Lavoro e libertà: la sinistra italiana e europea attraverso la biografia di Bruno Trentin

Bruno Trentin, Diario di guerra (settembre-novembre 1943), con una introduzione di Iginio Ariemma e una postfazione di Claudio Pavone, Donzelli, 2008, pp. 226, Euro 16,00.

Bruno Trentin. Dalla guerra partigiana alla Cgil, con due interviste inedite. A cura di Iginio Ariemma e Luisa Bellina, Ediesse, 2008, pp. 290, Euro
15,00

Bruno Trentin. Lavoro e libertà.
Scritti scelti e un dialogo inedito con Vittorio Foa e Andrea Ranieri. A cura di Michel Magno, Ediesse, 2008, pp.358, Euro 16,00.

Introduzione

Nella storia della sinistra italiana e europea la biografia di un leader sindacale e politico come Bruno Trentin può rappresentare un osservatorio davvero speciale sul rapporto tra le generazioni all’interno dell’antifascismo e della resistenza, sul dispiegarsi di una intensa dialettica tra partito e sindacato nel comunismo italiano del secondo dopoguerra, sull’evoluzione europeista della sinistra italiana e sull’elaborazione della sinistra europea nell’età della globalizzazione e del postfordismo.

 

In questo senso, la pubblicazione da parte del gruppo di lavoro formatosi nella Fondazione Giuseppe Di Vittorio per lo studio della figura e dell’opera di Bruno Trentin dei volumi a cura di Iginio Ariemma e Luisa Bellina Bruno Trentin. Dalla guerra partigiana alla Cgil e di Michele Magno Bruno Trentin. Lavoro e Libertà si è recentemente arricchita del Diario di guerra tenuto dal giovane Trentin dal settembre al novembre 1943, ritrovato come la “gemma più preziosa” da Marcelle Padovani sotto la forma di un piccolo quaderno nero nascosto tra pile di vecchi dossier.

Ne emerge in tutta la sua complessità la ricchezza di un percorso umano e politico straordinario, dall’adolescenza vissuta nell’esilio francese della famiglia alle dinamiche della relazioni con il padre Silvio Trentin, dal ritorno in Italia per combattere nella guerra partigiana tra le brigate di Giustizia e Libertà alla scelta di entrare nell’ufficio studi della Cgil di Giuseppe Di Vittorio e di militare nel Partito comunista italiano, dal ruolo svolto nel sindacato alla guida dei lavoratori metalmeccanici nella stagione dei consigli di fabbrica all’assunzione della segreteria confederale con la nascita del sindacato dei diritti, fino all’esperienza di parlamentare europeo nelle file dei Democratici di sinistra.

Senza pretese di completezza, sembra allora possibile delineare i passaggi fondamentali della biografia di Bruno Trentin, per cercare di rintracciare alcuni filoni di ricerca suscettibili di essere approfonditi sulla base della documentazione che il gruppo di lavoro della Fondazione di Vittorio sottoporrà progressivamente all’attenzione degli storici, anche al fine di collocare organicamente la figura di Trentin nella cornice degli studi sulla sinistra italiana ed europea e di rilanciare nel circuito della discussione pubblica le sue analisi di fondo sull’esigenza di un forte impegno dei partiti e dei sindacati della sinistra per la costruzione dell’Europa politica e sociale.

1. La lezione antifascista di Silvio Trentin tra conflitto generazionale e comune guerra partigiana

Per riprendere le suggestioni delle interviste rilasciate da Bruno Trentin a Franco Giraldi, Giulia Albanese e Massimo Traverso e le testimonianze di Franca e Giorgio Trentin contenute nel volume curato da Iginio Ariemma e Luisa Bellina, la lezione antifascista di Silvio Trentin e la ribellione nei confronti del padre scandiscono l’adolescenza di Bruno, chiamato a conquistare la sua identità personale nell’esilio francese della famiglia Trentin.

Dopo la nascita nel sud della Francia nel dicembre 1926, in seguito al rifiuto del padre di sottoscrivere il giuramento di fedeltà allo Stato e di abbandonare la cattedra di Diritto pubblico dell’Università di Venezia, l’adolescenza di Bruno è contraddistinta da un forte spirito di ribellione e dalla tenace ricerca di una identità altra rispetto a quella del padre, impegnato nella cospirazione antifascista nel movimento Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli.

