L’Europa in discussione. Un seminario della Fondazione Italianieuropei a vent’anni dal Trattato di Maastricht

La conferenza su “L’Europa in discussione” tenutasi lo scorso 15 marzo presso la Sala delle Colonne della Camera dei deputati, organizzata dalla Fondazione di cultura politica Italianieuropei ha voluto puntualizzare alcuni aspetti della situazione attuale riferita al processo d’integrazione europea, analizzando quelle che sono le necessità di abbinare i risultati raggiunti dal punto di vista economico ad una maggiore integrazione politica che mai come ora richiede di essere perfezionata; una sorta di riflessione e di bilancio necessari nel ventennale del Trattato di Maastricht.

Il vertice di Maastricht che vide la nascita dell’Unione europea è passato alla storia per aver preparato la strada all’entrata in circolazione dell’Euro. Sempre più necessaria si faceva l’esigenza di una moneta unica, sia da un punto di vista prettamente economico, a causa della convinzione del “no single market without a single currency”, riferita alla svalutazione delle valute nazionali, che causava un aumento di prezzi difficilmente controllabile, ma anche da un punto di vista geopolitico in seguito alla riunificazione della Germania, motivo per il quale appariva inevitabile dare nuovo slancio al processo di integrazione e sancire così l’unità degli europei attraverso un trattato.

Tracciando una rapida retrospettiva su ciò che ha preceduto l’istituzione del trattato che istituì l’Unione europea possiamo osservare che la caduta del muro di Berlino rappresentò la spinta verso una concreta unità europea già considerata nell’Atto Unico del 1987.

Nel 1989 il vertice di Strasburgo fissava l’obiettivo di una moneta comune e istituiva la conferenza intergovernativa incaricata di preparare un nuovo trattato.

Il 25 giugno 1990 si decideva a Dublino l’apertura di una seconda conferenza intergovernativa dedicata alla creazione di un’unione politica; entrambe le conferenze furono ufficialmente aperte a Roma il 15 dicembre dello stesso anno.

Il 1991 vide succedersi il Lussemburgo e i Paesi Bassi alla presidenza delle due conferenze intergovernative. La trattativa raggiunse i risultati decisivi durante il Consiglio europeo del 9 e 10 dicembre 1991 tenutosi a Maastricht, anche grazie alla spinta di Helmut Kohl e di François Mitterrand.

Dal punto di vista istituzionale il nuovo Trattato, firmato circa due mesi dopo nella stessa località, prevedeva la garanzia di un aumento dei poteri del Parlamento europeo, tramite l’attuazione della procedura di codecisione; il Parlamento otteneva così il potere di approvare gli atti legislativi comunitari insieme al Consiglio. Tale procedura prevedeva tre letture parlamentari e un apposito Comitato di conciliazione tra Parlamento e Consiglio.

Al posto di un’unione politica si pose l’obiettivo di una politica estera e di sicurezza comune attuata tramite complicati meccanismi, successivamente rivelatisi alquanto inefficaci. Si resero possibili azioni comuni in ambito di giustizia europea e affari interni e a seguito di esplicita richiesta tedesca per una maggiore integrazione, si decise per una nuova conferenza intergovernativa prevista per il 1996. Molti fattori quali la scarsa forza delle disposizioni in materia di politica estera, l’atteggiamento tedesco orientato ad insistere per regolamentare nei particolari le tappe verso la moneta unica e la politica monetaria, senza prestare attenzione all’unione economica, offrirono un risultato alquanto complesso e di conseguenza scarsamente popolare.

Alcuni giorni dopo la firma del trattato venne presentato il “Pacchetto Delors” contenente le proposte per consentire l’entrata in vigore del Trattato nel suo complesso.

