Poco più di dieci anni fa, il 7 settembre 2001, scompariva Sergio Garavini, figura importante nella storia della CGIL e della sinistra italiana. Rappresentante degli studenti nel CLN torinese, promotore dei Consigli di gestione nel dopoguerra, responsabile culturale della federazione del PCI, Garavini approdò poi alla CGIL, nella quale ricoprì gli incarichi di segretario della FIOM di Torino, poi della Camera del Lavoro provinciale e regionale, di segretario nazionale dei tessili, quindi dei metalmeccanici, passando per la segreteria confederale. Vicino all’area ingraiana all’interno del PCI, dopo la Bolognina fu tra i promotori di Rifondazione comunista, della quale fu il primo segretario generale.
Per ricordare una figura così complessa, nel decennale della morte, si è tenuto il 6 e 7 settembre scorsi un convegno nazionale, organizzato da CGIL, Fondazione Di Vittorio e Comune di Ponza col contributo decisivo della famiglia, e articolato in due sessioni: la prima, il 6, svoltasi appunto a Ponza, isola molto amata da Garavini e dove egli è sepolto; la seconda, il 7, nella sede nazionale della CGIL, in corso d’Italia a Roma.
A Ponza, dopo il saluto del vicesindaco (il sindaco dell’isola è intervenuto il giorno dopo a Roma), a introdurre la discussione è stato Carlo Ghezzi, presidente della Fondazione Di Vittorio, il quale ha sottolineato il ruolo di Garavini in quel “ritorno in fabbrica” del sindacato dopo la sconfitta nelle elezioni delle Commissioni interne del 1955, che segnò l’inizio della ripresa e del radicamento della CGIL nei luoghi di lavoro; al tempo stesso, fin dai primi anni del suo impegno politico e sindacale, Garavini fu sempre attento al tema delle nuove forme di democrazia e di partecipazione diretta dei lavoratori, nell’organizzazione del lavoro e della società: c’è dunque una sorta di filo rosso che lega il suo impegno per i Consigli di gestione nel 1945-48 con l’esperienza del “sindacato dei Consigli” all’indomani dell’Autunno caldo. Al tempo stesso Garavini è stato un sindacalista realista, sempre attento ai rapporti di forza.
Anche lo storico Piero Bevilacqua è tornato sul senso della democrazia come oggetto della ricerca politica del dirigente torinese, del quale ha messo in luce la radicalità e l’apertura, ricordando tra l’altro un incontro operai-studenti alla vigilia delle elezioni del 1968 cui Garavini prese parte con Asor Rosa, esponente di quella linea operaista con cui l’esponente della CGIL ha sempre dialogato, pur nella differenza delle impostazioni. Sono punti che anch’io ho ripreso nel mio intervento: il tema del “controllo operaio” era volto a ribaltare lo schema taylorista della “scimmia ammaestrata”, restituendo ai lavoratori il controllo e la gestione della loro attività produttiva; ma ciò che differenziava Garavini dagli operaisti erano due cose: il fatto che la spontaneità operaia sia molto importante, ma per incidere debba legarsi all’organizzazione, e dunque a sindacato e partito, e l’idea secondo cui bisogna “partire dalla fabbrica”, ma senza isolare questo tipo di lotta, poiché anche nei luoghi di lavoro la situazione può cambiare davvero solo se mutano la “situazione sindacale generale” e il quadro politico del Paese. In questo senso, l’attività del dirigente sindacale si lega a quella del Garavini comunista, che nella insopprimibile istanza di liberazione del lavoro e nell’idea di democrazia sostanziale, partecipata e organizzata, vede gli elementi a partire dai quali rilanciare una prospettiva comunista dopo il 1989-91.