Per il più piccolo dei ragazzi Trentin gli anni dell’esilio rappresentano la sperimentazione di una voglia irrefrenabile di libertà, con la partecipazione a bande di adolescenti con “rischi delinquenziali, sia pure nell’ambito della microcriminalità”, le prime esperienze indirette di lotta politica con gli scontri per il Fronte Popolare a Tolosa nel 1934-1935 “vissuti da ragazzo di strada francese”, la scoperta dell’anarchismo di Kropotkin, l’incontro con l’ eroe della guerra di Spagna Horace Torrubia, e l’organizzazione a solo quindici anni di un gruppo giovanile clandestino di tendenze anarchiche nella Francia di Vichy.

Mentre nell’ottobre 1941 è testimone della firma del Patto di Tolosa per l’unione antifascista tra il Partito d’azione, il Partito comunista e il Partito socialista, sottoscritto da Silvio Trentin, Emilio Lusso e Giorgio Amendola, e nell’estate 1942 il padre è tra i primi a promuovere con il movimento Libèrer et Fédérer la resistenza armata all’occupazione nazista della Francia, l’arresto nell’autunno 1942 per attività sovversiva rappresenta per il giovane Bruno un tornante decisivo per l’inizio di un ritrovato rapporto con il padre. Lo schiaffo e le parole sussurrate dalla madre in guardina “Se fai il nome di tuo padre ti ammazzo”, hanno l’effetto di ristabilire all’indomani della sua fuga da un campo di detenzione un dialogo ravvicinato con il padre anche nella sfera politica, in una militanza condivisa nel fronte antifascista su posizioni rispettivamente democratico- socialiste ed anarchiche.

La vera svolta nei rapporti tra i due è tuttavia il viaggio di ritorno in Italia all’indomani della caduta del fascismo, conclusosi nel settembre 1943 con una accoglienza trionfale nella città di Treviso per Silvio Trentin e con il coinvolgimento progressivo del giovane Bruno a fianco del padre nell’ organizzazione delle bande partigiane di Giustizia e Libertà nelle montagne del Veneto. E’ per Bruno Trentin, almeno dal punto di vista personale “il periodo più bello” della sua vita, con un padre pienamente ritrovato come maestro di vita e di lotta politica nel fuoco della resistenza.

Come attesta, emozionando il lettore, il Diario di guerra scritto in lingua francese e corredato da articoli di giornali sull’andamento delle operazioni militari sui fronti del secondo conflitto mondiale, i mesi compresi tra il settembre e il novembre 1943 costituiscono per il giovane Bruno una forte accelerazione nella maturazione della sua visione politica della resistenza italiana, fino alla scelta di prendere parte direttamente alla lotta armata tra le brigate di Giustizia e Libertà.

Aperto dal grido “Allons enfant de la patrie ! C’est la lutte finale” e dall’immagine di un combattente della resistenza francese accompagnata dall’osservazione “Un esercito nuovo, giovane, puro, vendicatore. Quello della liberazione francese!”, il diario testimonia la progressiva connessione sentimentale e politica del giovane Trentin con la storia della nazione italiana filtrata attraverso l’epopea della resistenza europea. Nella guerra partigiana si esprime infatti secondo il giovane Trentin la parte migliore della identità nazionale, mediante il risorgere di “quel popolo che era sul Piave contro l’Austriaco, che era a Vittorio Veneto dopo Caporetto, che era a Guadalajara conto le camicie nere”. Il Popolo italiano del 1848, “quello di Garibaldi e di Manin” viene così ad essere parte integrante di una lotta internazionale contro il nazifascismo, simboleggiata con la stessa intensità dalla resistenza dei militari italiani a Cefalonia e dall’avanzata vittoriosa dell’Armata Rossa da Stalingrado ai fronti di guerra dell’Europa orientale.