Nonostante le difficoltà per la ratifica e per la natura del testo, faticosamente accessibile, non a caso, come cita Luciana Castellina nel suo “Cinquant’anni d’Europa. Una lettura antiretorica”, Jean Pierre Cot, presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo lo definì come un “garbuglio in cui una gatta non saprebbe trovare mai i suoi gattini”[1], il Trattato di Maastricht può essere definito una pietra miliare del processo d’integrazione europea.

Dodici i paesi interessati, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna.

Le principali innovazioni inserite nel nuovo trattato, oltre a quelle precedentemente accennate, riguardarono l’istituzione di una cittadinanza europea, ma il progetto più importante inserito all’interno del trattato fu quello relativo all’Unione economica e monetaria da realizzarsi in tre fasi, che avrebbe portato alla creazione di una moneta unica per tutti gli stati dell’Unione.

Sebbene sia stato definito come un semplice emendamento ai trattati di Roma, Maastricht rappresentò una sostanziale avanzata del progetto europeo nato nel 1957 e preceduto dalla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nel 1951.

Si deve ammettere, però che le aspettative riguardo la necessità di fornire l’Unione europea di un testo fondamentale di riferimento furono alquanto deluse dai risultati di Maastricht e dai successivi Trattati di Amsterdam firmato nel 1997, di Nizza entrato in vigore il 1° febbraio 2000 per finire con il “progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa” nel 2004.

Il costituzionalista Gianni Ferrera ha scritto: “[…] bastava che si leggesse la Carta dei diritti, inquadrandola nell’ordinamento che l’avrebbe recepita, per dedurre la degradazione dei diritti sociali a una sorta di interessi tutelati subordinatamente e occasionalmente. Cioè solo se e in quanto compatibili con le ragioni supreme, canonizzate come tali, dell’instaurazione dell’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Gli apologeti della Carta di Nizza non vollero riconoscerne la funzione sostanzialmente regressiva rispetto alle conquiste affermate nelle costituzioni del secondo dopoguerra”[2]

Oggi una riflessione si rende necessaria sulla natura di quel progetto, a causa della crisi del debito degli Stati, che costantemente tiene in allerta i governi nazionali dell’Unione Europea.

Jean-Dominique Durand, dell’ Università di Lione, in un articolo su SIR (Servizio Informazione Religiosa)[3], ha affermato che il Trattato di Maastricht[…] è stato voluto soprattutto da tre grandi statisti, due cattolici Jacques Delors e Helmut Kohl, e uno socialista, François Mitterrand.

Aveva la volontà di dare a tutti gli europei un sentire europeo comune, con lo stesso passaporto per tutti, la libera circolazione dei cittadini e la definizione di uno spazio comune, particolarmente per i giovani universitari con la possibilità di studiare in diverse università dell’Unione, ma anche il rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo e una semplificazione delle decisioni con il voto maggioritario in seno al Consiglio europeo. Purtroppo il ventesimo del Trattato è oscurato dalla crisi dell’Euro e delle finanze pubbliche e viene celebrato in un’atmosfera di paura e di morosità. Ma non si deve cedere al pessimismo. Maastricht ha avuto il coraggio di mettere in comune il cuore stesso della sovranità degli Stati: la moneta, la difesa, la diplomazia, la polizia, la giustizia, e di dare agli europei una coscienza europea nel rispetto, con il principio di sussidiarietà, dei caratteri propri di ogni nazione. Per la creazione della moneta unica, che sarebbe l’Euro, il Trattato prevedeva diversi meccanismi di prevenzione e di sanzioni per evitare debiti e deficit di bilancio troppo alti. Ma non sono stati rispettati[…].”[4]

A questo proposito l’inadeguatezza di quanto deciso venti anni fa, ha condotto all’attuazione di un Trattato di stabilità, di coordinamento e di governance dell’Unione Economica e Monetaria, conclusosi recentemente con l’attuazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) il quale rappresenta una prima reazione in un momento tanto complesso. In questo modo si vuole cercare di sopperire al vulnus rappresentato dal prevalente obiettivo di fissare vincoli economici comuni, senza preoccuparsi di coordinare le politiche economiche.

