“Nulla può dare il convincimento e una visione per quanto minima dell’avvenimento qualunque esso sia, come una fotografia ben eseguita. È questo un vero documento al quale quando gli archivi fotografici saranno organizzati, i posteri potranno ricorrere per impararvi non la storia narrata, che si può sempre ritenere in tutto o in parte non vera o esagerata, ma la storia fotografica che non mente perchè è luce che l’ha scritta sulla lastra”. Così alla fine dell’Ottocento scriveva R. Namias[1]. L’idea di un uso privilegiato del documento fotografico come strumento base di conoscenza del vicino passato si coniugava con l’appello che il “British journal of Photography” lanciava dalle sue pagine nel 1888, quando auspicava la creazione di un grande archivio storico della fotografia, nella certezza che le immagini sarebbero state i tasselli più necessari e preziosi entro un secolo per rappresentare gli avvenimenti e per interpretarli. Occorrerà più di un secolo per riconoscere la fotografia come documento storico e gli archivi fotografici come fonti storiche autonome[2].
Ma l’impatto di questa invenzione ebbe ripercussioni anche nel mondo dell’arte. Walter Benjamin nel 1931 scrive: “nel momento in cui Daguerre era riuscito a fissare le immagini nella camera oscura, i pittori erano stati congedati, a questo punto, dal tecnico”[3].
In seguito, la diffusione della fotografia amatoriale legata alla semplificazione della tecnica porterà con sé uno scadimento complessivo della qualità estetica e contenutistica delle immagini fotografiche. Ma proprio questa facilità d’uso banalizzò l’atto della ripresa fotografica ed oggi la percentuale di immagini significative tra i miliardi di fotografie realizzate in tutto il mondo è probabilmente molto inferiore a quella dei primi decenni. Selezionare con metodo le immagini che vale la pena di conservare e delle quali occuparsi diventa oggi la parte più difficile del lavoro dello studioso, del conservatore e dell’archivista[4].
Certamente per il suo riconoscimento quale documento affidabile la fotografia necessita di elementi di corredo affidabili che contestualizzino il complesso delle immagini. Molte delle operazioni necessarie allo studio dei materiali fotografici (darne una datazione, definirne la tecnica, o attribuirne l’autorialità) sfidano le competenze storico-critiche maturate dal catalogatore. Tra queste la definizione del soggetto è uno dei momenti cruciali più complessi. Non si tratta infatti solo di descrivere banalmente ciò che si trova davanti ai nostri occhi, ma significa riuscire a darne una corretta lettura[5]. Lo storico che voglia utilizzare la fonte fotografica deve porsi le stesse domande che si pone quando analizza qualsiasi altro tipo di fonte[6]: siamo di fronte a una fonte attendibile? Chi ha prodotto la fotografia? Cosa ci comunica l’immagine? In che contesto è stata fatta circolare? Che è come affermare che la conoscenza di un singolo documento non sempre si rivela determinante per lo storico, in particolare per quello contemporaneo, come ha notato Paola Carucci ne Il documento contemporaneo[7]. Ci sono numerosi aspetti che rendono la fotografia diversa, e in qualche modo più difficile da utilizzare come fonte storica. Uno dei limiti più forti, tanto più oggi per le immagini native digitali, è il fatto che, ad eccezione di pochi archivi fotografici, spesso le fotografie non sono dotate di informazioni riguardanti l’autore, il contesto in cui la fotografia è stata scattata, spesso la data e il luogo dello scatto, informazioni che sono invece spesso disponibili per altre fonti[8].
Gli archivi fotografici sono composti generalmente da una grande quantità di immagini (negativi, positivi, dagherrotipi, carte salate, diapositive, etc.) eseguiti da un unico autore o da autori diversi e spesso anche da attrezzature fotografiche, inventari, registri, diari, opuscoli, etc. Molto spesso le fotografie sono ordinate secondo criteri diversi, elaborati o dall’ente autore o dall’Istituzione che lo conserva o dall’autore/fotografo, se appartengono ad uno studio fotografico privato, o dal collezionista, se si tratta di una raccolta privata. Rispettare l’ordinamento di un archivio fotografico significa rispettarne la storia, conoscere i mutamenti e l’evolversi anche del suo utilizzo nel tempo. A tale scopo importante è la rilevazione dei seguenti dati:
» Paternità dell’immagine: chi è l’autore, se sia o meno conosciuto in ambito locale, nazionale o internazionale;
»Epoca in cui la fotografia è stata realizzata: fotografie del XX secolo hanno valore intrinseco al di là del soggetto raffigurato;
»Valore tecnico e qualità dell’immagine realizzata: quale procedimento è stato utilizzato;
»Unicità: se sono presenti altre copie oppure è l’unico esemplare esistente;
»Valore storico e documentario: quale importanza abbia la fotografia a livello storico;
»Stato di conservazione: qual è il livello di leggibilità di un opera, se sia necessario un restauro;
»Esistenza dei diritti d’autore o di proprietà: in genere acquisendo delle fotografie si acquistano anche i diritti d’autore di quest’ultime, ma bisogna sempre accertarsi di questo per liberare le fotografie da eventuali restrizioni previste dalla legge sul diritto d’autore in caso di utilizzo dell’opera[9].