Destinato secondo la postfazione di Claudio Pavone ad occupare “un posto particolare” tra i diari e le memorie della Resistenza per “lo slancio e la naturalezza con cui un diciassettenne pienamente convinto della verità dei suoi sentimenti e delle sue idee affronta problemi che ancora oggi fanno discutere gli storici e i politici”, il diario di guerra di Bruno Trentin non può che concludersi con un perentorio “Tempo perduto. Ora all’opra!”, annuncio della partecipazione diretta all’organizzazione delle Brigate partigiane di Giustizia e Libertà.

Arrestato insieme al padre nel novembre 1943, Bruno raccoglie nel gennaio 1944 la dettatura di una Bozza di una Costituzione per il nuovo Stato italiano, testamento politico di Silvio Trentin, ormai prossimo alla morte avvenuta nel marzo 1944. Affidato dal padre alle cure di Leo Valiani, del marzo 1944 all’aprile 1945 Bruno Trentin partecipa alle lotta partigiana prima nelle montagne del Veneto e poi tra i Gap del Partito d’azione nella città di Milano. Per il Partito d’azione è autore insieme Vittorio Foa del proclama per l’insurrezione della città (“La bandiera rossa sventola su Berlino….”), alla quale partecipa al comando della Brigata Rosselli. A riprova del ruolo assunto nella lotta partigiana, il 28 aprile prende la parola al comizio di Piazza del duomo subito dopo Pertini, Longo e Moscatelli.

2. Dalla Cgil di Giuseppe Di Vittorio al sindacato dei consigli

Dirigente del Partito d’azione fino al suo scioglimento nell’ottobre 1947, la militanza di Trentin è contraddistinta sin dai primi anni del secondo dopoguerra da una notevole attenzione alla politica europea e al mondo del lavoro. Assai significativo del suo avvicinamento al movimento operaio è il commento dell’ottobre 1945 al Congresso della sezione italiana del Movimento Federalista Europeo, ritenuto “un fallimento” perché i federalisti continuano la loro “piccola vita di élite, senza contatto con le masse popolari e le loro esperienze”.

Dopo un periodo di studi ad Harvard con Gaetano Salvemini e la laurea presso l’Istituto di Filosofia del Diritto dell’Università di Padova guidato da Norberto Bobbio, nel 1949 l’ingresso nell’ufficio studi della Cgil su proposta di Vittorio Foa e l’iscrizione al Pci avvengono per Bruno Trentin sotto il segno dell’incontro fondamentale con Giuseppe di Vittorio.

Negli scritti scelti da Michele Magno per il volume Lavoro e Libertà, l’esperienza a fianco di Giuseppe Di Vittorio per l’elaborazione del Piano per il Lavoro del 1949, la preparazione del III Congresso della Federazione sindacale mondiale del 1953, il rinnovamento del sindacato dopo la sconfitta alle elezioni delle Commissioni interne alla Fiat nel 1955, lo scontro con il partito nella tempesta dell’invasione sovietica dell’Ungheria dell’autunno 1956 costituiscono per Bruno Trentin il crogiulo nel quale mettere alla prova insieme agli “eretici della Cgil” una visione originale dei compiti del sindacato nello sviluppo economico del paese, in un rapporto dialettico sia con il partito che con la Federazione sindacale mondiale.

Nella Cgil di Agostino Novella, l’impegno di Trentin, chiamato nel 1962 alla guida della Fiom, è volto soprattutto a superare l’analisi più tradizionale del Pci sui ritardi del capitalismo italiano e a promuovere l’unità sindacale mediante una forte presenza dei delegati operai attorno alle tematiche dell’organizzazione del lavoro e dei diritti dei lavoratori dentro e fuori la fabbrica fordista. Dalla relazione su Le dottrine neocapitalistiche e l’ideologa delle forze dominanti nella politica economica italiana, presentata nel 1962 al Convegno dell’Istituto Gramsci sulle Tendenze del capitalismo italiano alle considerazioni retrospettive del 1977 su Economia e politica nelle lotte operaie dell’ultimo decennio, emergono chiaramente alcune linee portanti del pensiero e della battaglia sindacale e politica di Bruno Trentin nel dibattito interno alla sinistra italiana sul miracolo economico dei primi anni sessanta, nella mobilitazione operaia del biennio 1968 – 1969 e nella stagione del sindacato dei consigli.