Il convegno ponzese si arricchito anche di ricordi e testimonianze di carattere più personale: Ernesto Prudente, intellettuale ponzese, si è soffermato sulle tante conversazioni fatte con Garavini sul mare e sui mille aspetti della vita sull’isola; lo scultore Ettore De Conciliis, autore tra l’altro del monumento funebre al dirigente scomparso, ha ricordato la frequentazione con Garavini e l’esperienza dell’associazione “Per la sinistra”, che vide una particolare attenzione da parte sua al rapporto con intellettuali e artisti. Su quest’ultimo tema si è soffermato anche il critico e storico dell’arte Maurizio Calvesi, che ha sottolineato il forte legame di Garavini col mondo dell’arte e della cultura, e il suo impegno in difesa delle arti visive, ripercorrendo le tappe della polemica del 1997 col ministro Luigi Berlinguer. Calvesi ha anche insistito sulla “non utopia” di Garavini, mettendo in luce la concretezza di un impegno basato sulle contraddizioni materiali di ogni giorno, cui si legava la prospettiva di una trasformazione radicale dell’esistente. E non a caso, proprio Abitare l’utopia era il titolo dell’iniziativa ponzese, arricchita dalle letture di Andrea Giordana (di brani di Lukacs, autore molto amato da Garavini) e di Giampiero Iudica (del capitolo finale del libro Ripensare l’illusione).
Come si accennava, il ricordo di Garavini ha poi avuto un secondo momento di approfondimento il giorno successivo, nella sede della CGIL. Qui la relazione introduttiva è stata svolta da Aldo Tortorella, a lungo importante dirigente del PCI, della stessa generazione di Garavini, quella che ha iniziato il suo impegno con la Resistenza e nell’immediato dopoguerra. Tortorella ha insistito sul concetto di egemonia – della classe più che del partito –, volta all’autogoverno delle masse più che alla presa del potere statale.
Aris Accornero, tra i maggiori studiosi della storia del sindacato, si è invece soffermato sulla lotta alla Fiat del 1980 e sull’analisi proposta da Garavini all’indomani di quella drammatica sconfitta nella sua relazione al Direttivo della CGIL: la lotta aveva assunto il carattere di uno “sciopero a oltranza” che non si poteva reggere, soprattutto a fronte di una inadeguatezza strategica rispetto alle trasformazioni dei processi produttivi messi in campo dal capitale, e ai relativi effetti disgregativi nell’organizzazione della classe operaia. Ma Accornero ha ricordato anche una relazione di Garavini del 1994 sulla lotta dei Cotonifici Val Susa del 1960-61, che egli diresse e che contribuì a far mutare il clima sindacale e politico del Paese.
Il tema del mutamento interno alla fabbrica come punto di partenza per il cambiamento nella società è tornato nelle parole del segretario generale della FIOM Maurizio Landini, che ha ribadito anche la centralità della democrazia sindacale nel pensiero e nella prassi di Garavini, ricordando l’istituzione del referendum sul contratto dei metalmeccanici, ad opera proprio del dirigente torinese; circa 900.000 lavoratori si espressero, segno importante di un legame organico tra il sindacato e la sua base.
Luca Telese ha invece ricordato la sua esperienza accanto al Garavini segretario di Rifondazione comunista. Dal canto suo Giorgio Cremaschi, già membro della segreteria nazionale FIOM, si è soffermato sul paradosso di un dirigente che era considerato “il più berlingueriano” nel vertice della CGIL ma che fu anche tra i più critici sia verso la solidarietà nazionale sia verso la linea di Lama, che peraltro non a caso entrerà in rotta di collisione anche col leader del PCI. Sono temi su cui è tornato anche Guglielmo Epifani, ex segretario generale della CGIL oggi a capo della Fondazione Trentin, nell’intervento conclusivo, ricordando la contrarietà di Garavini alla svolta dell’EUR e all’accordo Agnelli-Lama sul punto unico di contingenza, e invece la grande sintonia col Berlinguer degli ultimi anni, quello del ritorno davanti ai cancelli della Fiat.
Garavini, dunque, come è stato ricordato, fu un comunista della CGIL e non solo nella CGIL: una sottolineatura importante che restituisce la complessità di un “sindacalista politico” – come recita il titolo del libro di Adriano Ballone e Fabrizio Loreto – il quale seppe conservare un atteggiamento di radicale antagonismo verso lo stato di cose presente anche quando il vento prese a soffiare in direzione contraria.