Nell’immediato secondo dopoguerra, fu con Luigi Einaudi, dapprima come Governatore della Banca d’Italia e quindi come Presidente della Repubblica, che si venne definendo il profilo della liturgia repubblicana; come sappiamo, “fredda” e compassata, austera e sobria, .generalmente senza un’effettiva presenza dei cittadini. Il ruolo di Einaudi come Presidente concorse anche a riaccreditare il prestigio della Banca d’Italia. A lui si dovette nel maggio 1947 l’introduzione delleConsiderazioni finali, poco prima di lasciare la guida della Banca d’Italia[1].
Sempre a Einaudi si dovette l’avvio, nel 1949, come Presidente della Repubblica, della consuetudine del messaggio di fine anno alla nazione. Da allora esso fu uno dei più importanti rituali della vita politica italiana, l’occasione per l’annuale rappresentazione di una identità collettiva nazionale e di una produzione di valori grazie a cui reinterpretare la realtà quotidiana[2]. Dapprima svolto alla radio e quindi in televisione, più della dichiarazione programmatica di governo dei Presidenti del Consiglio,[3] quello dei Presidenti della Repubblica divenne uno dei discorsi pubblici di più alto valore simbolico nel rapporto tra istituzioni e cittadini, insieme rito civile e sempre più anche evento mediatico: sebbene anche in quelle occasioni Einaudi fosse assai sobrio e conciso, a differenza di quando egli sapeva invece distendersi nell’esercizio della scrittura.[4]
Alle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia dedica la sua attenzione il giurista Giuseppe Guarino; a Guido Carli (dal 1960 al 1974) in particolare ma anche a Donato Menichella, successore di Einaudi e predecessore di Carli. Ne è derivato un volume per diversi aspetti felicemente sorprendete[5]; un testo che conforta quanti credono alla necessaria interdipendenza tra storia, diritto ed economia. Anzi, Guarino ci segnala l’opportunità di guardare alle Considerazioni finali dei governatori[6] come ad una delle possibili fonti tanto per una storia a più dimensioni del secondo dopoguerra quanto per una riprova ulteriore sulla influenza del racconto storico nella costruzione del discorso pubblico.
Ma come avvenne la formalizzazione del rito annuale delle Considerazioni finali ?. Attraverso la definizione di diversi fattori:
a) un giorno fisso: l’ultimo non festivo del maggio successivo all’oggetto della relazione
b) il protocollo: «Mai, a visibile attestazione della indipendenza della Banca, esponenti del governo in carica. . […] L’occasione è solenne. Carli legge con voce sommessa. Il tono quasi ieratico.[7]
c) l’immagine: «Cessata la cerimonia, i giornalisti si accalcavano. […]La lettura delle Considerazioni era l’evento economico–finanziario dell’anno. I grandi quotidiani vi avrebbero dedicato i titoli della prima pagina. Così è ancora oggi. Ma l’evento non è più “l’unico”».[8]
d) uno scopo primario: «Non tanto la comunicazione, quanto la riflessione. Anno per anno emergevano aspetti nuovi».
Sulle “Considerazioni finali”: un “saggio di storia italiana”
Guarino argomenta la tesi, per noi storici suggestiva e intrigante, che le Considerazioni finali di Guido Carli, nel suo quindicennio di governatorato, possano essere considerate come un «saggio di storia» e come «una importante opera storica».
Un saggio che, partendo dagli aspetti monetari e economici della vita italiana, abbraccia anche quelli istituzionali e indirettamente politici, nonché dati strutturali essenziali del sistema finanziar internazionale. Le quindici Considerazioni, dunque, quali «Annali» di quindici anni di storia italiana. Poiché le Considerazioni sono le une legate alle altre, esse formano un saggio unitario di quindici anni di storia del nostro paese. Anni rilevanti, di «snodo» tra le fasi di costituzione materiale anteriori e quelle successive.[9]
«Le Considerazioni , saggio di storia, sono esse stesse un prodotto della storia». Si ipotizzano ardite comparazioni con opere del passato e con autori come Cuoco e Tocqueville.
Le Considerazioni di Guido Carli, come saggio storico degli ani 1960-1974, dovrebbero assegnarsi, anche per l’acume delle analisi e l’ampiezza delle ricostruzioni sistemiche, al filone in cui figurano, quali opere insigni, La Rivoluzione napoletana del 1799 di Vincenzo Cuoco e L’Ancien régime et la révolution di Alexis de Tocqueville. Anche Carli era stato partecipe delle vicende narrate. Sue previsioni hanno preceduto di dieci, quindici anni e forse più, gli avvenimenti che sarebbero sopravvenuti[10].
Quale potrebbe essere allora l’apporto delle Considerazioni finali – di Carli e di altri governatori della Banca d’Italia, si potrebbe dire – come fonte di indagine e conoscenza storica?
L’importanza delle Considerazioni come fonte di conoscenza storica […] è nel fatto che la ricerca degli elementi, anche minimi, potenzialmente rilevanti e la loro valutazione era per l’Istituto di emissione, in un periodo di continua e talvolta rapida trasformazione su vari fronti, un dovere istituzionale, quale presupposto essenziale per l’adozione tempestiva di adeguate decisioni di politica monetaria.[11]
Le Considerazioni, sottolinea Guarino, sono però anche «un’opera storica».
Un’analisi storica condotta anno per anno (gli «annali»). Ogni anno con anticipazione di quanto sarebbe accaduto negli anni successivi. In ogni anno le connessioni degli accadimenti successivi con le vicende anteriori. Sono questi caratteri a fare delle Considerazioni un testo unitario. Sono la storia di quindici anni nevralgici della vita italiana.