In polemica con Emilio Sereni e Giorgio Amendola, secondo Trentin le dottrine neocapitalistiche di origini americana sulle relazioni umane nelle fabbriche, sull’economia concertata, sulla programmazione economica nazionale e regionale, diffuse nel dibattito politico italiano dalla Cisl e fatte proprie dal Convegno di San Pellegrino della Democrazia Cristiana, non devono essere considerate una “pura mascheratura” delle contraddizioni del sistema capitalista o una variante del “tradizionale interclassismo cattolico”, ma come il terreno più avanzato di una battaglia decisiva per il governo dello sviluppo e per una politica di piano autenticamente democratica. Compito del movimento operaio deve essere allora “definire più compiutamente il valore e il significato storico che hanno le riforme di struttura in ordine ad un diverso orientamento della democrazia”, oltre ogni “mitizzazione del capitalismo di Stato propria del vecchio riformismo e dell’odierno pensiero radicale” e ogni concezione delle nazionalizzazioni come “obiettivo ideologico, di prefigurazione di una struttura di tipo socialista”. La partita politica con il centrosinistra sulla programmazione economica, il modello di sviluppo e la qualità della democrazia può essere vinta soltanto se fondata su un vasto movimento unitario di controllo operaio sull’organizzazione del lavoro in fabbrica, in grado di investire progressivamente gli squilibri strutturali del capitalismo italiano e innervare così la politica di piano con gli istituti di base di una autentica programmazione democratica.

E questo il nucleo centrale dal quale si svilupperà il sindacato dei consigli e la stagione unitaria della Federazione dei Lavoratori metalmeccanici, protagonista nella Cgil di Luciano Lama delle principali lotte operaie del biennio 1968 – 1969 e motore di massa della prospettiva del compromesso storico e della solidarietà nazionale perseguita dal Pci di Enrico Berlinguer e dalla Democrazia cristiana di Aldo Moro per rispondere alla crisi della democrazia italiana degli anni settanta.

Assai sintomaticamente nelle riflessioni del 1977 il monito di Trentin a non ricondurre ad un “episodio contingente di assemblearismo” il movimento dei consigli ma a considerarlo come un imprescindibile momento di fusione di contenuti rivendicativi e di nuove istanze di partecipazione dei lavoratori nell’organizzazione di fabbrica e nella vita democratica del paese viene a saldarsi con l’urgenza di accompagnare lo spostamento del fronte di lotta “sul terreno della politica economica e della creazione di nuova occupazione” con il “superamento radicale del sindacato tradizionale, inteso come associazione chiusa dei lavoratori dipendenti occupati”, con una “autonoma strategia delle alleanze” e un “autonomo progetto” di riforme economiche del sindacato da sostenere con lotte unitarie di operai, tecnici e impiegati, onde attribuire alla politica di austerità “il segno di classe” necessario a un “mutamento nel profondo delle strutture della società”.

La sottolineatura dell’assoluta importanza della posta in gioco, “O questa scelta verrà compiuta e si tradurrà in un progetto consapevole, o il nuovo corso del sindacalismo italiano sarà votato ad una inevitabile sconfitta” è rivissuta da Trentin all’indomani della sconfitta del sindacato nella vertenza Fiat del 1980 e della vittoria dei no al referendum sulla scala mobile nel 1984 con una poderosa opera di rinnovamento del sindacato compiuta dal 1988 al 1994 nelle vesti di segretario generale della Cgil, in una fase di mutamenti epocali del sistema politico italiano e di una ridefinizione programmatica dell’identità movimento sindacale nel panorama politico europeo.

3. La sinistra italiana e europea nell’età della globalizzazione e del postfordismo

A cavallo degli anni ottanta e novanta, la Cgil di Bruno Trentin è contraddistinta da un profondo rinnovamento della cultura politica del sindacato, chiamato a confrontarsi con l’esaurimento del ciclo fordista, l’informatizzazione dei processi produttivi, la moltiplicazione delle figure del lavoro salariato e dipendente, la proliferazione dei contratti atipici nel settore terziario e l’accelerazione degli scambi internazionali propria dell’età dell’interdipendenza accresciuta.

