Nella produzione storiografica sulle relazioni internazionali del secondo dopoguerra, il volume di Giuliano Garavini sull’impatto della decolonizzazione sul processo di integrazione e sull’evoluzione delle politiche comunitarie verso i paesi del sud del mondo rappresenta un contributo sicuramente innovativo per la comprensione di alcuni passaggi fondamentali della costruzione europea.
Fondata su una ricognizione originale degli archivi delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, della Comunità europea e di Paesi arabi come l’Algeria, la ricostruzione di Garavini proietta le osservazioni di Immanuel Wallerstein sul carattere periodizzante del sessantotto per l’ascesa del terzo mondo nella politica mondiale sulla parabola del processo di integrazione, dalla fine degli anni sessanta alla metà degli anni ottanta.
Superando gli steccati tradizionali della storia politica e diplomatica e collocando tra gli attori della costruzione europea i partiti e i sindacati, le forze imprenditoriali e i movimenti culturali, il rilancio del processo di integrazione alla Conferenza dell’Aja del dicembre 1969 è interpretato come il primo risultato dello spostamento a sinistra inaugurato nel sistema politico europeo dalla caduta di De Gaulle in Francia e dalla nomina del socialdemocratico Willy Brandt a cancelliere della Repubblica Federale Tedesca.
Combinandosi con le rivendicazioni di modifica del sistema economico internazionale espresse dei paesi in via di sviluppo alla Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo di Santiago del Cile del maggio1972, gli anni d’oro della socialdemocrazia scandiscono l’attivismo della Comunità nei rapporti con il terzo mondo.
Il mutamento della politica estera francese intrapreso dal Presidente gollista Pompidou e la nomina a Presidente della Commissione europea del socialista olandese Sicco Mansholt sono i due fattori determinanti per il successo del vertice europeo di Parigi dell’ottobre 1972, momento di avvio di una strategia a tutto campo della Comunità europea nella cooperazione internazionale.
All’indomani del sostegno americano al colpo di stato di Pinochet contro il Cile democratico e socialista di Salvador Allende e dell’aumento del prezzo del greggio provocato dalla guerra del Kippur, la sfida a dar vita a un nuovo ordine economico internazionale lanciata dai paesi produttori di petrolio è accolta dal vertice europeo di Copenaghen del dicembre 1973 con una insistita dichiarazione sull’identità europea e sull’esigenza di una azione autonoma della Comunità sul versante internazionale.
E’ una direzione di marcia sostenuta dal nuovo Presidente francese Valery Giscard d’Estaing e dall’ulteriore spostamento a sinistra del quadro politico europeo, verificatosi nel 1974 con la riconquista del governo da parte dei laburisti inglesi e con la transizione alla democrazia della Spagna di Franco e della Grecia dei colonnelli.
Nel febbraio 1975 la firma della Convenzione di Lomè tra la Comunità europea e quarantasei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico e il varo nel marzo 1975 del Primo piano quinquennale di aiuto tecnico e finanziario per i paesi in via di sviluppo sanciscono il “punto più alto” della politica comunitaria a sostegno dei paesi del sud del mondo..
All’indomani della Conferenza di Helsinki dell’agosto 1975 sulla sicurezza e la cooperazione in Europa,le ambizioni della Comunità sulla scena politica internazionale sono declinate in maniera diversa dall’iniziativa del Presidente francese Giscard e del cancelliere tedesco Schmidt di promuovere dei summit periodi dei paesi industrializzati e dalla prospettiva di un nuovo ordine mondiale perseguita dall’Internazionale socialista sotto la guida di Willy Brandt.
Mentre l’asse franco-tedesco tra il liberale Giscard e il socialdemocratico Schmidt mira a una riorganizzazione dei rapporti transatlantici e a un governo del sistema economico internazionale condiviso tra i sette paesi più industrializzati, la strategia di Brandt punta a un sostanziale mutamento del modello di sviluppo occidentale e del rapporto tra il nord e il sud del mondo.
Dopo la battaglia intrapresa nel 1976 dal neo Presidente della commissione europea Roy Jenkis per ottenere la partecipazione della Comunità europea al G7, le ambizioni della “socialdemocrazia globale” di Willy Brandt devono confrontarsi con le deliberazioni della Conferenza di cooperazione economica internazionale di Parigi del 30 maggio-2 giugno 1977, improntate al passaggio dal concetto di nuovo ordine economico e di conflitto tra nord e sud a quello “più blando di interdipendenza, che implicava concessioni da ambo le parti”.
L’esito del confronto tra il discorso pronunciato nell’ottobre 1977 dal Presidente della Commissione Roy Jenkis all’Istituto Universitario di Fiesole sulla prospettiva dell’unione monetaria e il dialogo imbastito nel 1978 tra l’amministrazione americana di Jimmy Carter e i socialisti europei è di fatto deciso dall’impatto dello shock petrolifero del 1979 sul sistema delle relazione internazionali.
Lo shoch petrolifero ha infatti l’effetto di mandare in frantumi il fronte dei paesi del terzo mondo, di aprire l’età della competizione liberista propagandata dall’Inghilterra di Margareth Thacher e dagli Stati Uniti di Ronald Reagan e di far rifluire il processo di integrazione nello spazio politico ed economico dell’Europa occidentale, secondo le linee dettate dall’obiettivo dell’unione monetaria.
Ne deriva una nuova fase della costruzione europea all’insegna di uno “stare insieme per competere”, subalterno al paradigma liberista e fatto proprio dall’Atto unico europeo del 1985 e della strategia del mercato unico lanciata dal neo Presidente della Commissione europea Jacques Delors.
Assolutamente convincente nella ricostruzione del processo di integrazione dal 1969 al 1979, con una analisi assai stimolante delle posizioni del centrosinistra italiano e dei governi di solidarietà nazionale presieduti da Aldo Moro e della breve convergenza tra l’eurocomunismo di Enrico Berlinguer e la socialdemocrazia di Willy Brandt, il lavoro di Garavini appare eccessivamente critico verso la “miopia del mercato comune” e l’esperienza di Jacques Delors alla testa della Commissione europea.
Se la lettura dei Trattati di Roma è prevalentemente dettata dalla stagnazione dell’integrazione europea imposta dalla Francia di De Gaulle, lo schiacciamento della proposta politica di Delors sul paradigma neoliberista non sembra tenere nel giusto conto l’impostazione generale del “Libro Bianco sulla crescita, competitività e occupazione” del 1993.
Nella strategia europeista di Delors le ragioni della crescita, della competitività e dell’occupazione sono elementi fondamentali di un disegno volto a un modello di sviluppo sostenibile per i paesi della Comunità e al rilancio del modello sociale europeo. La convergenza della Confederazione europea dei sindacati, del socialismo europeo e delle principali famiglie politiche riformiste sul Libro Bianco è al riguardo emblematica.
Mentre sul ruolo di Delors il dibattito storiografico potrà svilupparsi alla luce di ulteriori ricerche sulla costruzione europea degli anni novanta, il volume di Garavini costituisce in ogni caso una lezione di metodo di grande valore per una nuova generazione di storici delle relazioni internazionali e del processo di integrazione.