Nel 1999, anno in cui il Testo Unico in materia di Beni Culturali e Ambientali riconosce la fotografia come bene culturale e oggetto di tutela, viene pubblicata dall’ ICCD (Istituto per il Catalogo e la Documentazione) e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la scheda”F” per la catalogazione delle fotografie intese come bene artistico e storico. Questa si attiene (eccetto alcuni campi costruiti ad hoc per la descrizione dell’immagine fotografica) al modello informatico delle schede già utilizzate per la descrizione degli altri beni (scheda AO-D-N, S-MI ecc.) e conserva la stessa denominazione, lo stesso acronimo e la stessa struttura normativa per i paragrafi, i campi e sottocampi già esistenti in altri modelli di scheda. La scheda “F” presenta una struttura molto complessa che permette una dettagliata catalogazione del materiale fotografico a tre differenti livelli di approfondimento che vanno dal livello inventariale a quello di catalogazione[10]; è composta da 79 campi dei quali 23 semplici e 56 strutturati in 246 sottocampi per un totale di 269 voci per la compilazione[11].
L’introduzione delle tecnologie digitali e il loro utilizzo anche nel settore degli studi storico-fotografici stanno offrendo da qualche anno numerose e vantaggiose possibilità ai fini della conoscenza, dell’archiviazione e catalogazione, della conservazione, consultazione, divulgazione e della valorizzazione in genere del patrimonio fotografico conservato negli archivi, nelle biblioteche, nei musei e in varie altre istituzioni, sia pubbliche che private. Tuttavia, le nuove tecnologie, che senza dubbio costituiscono un potenziamento e un’implementazione di aspettative culturali, oltre che un’accelerazione nei ritmi della ricerca e una facilità negli scambi, impongono agli operatori una riflessione sull’insieme delle problematiche culturali e metodologiche che la riproduzione/documentazione in formato digitale dei materiali conservati negli archivi e nelle collezioni fotografiche pone, sia ai responsabili che agli utenti delle immagini[12]. E’ quindi necessario individuare ed enucleare, attraverso un’attenta e sistematica attività di ricerca e catalogazione tutti gli elementi del contesto, accompagnata ovviamente da una strategia conservativa che preveda, a seconda dei casi, anche gli opportuni interventi di restauro, da quelli fisici e oggettuali, a quelli culturali dell’epoca in cui le immagini sono state prodotte, da quelli biografici degli autori a quelli della fortuna editoriale e collezionistica delle immagini stesse, per ricollocare l’opera (la fotografia analogica,) nell’ambito della tradizione e riconoscerne così il contributo settoriale nella più generale storia della cultura e dell’espressione[13].
La definizione di uno specifico campo scientificamente inteso per la conservazione e il restauro della fotografia è il prodotto di una riflessione piuttosto recente, legata al dibattito concernente il riconoscimento dell’autonomia del linguaggio fotografico e dello status della fotografia considerata come bene culturale ‘unico e insostituibile’. Al confine tra arte e industria, la fotografia ha sempre avuto delle difficoltà a essere accettata come forma d’arte a pieno titolo.
E’ il 1966 quando Cesare Brandi, uno dei massimi teorici del restauro, pubblica le sue riflessioni sulla fotografia in uno scritto intitolato “La fotografia, come sia da considerare”[14]. Egli sostiene che la specificità dell’opera d’arte sta nell’essere originata da un processo creativo suddiviso in due fasi: la costituzione dell’oggetto e la formulazione dell’immagine. Nonostante un parallelismo della fase iniziale tra pittura e fotografia, a quest’ultima mancherebbe però la seconda ed essenziale fase del processo creativo[15]. Alla luce di ciò si può ben comprendere il motivo per cui in Italia, Paese di grandi tradizioni nel campo dell’arte e del restauro, si sia arrivati solo oggi, e non ancora pienamente, all’inserimento tra le altre discipline di conservazione e restauro anche di quella riguardante i materiali fotografici.
Conservare anche attraverso la digitalizzazione[16], poiché consente di limitare la manipolazione diretta degli originali, purchè le massicce campagne di digitalizzazione degli archivi e dei fondi fotografici siano accompagnate, e precedute, da altrettanto importanti campagne di catalogazione e da mirati e specifici interventi conservativi, per evitare il pericolo (mai del tutto superato, anche a fronte di quanto sancito ormai dalla legislazione vigente nel settore dei Beni culturali) di riconsiderare la fotografia unicamente per i suoi elementi referenziali, e non per il complesso di caratteristiche fisico-oggettive e di tradizioni linguistico-espressive che insieme le garantiscono quello status di “bene culturale” in quanto “testimonianza avente valore di civiltà”.