Nello scenario della globalizzazione e del postfordismo, la ridefinizione del profilo identitario e programmatico della Cgil è realizzata da Bruno Trentin aprendo la cultura politica del movimento sindacale alle istanze dell’ambientalismo e del pensiero della differenza di derivazione femminista, riscoprendo oltre la nozione di classe e di lavoro dipendente intesi in senso tradizionale il tema dell’emancipazione individuale e collettiva di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nel conflitto tra capitale e lavoro.

Nella relazione alla Convenzione programmatica della Cgil dell’aprile 1989, dal titolo emblematico Per una nuova solidarietà riscoprire i diritti, ripensare il sindacato le tematiche di un governo dello sviluppo “capace di creare ambiente, salute, ecologia, cultura oltre che merci” e di una crescita delle occasioni di lavoro e dell’occupazione “non più necessariamente collegate alla produzione di merci” vengono a congiungersi con la necessità di “salvaguardare le esigenze vitali della persona umana non solo nel suo diritto alla sopravvivenza fisica, alla partecipazione a un’attività sociale, alla parità di opportunità, ma anche e sempre più nel suo diritto a un avvenire, all’autorealizzazione di sé, come persona inconfondibile con una massa indistinta di individui”.

Ne deriva un sindacato dei diritti e della solidarietà tra diversi capace di muoversi lungo tutte le faglie del conflitto tra capitale e lavoro e di rappresentare con la stessa determinazione le rivendicazione dei lavoratori occupati a tempo indeterminato e delle nuove generazioni esposte alla flessibilità e alla precarietà dei contratti a tempo, senza dimenticare le problematiche specifiche dei lavoratori immigrati sottoposti al ricatto del lavoro nero e della clandestinità.

A contraddistinguere in maniera altrettanto marcata l’orizzonte identitario e programmatico della Cgil di Bruno Trentin è il pieno rilancio del protagonismo del movimento sindacale sulla scena politica italiana ed europea, teso a coniugare “la frontiera della nostra scommessa sull’integrazione dell’economia italiana in Europa, sulla creazione di un grande mercato unico, e sulla costruzione di uno spazio sociale comunitario” con l’esigenza prioritaria di una “riconversione europeista della nostra politica dell’occupazione e della nostra stessa azione rivendicativa”.

In tale prospettiva il superamento del dualismo tra il nord e il sud del paese può essere realizzato soltanto a condizione di un sostegno costante del sindacato alle politiche regionali e sociali della Comunità europea e di uno sforzo senza precedenti dei sindacati delle nazioni europee per un coordinamento effettivo delle loro strategie rivendicative, onde fronteggiare in maniera adeguata il potere finanziario delle multinazionali e la loro tendenza alle delocalizzazioni e all’abbattimento del costo del lavoro. Ne consegue l’urgenza di una “riforma della Confederazione europea dei sindacati e del suo statuto”, in direzione della sua trasformazione in una “vera Confederazione di strutture confederali nazionali e di sindacati di settore”.

Dopo aver riaffermato l’autonomia del sindacato di fronte alla trasformazione del Pci in Pds e aver governato con lungimiranza lo scioglimento delle correnti comunista e socialista della Cgil, l’ancoraggio all’Europa del sistema economico italiano è perseguita da Trentin nel 1992 attraverso la firma di un doloroso accordo con il governo Amato concernente il blocco della contrattazione articolata e nel 1993 con la sottoscrizione con il governo Ciampi di un protocollo di intesa sulla contrattazione nazionale e aziendale in una cornice condivisa di regole e di obiettivi di sviluppo.

Se il contributo della Cgil al risanamento finanziario ed economico del paese per il rispetto dei parametri di Maastricht può dirsi rilevante, sicuramente notevole è l’opera intrapresa dal 1995 da Bruno Trentin per una riflessione di fondo sulla parabola del movimento operaio e sul rapporto tra democrazia e socialismo nella storia del Novecento, espressa nel 1997 sulle pagine de La città del lavoro.