Maggiore attenzione si sarebbe dovuta prestare piuttosto alla realizzazione di un’unione di bilancio contestualmente all’entrata in vigore dell’euro, ciò avrebbe consentito alla moneta unica di avere maggiore solidità, evitando il rischio implosione dell’Eurozona. Per evitare la minaccia di perdita di sovranità dei paesi membri si è preferito dare al Patto di stabilità e crescita, rivisto nel 2003, su input della Francia e della Germania, gravate da consistenti deficit, l’incombenza di esercitare un’azione di controllo sul rigore degli stati. Ora, di fronte alla grave situazione riguardante paesi come la Grecia, si pone rimedio con il Patto di Bilancio, il quale dovrà costruire l’unione fiscale.

Per ciò che riguarda il nostro paese, appare condivisibile quanto sostiene Paolo Savona nel suo ultimo libro “Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi. Il caso Italia” , in cui afferma “[…]La crisi che stiamo vivendo è il conto che gli italiani sono chiamati a pagare per gli errori commessi dagli Stati Uniti nel dopo Bretton Woods, non avendo adeguato le regole sul piano della moneta e dei cambi, e dall’Unione Europea nel dopo Trattato di Maastricht, per non aver attuato il disegno di unificazione politica che l’aveva indotta a creare l’euro”.[5]

Il trattato MES e il nuovo trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria, denominato anche Patto di Bilancio, sono “entrambi elementi della strategia intesa a superare la crisi del debito pubblico nella zona euro”, ha sottolineato Herman Van Rompuy.[6]

A decorrere da marzo 2013, la concessione di assistenza finanziaria secondo il MES dipenderà dalla ratifica del trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria e, a decorrere dall’anno successivo l’entrata in vigore del trattato, anche dall’attuazione della regola del pareggio di bilancio.

La ratifica del trattato MES dovrà avvenire a cura degli Stati membri della zona euro; l’entrata in vigore è prevista per luglio 2012, con un anno di anticipo rispetto alla data pianificata.

Ciò che accade oggi mostra, come dopo l’adozione dell’euro ci sia stata una identificazione dell’Unione europea con la moneta, che ha provocato una distrazione da quelli che erano e dovrebbero ancora essere i valori ispiratori; questo significa che la finanza ha preso il sopravvento sul resto, minacciando sempre più la condivisione delle diverse culture presenti nell’UE.

Tale contesto mette in serio pericolo quel fermento comunitario che esisteva fino a prima che cominciasse lo stravolgimento che stiamo vivendo quando, ora più che mai, sarebbe opportuno che quel sentimento e quella convinzione tornassero ad occupare una posizione prioritaria.

La “discussione”, che ha dato il titolo all’incontro, si è articolata in modo tale da consentire una maggiore presa di coscienza di quanto sta avvenendo e di cosa si potrebbe e dovrebbe fare.

Gli autorevoli interventi[7] hanno voluto esaminare i passi avanti compiuti nella gestione della politica europea degli ultimi tempi.

Le iniziali affermazioni del Presidente Amato hanno contribuito ad un immediato focus sullo stato del processo di integrazione, “oramai siamo arrivati al di là della volontà dei protagonisti, volontà non ispirata a ragioni di una maggiore integrazione e tuttavia le ragioni di una maggiore integrazione si sono venute imponendo in relazione ad una maggiore stabilità complessiva dell’Eurozona. Tutto ciò che si è mosso verso una maggiore integrazione, si è mosso intorno all’Euro, in ragione dell’Euro ai fini della salvaguardia dell’Euro e ciò ha creato uno sfondo sul quale si leggono passi avanti e passi da fare, tuttavia riguardanti la sola Eurozona”.

