Rizzo, G. A. Stella, Così parlò il cavaliere. Nuovo dizionario del berlusconismo spinto, Milano, Rizzoli, 2011.

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