Riprendendo tra l’altro alcune suggestioni del pensiero di Hannah Arendt e di Simone Weil, nella ricerca intellettuale e politica di Trentin la sinistra europea può fronteggiare la sfida del postfordismo soltanto a costo di abbandonare la “maledizione” del movimento operaio del Novecento costituita dalla “vecchia tentazione di rimuovere la questione della libertà del lavoro, e del lavoro come fonte di diritto di cittadinanza”, rispondendo nel contempo alla globalizzazione facendo propria la strategia europeista del Libro Bianco di Jacques Delors, per una Europa dei diritti e delle libertà. Incalzava Bruno Trentin, annunciando indirettamente le ragioni della sua candidatura al Parlamento europeo nel 1999: “ L’Europa sociale può nascere soltanto da un coordinamento delle politiche economiche nazionali, delle politiche fiscali, delle politiche della formazione e della ricerca, incentrate sulla valorizzazione permanente delle risorse creative del lavoro umano. Questa e non altra è la posta in gioco di una strategia europeista delle sinistre, per dare un’anima, un progetto alla riforma istituzionale dell’Unione europea e alla costituzione di un potere politico sovrano capace di collocare la moneta unica in un contesto di politica economica e di governo della domanda pubblica, esplicitamente finalizzati alla valorizzazione della risorsa lavoro”.

E’ una indicazione strategica mantenuta anche nel volume del 2004, dal titolo emblematico La libertà viene prima, attraversato dall’imperativo di ricostruire di fronte all’egemonia neoliberale subentrata al crollo del comunismo reale una autentica autonomia politica e culturale della sinistra europea nel valutare gli effetti della terza rivoluzione industriale, ripartendo dal tema della libertà e dalla trasformazione dell’Europa in autentico soggetto politico nel contesto della globalizzazione e dell’interdipendenza accresciuta. Ammoniva assai lucidamente Trentin, avvicinandosi implicitamente al disegno federalista del padre : “Fino ad ora la sinistra italiana, e gran parte della sinistra europea, non sono riuscite a fare della battaglia per l’unione politica dell’Europa, una battaglia popolare, impegnando tutte le loro forze, non solo a Bruxelles ma, prima di tutto, per fare diventare l’approvazione della nuova Costituzione, con tutti i suoi limiti – l’obiettivo preliminare per il sorgere di un’avanguardia fra le nazioni più coinvolte in un approdo federalista dell’Unione europea – pena il suo decadimento – e per l’affermazione di una politica sociale dell’Europa che consenta di realizzare gli obiettivi di Lisbona e di Goterborg: formazione lungo tutto l’arco della vita, ricerca, investimenti nelle grandi infrastrutture europee e piano ecologico di dimensione europea, verso la piena occupazione. E’ la più grande sfida dei prossimi anni.”

Conclusioni

A partire della indiscussa personalità di Bruno Trentin e della ricchezza del suo percorso umano e politico, uno studio organico della sua biografia può contribuire a mettere a tema alcuni nodi fondamentali della storia della sinistra italiana ed europea, riguardante soprattutto la lettura del capitalismo nei paesi dell’Europa occidentale investiti dal processo di integrazione europea, dal Piano Marshall al Mercato comune europeo, dalla Comunità economica europea agli sviluppi più recenti innescati dalla moneta unica e dall’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Europa orientali dell’ex blocco sovietico.

Sulla base di alcune sollecitazioni dello stesso Trentin a rileggere “molte vicende di carattere internazionale alla luce del tema dell’autonomia del sindacato, cioè di un soggetto politico che ha un rapporto dialettico col partito”, l’intera parabola del comunismo italiano può essere ricostruita superando la barriera ancora esistente tra gli studi sul partito e quelli sul sindacato, ripristinandone l’effettiva dialettica in connessione con le dinamiche attive sul versante europeo sia nel movimento comunista internazionale che nella Federazione sindacale mondiale.