E’ emerso che quando si parla di Unione europea, se gli attori principali dovessero guardare con freddezza al futuro, vedrebbero la sola crescita dell’Eurozona e intorno a questa il Mercato Comune; traguardi questi che perfino il Regno Unito non vuole lasciare, ma oltre i quali non vuole andare. Oggi con il fiscal compact si dice che gli stati dell’Eurozona firmatari dell’accordo si impegnano a rispettare le raccomandazioni sui loro bilanci. Ciò significa che lo stato nella sua sovranità decide di sottostare alle decisioni sovranazionali, ma significa anche che tutto questo tormentone intergovernativo cominciato da Maastricht, in ragione dello scossone per la stabilità dell’Euro, della quale la Germania si è fatta carico, arriva a stabilire che la Commissione vincola gli stati nella gestione dei bilanci nazionali.

Una volta entrati nell’integrazione fiscale, assoggetteremo i bilanci nazionali a decisioni comuni. In qualche modo i parlamenti nazionali saranno vincolati in assetti essenziali dei loro bilanci, coerenti con decisioni prese in sede europea.

Un altro interrogativo posto è quello relativo al tipo di legittimazione riconosciuto alla Commissione per essere sovrapposta ai bilanci nazionali

Rispondere a questa domanda pone più che mai la necessità della costruzione di un assetto democratico diventato oramai inevitabile. L’Euro non è un singolo, si combina con l’integrazione fiscale e l’integrazione fiscale si combina con la realtà nazionale/europea.

I percorsi possono essere diversi. Lungi dagli ideali federalisti/funzionalisti si dovrebbe far scaturire l’integrazione politica da un lavoro sempre più integrato, facendo nascere una piattaforma come quella del discusso fiscal compact. Su questa piattaforma qualcosa dovrà necessariamente essere costruito al fine di raggiungere la legittimazione democratica. Oggi, secondo Amato, “non è ancora tempo di tirare le somme, ma tempo di cumulare gli addendi. C’è chi si occupa di cumulare gli addendi, ma c’è anche chi lavora per arrivare a tirare le somme”.

Il segretario generale dell’Istituto Universitario Europeo, Pasquale Ferrara si è soffermato, invece, sull’importanza di una riforma di governance europea. Secondo Ferrara occorre molta prudenza nell’affrontare questo argomento; ci si deve rendere conto che l’Europa rischia di dover passare in una posizione difensiva. La divisione dell’Europa, alla luce di quanto sta avvenendo nel campo della politica estera, non gioca a favore; non è chiaro il suo ruolo nel contesto globalizzato. Si parla di multipolarismo. Questo multipolarismo non coincide con il multilateralismo, perché crea centri di potere che non coincidono con gli assetti istituzionali, anzi a volte si contrappongono.

L’Europa, secondo Ferrara, dovrebbe trasformare il multipolarismo in multilateralismo attenuando la sindrome dei piccoli paesi affetti dal morbo del sovranismo. Questo sembra essere il punto fondamentale. Pasquale Ferrara ha concluso sostenendo che “si dovrebbe dare un grosso contributo alla cd. politica del vicinato. […]Come risponde l’Europa? L’atteggiamento constatato nei recenti periodi può essere ricondotto piuttosto ad un timore per l’arrivo di migranti, che trascura la domanda di partecipazione sociale delle nuove generazioni”.

Il Ministro per le politiche europee, Enzo Moavero ha posto l’attenzione sulla prospettiva democratica europea che in qualche misura si può sperare possa aprire l’orizzonte ad una revisione dei trattati.