Il digitale se da una parte porta vantaggi (migliore fruizione, accelerazione del lavoro di riordino ecc.), dall’ altro porta con sè problemi che non possono essere trascurati primo fra tutti quello della conservazione nel tempo degli strumenti e dei prodotti digitali: “la possibilità di conservare nel tempo risorse realisticamente affidabili è da ritenere infatti la prima garanzia qualitativa di qualsiasi progetto digitale, se davvero non si vuol correre il rischio di costruire ed investire sulla sabbia”[17].
[1] La citazione è presa da un intervento di G. Fioravanti, I percorsi formativi per prevenire, conservare, valorizzare il patrimonio fotografico, Bolzano 26-27 maggio 2006.
[2] Questo interesse ha trovato un significativo riscontro sul piano normativo col riconoscimento della fotografia come bene culturale artistico oggetto di tutela col DLGS n. 490 del 1999, art. 3 “ Categorie speciali di beni culturali
[3] W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1956
[4] E. Minervini, Prime proposte per il trattamento del materiale fotografico in ambito archivistico, Milano, Regione Lombardia, 2012, pp. 20-21.
[5] M. Gnocchi, Descrivere un’immagine: la soggettazione della fotografia di argomento scientifico. Il caso studio dell’archivio fotografico storico del civico museo di storia naturale di Milano, www.yumpu.com/it/document/view/33208922/marina-gnocchi-milano-citta-delle-scienze (25 maggio 2015)
[6] Sul rapporto tra storia e fotografia si può leggere il saggio di M. Giordano, Fotografia e storia, in “Studi storici”, 1981, 4.
[7] P. Carucci, Il documento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1987.
[8] E. Bini, La fotografia come fonte storica, www.sissco.it/download/dossiers/elisabetta_bini.doc (25 maggio 2015)
[9] Cfr. S. Berselli, L. Gasparini, L’archivio fotografico, Manuale per la conservazione e la gestione della fotografia antica e moderna, Zanichelli Editore, 2000, pp 14.
[10] Tenuto conto delle diverse esigenze delle varie istituzioni e delle diverse campagne di schedatura, tra questi due livelli ne è previsto uno intermedio che si adatte ai bisogni dei vari enti conservatori.
[11] Cfr. G. Benassati (a cura di), “La fotografia. Manuale di catalogazione”, con una introduzione di Marina Miraglia, Bologna, Grafis 1990.
[12] Sul tema si può: W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [1936], Einaudi, Torino, 1966 (e 1991), P. Galluzzi, Pietro A. Valentino (a cura di), I formati della memoria. Beni culturali e nuove tecnologie alle soglie del terzo millennio, Giunti, Firenze, 1997, B. Lavedrine, Les collections photographiques. Guide de conservation préventive, Paris, Arsag, 2000, M. Miraglia, Fotografia e documentazione: questioni di metodo, in Fototeche e Archivi fotografici. Prospettive di sviluppo e indagine delle raccolte, Atti del Convegno – Prato 1992, a cura di Sauro Lusini, Prato, AFT, 1996, pp. 211-217, L. Scaramella, Fotografia. Storia e riconoscimento dei procedimenti fotografici, Roma, De Luca / ICCD, 1999, Strategie per la fotografia. Incontro degli archivi fotografici, Atti del Convegno, Prato 2000, a cura di S. Lusini e Oriana Goti, Prato, AFT, 2001 (in particolare, i contributi di Fabrizio Celentano, Riproduzione analogica e digitale del materiale d’archivio in rapporto ai problemi di preservazione; Gianna Megli, Digitalizzazione nonostante tutto: il bit come unità di misura tra conservazione e fruizione; Gloria Cirocchi, Le collezioni fotografiche digitalizzate come base da tutelare: verso una politica di conservazione delle risorse digitali, pp. 72-89).
[13] Cfr. M.F. Bonetti, Documentazione e valorizzazione del patrimonio fotografico nell’era digitale,http://lida.uniud.it/seminari/era-digitale (25 maggio 2015).
[14] In Le due vie, 1966; poi in «I problemi di Ulisse», 1967, pp. 25-32.
[15] Cfr. C. Brandi, “le due vie”, Editori La Terza (1966), pp. 141, 156.
[16] Sul tema sono di utile riferimento le Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale fotografico, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ICCU, 2004, www.iccu.sbn.it/upload/documenti/Linee_guida_fotografie.pdf (25 maggio 2015)
, Civita editoriale 2010, pag. 105. Per quanto riguarda i problemi di conservazione delle immagini si è tenuta presente sia l’esperienza del Progetto SEPIA (Safeguarding European Photographic Images for Access http://www.knaw.nl/ecpa/sepia/ ) che quella del progetto ERPANET (http://www.erpanet.org), che riunisce gli enti responsabili della conservazione della memoria (musei, biblioteche ed archivi), industrie di tecnologia informatica e telematica ed altri istituti ed organizzazioni pubblici.