Le osservazioni di Trentin sul rapporto tra Togliatti e Di Vittorio, sull’azione di Di Vittorio nella Federazione sindacale mondiale e sull’evoluzione europeista della sinistra italiana sono assai sintomatiche di un percorso di ricerca suscettibile di arricchire il panorama degli studi sulla sinistra europea in una prospettiva comparata con il caso francese, onde prendere in considerazione in maniera organica lo scontro permanente tra il Pci e il Pcf e la Cgil e la Cgt proprio sul governo dello sviluppo, della programmazione economica, e dell processo di integrazione europea.

Il compito di stretto collaboratore di Di Vittorio, il contributo offerto al dibattito sul capitalismo italiano e il ruolo svolto come segretario della Fiom prima e come segretario della Cgil poi per il coordinamento delle lotte operaie in Europa occidentale e per la costruzione dell’Europa politica e sociale rendono da questo punto di vista la biografia di Bruno Trentin in qualche modo esemplare.

Estremamente interessante sembrerebbe muoversi in particolare lungo l’asse di ricerca accennato da Vittorio Foa nell’intervista rilasciata a Luisa Bellina e Ninetta Zandegiacomi, raccolta nel volume Bruno Trentin. Dalla guerra partigiana alla Cgil , sull’opportunità di una riflessione di grande respiro sull’europeismo di Bruno Trentin, dalla partecipazione ai lavori del Movimento Federalista Europeo nell’autunno 1947 come segretario nazionale dei giovani del Partito d’azione alla battaglia sostenuta a fianco di Di Vittorio per l’apertura della Cgil al Mercato comune europeo, e poi negli anni della guida della Fiom e della segreteria confederale.

Rimarcava Vittorio Foa, sottolineando la validità di un tale percorso di ricerca: “C’è una cosa su cui mi permetto di insistere, anche se la conosco poco, so che l’europeismo di Bruno era diverso dall’europeismo italiano. Bruno seguiva le idee di Delors e avrebbe voluto un’Europa che facesse altrettanto. Invece l’Europa ha poi preso un atteggiamento completamente diverso ed è andata a finire come è andata. Io credo che su questo Trentin vada studiato in parte, su come si forma l’Europa. Le cose che lui deve aver scritto e che io non ho letto sull’unificazione europea, pare che siano straordinariamente originali”.

Fermo restando l’assoluta validità dei materiali e delle chiave interpretative proposte dal gruppo di lavoro della Fondazione di Vittorio, procedere nella direzione sollecitata da Foa, magari attraverso la raccolta degli scritti “europeisti” di Bruno Trentin, editi e inediti dalla militanza nel Partito d’azione all’elezione al Parlamento europeo, significherebbe stimolare ulteriormente l’attenzione degli storici per l’evoluzione europeista del comunismo italiano tra partito e sindacato e contribuire a illuminare un filone di riflessione sicuramente centrale nella militanza intellettuale e politica di Bruno Trentin nella sinistra italiana e europea.
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    By: Sante Cruciani

    Sante Cruciani, ricercatore a tempo determinato (tipo b) in Storia delle relazioni internazionali all’Università della Tuscia. Si occupa del processo di integrazione, delle culture politiche e sindacali della sinistra europea, delle rappresentazioni mediatiche della guerra fredda. Tra le sue pubblicazioni: L’Europa delle sinistre. La nascita del Mercato comune europeo attraverso i casi francese e italiano (1955-1957), Carocci, 2007; Passioni politiche in tempo di guerra fredda. La Repubblica di San Marino e l’Italia repubblicana tra storia nazionale e relazioni internazionali (1945–1957), Università di San Marino, 2010. È curatore di: Bruno Trentin e la sinistra italiana e francese, École Française de Rome, 2012; Il socialismo europeo e il processo di integrazione. Dai Trattati di Roma alla crisi politica dell’Unione (1957-2016), FrancoAngeli, 2016.  Insieme a M. Ridolfi, ha recentemente curato i volumi L’Unione Europea e il Mediterraneo. Relazioni internazionali, crisi politiche e regionali (1947-2016), FrancoAngeli, 2017; L’Unione Europea e il Mediterraneo. Interdipendenza politica e rappresentazioni mediatiche (1947-2017), FrancoAngeli, 2017. È condirettore della rivista digitale www.officinadellastoria.eu.

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