In riferimento alla crisi economica, ha osservato come dal 1989 ad oggi sia cambiato completamente l’assetto geopolitico, e come il Trattato di Maastricht abbia contribuito a sciogliere quei nodi che i cambiamenti avevano inevitabilmente costituito. Oggi ci troviamo in una situazione simile. Al termine del Trattato di Lisbona si pensava di non apportare modifiche ai suoi contenuti per almeno dieci anni, purtroppo con l’esplosione della crisi in Europa è avvenuto un sostanziale riassetto che vede l’improvviso cambio di direzione di politiche consolidate; si prenda ad esempio la politica sulla concorrenza, attraverso una serie di provvedimenti volti all’assestamento dei meccanismi di tutela in funzione della crisi in atto. Qui si inserisce l’argomento del fiscal compact. Quando a dicembre si è aperta la discussione sulla possibilità di raggiungere un accordo relativo alla disciplina di bilancio, l’insistenza tedesca per avere un atto solenne, faceva pensare che questo trattato (fiscal compact) potesse diventare un’operazione destabilizzante.

Ma di cosa si tratta veramente? La “compatezza fiscale”, come si potrebbe tradurre letteralmente, rappresenta l’antidoto alla cd. “dispersione fiscale” e impedisce ai debiti pubblici dei paesi della Eurozona di percorrere un cammino autonomo e individuale contribuendo a creare una crisi comune. Il fiscal compact attuale rappresenta, usando un terminologia da economisti, una contrazione espansiva, volendo significare che ci sarebbe una riduzione dei deficit pubblici fino al completo annullamento. Il tutto avverrebbe tramite una diminuzione della domanda, causata proprio dalla contrazione fiscale, ma per altro verso ci potrebbe essere un aumento successivo della domanda, a causa di una fiducia ritrovata nei confronti di un sistema che dimostra di tenere. Commissione e Corte di Giustizia europea dovranno rispettivamente vigilare attraverso interventi o sanzioni, affinché vengano rispettati i dettami del nuovo trattato. Il divenire europeo si orienta verso una maggiore unione politica e un ineludibile riassetto istituzionale, pertanto ci si augura che avvenga una europeizzazione di quelle aree ancora escluse dal processo d’integrazione, attraverso i metodi ortodossi utilizzati fino ad oggi. Ci si chiede come mai ad esempio, il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale diretto, non esprima una maggioranza politica, ipotesi che non richiede cambiamenti normativi e che prescinde dagli interventi dei governi. L’oggetto della conferenza ha incoraggiato una discussione approfondita e ricca di spunti di riflessione evidenziando attraverso gli interventi dei relatori, sia le legittime preoccupazioni che nascono dalle vicende che caratterizzano la vita politica degli ultimi tempi, ma anche gli auspici che tutto quello che sta avvenendo incentivi il cammino verso una maggiore armonia politica, che sfoci in una convinta unione di intenti e di idee, orientata a rinnovare non solo l’immagine, ma anche la struttura dell’Unione europea.

 

 


[1] L. Castellina, Cinquant’anni d’Europa. Una lettura antiretorica, Utet Libreria, Torino, 2007, p. 67.

[2] G. Ferrara, Lavoro, diritti di cittadinanza e rappresentanza nella Costituzione europea, in Lavoro, contrattazione,

democrazia, Costituzione, Ediesse, Roma, 2004.

[3] L’Agenzia S.I.R.,Servizio Informazione Religiosa, nasce nel l 988, per iniziativa della Federazione Italiana Settimanali Cattolici e con il sostegno della CEI.

[4]J.D. Durand , “Non sciupiamo 20 anni. Il 7 febbraio 1992 veniva firmato il Trattato di Maastricht, SIR Unione

Europea , sabato 4 Febbraio 2012. http://www.agenziasir.it/

[5] P. Savona,Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi. Il caso Italia”. Rubbettino Editore, Soveria 

Mannelli, 2012. 

[6]“Firmato il trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità- sinergia con il patto di bilancio”, 2 febbraio

2012, http://www.european-council.europa.eu

[7]Giuliano Amato in veste di Presidente dell’Advisory Board, Fondazione Italianieuropei, Pasquale Ferrara, segretario

generale dell’Istituto Universitario Europeo, Enzo Moavero, Ministro per le politiche europee.

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