Qual’era la metodologia seguita dal governatore? «Carli ricerca i rapporti causali, distinguendo tra cause durevoli e cause transitorie. Le cause durevoli, nella vita collettiva, si collegano di norma a fatti (strutture) istituzionali». [12] Quanto detto per Carli – le relazioni come fonte di conoscenza storica e saggio di storia italiana, varrebbe anche per Menichella, sebbene «in misura attenuata».[13]. Ecco allora la sottolineata rilevanza delle Considerazioni governatoriali come di una indispensabile fonte per arricchire alcuni momenti e diversi snodi della storia repubblicana. Significative furono del resto le analogie tra Carli e Menichella, nonostante i diversi percorsi professionali. «Identici i tre aspetti fondamentali: il senso etico della missione; l’assoluta indipendenza nell’esercizio delle responsabilità dei politici, come da qualsiasi pressione del mondo esterno […]; il metodo».[14]
Di suo Carli fu assai attento al mondo della comunicazione e quindi all’immagine pubblica, della banca d’Italia come del suo massimo esponente. Scrive Guarino che egli «creò nuovi uffici, assunse personale specializzato. Si avvalse di consulenti esterni. Tenne conferenze all’estero. Non ebbe remore a dibattere su temi economici con direttori di autorevoli quotidiani».[15] Concorso in modo attivo e continuativo ad accreditare il ruolo e la credibilità dell’istituzione, acquisendo una notorietà mediatica – tra giornali e televisione – che prefigurava tendenze solo in seguito affermatesi.
Da Einaudi a Menichella e Carli, dal 1947 al 1974, la Banca d’Italia fu l’istituzione della Repubblica che forse godette del più alto prestigio., sopportando quasi per intero le responsabilità della politica monetaria. Quelli di Carli furono gli anni in cui si ebbe il passaggio dalla concentrazione alla frammentazione del potere e al frazionismo crescente della politica . Furono anche gli anni dello”scongelamento” costituzionale e dell’intervento pubblico con le Partecipazioni Statali, che allargarono le spese di bilancio e concorsero a definire un modello di sistema “misto”, tra pubblico e privato; laddove risorse pubbliche cominciarono ad essere dirottate verso i partiti di governo (al centro e nel territorio), le correnti interne e i ruppi di pressione. Fu quanto Carli cominciò a denunciare nelle sue Considerazioni. Menichella aveva lasciato a Carli una Banca d’Italia con un accresciuto prestigio internazionale. Perseguendo una politica di rigore (stabilità dei prezzi ed equilibrio nella bilancia dei pagamenti) egli denunciò le storture ed anticipò i mutamenti in atto nel sistema di potere e delle relazioni internazionali. «Leggendo in modo coordinato il testo delle singole Considerazioni con quelli degli anni successivi, si colgono i tasselli di un pensiero che in più di un caso anticipa sorprendentemente il futuro».[16].
Guarino esemplifica le circostanze nella quali Carli seppe unire le analisi sul campo con la individuazione di mutamenti epocali. Fosse l’emergere di istituzioni extraterritoriali capaci di ledere la sovranità monetaria degli Stati e di comportare la formazione di grandi aree monetarie. Oppure la rilevazione del nesso tra i primi casi di mala gestione amministrativa, risalenti al 1961, l’anno del boom, col l’8,42 % di crescita del PIL – e le cause che avrebbero impedito all’Italia di rendersi del tutto omogenea agli altri principali paesi europei. Oppure i caratteri genetici delle istituzioni europee, vale a dire il preponderante potere acquisito dai tecnici nel confronto dei politici e dagli stati presentatisi ai nastri di partenza in condizioni di maggiore forza.[17] Per non dire dei tre processi che avrebbero condizionato la storia sia d’Italia sia dell’Europa: il fenomeno degli euro-dollari, la degenerazione del sistema misto in Italia, la prevalenza delle discipline monetarie sulla omogeneizzazione delle strutture nella costruzione europea. Carli evidenziò, rimarca Guarino, lo prima di altri snodo del problema italiano. «Lo Stato era debole. […] Il rapporto debito-PIL nel primo anno di gestione Carli era pari al 39,04 per cento. Raggiunse nell’ultimo esercizio il 57,67 per cento. Si riteneva che vi fosse spazio per chiedere e per concedere».[18] Carlì intravide i mutamenti in atto: il decadimento del ruolo dello Stato con l’avvento della globalizzazione, attraverso l’integrazione europea e le nuove relazioni internazionali.
Certo, i legami tra banche, politica e industrie appartengono alla storia d’Italia almeno dal primo Novecento e in particolare dagli anni prebellici 1910-1915.[19] Il fenomeno eclatante nel corso del Novecento, ance in Italia, fu la crescita del settore pubblico. Lo osservò con attenzione Cesare Romiti, già dirigente della Fiat nel corso degli anni Ottanta: «all’inizio del secolo , il settore pubblico rappresentava in Europa il 5 per cento del PIL; nel 1960, era già arrivato in molti paesi al 30 per cento; oggi è pari in media quasi al 50 per cento. Stati Uniti e Giappone invece sono intorno al 28-30 per cento».[20] Carli rimarcò che proprio nelle Considerazioni finali dei governatori della Banca d’Italia gli effetti della crescita del fabbisogni statale furono evidenziati a più riprese. Lo fece Menichella nel 1955 a proposito del sistema economico nazionale, quando per la prima volta fu introdotto un apposito paragrafo. Ci ritornò Carli nel 1965, rilevando gli effetti sul sistema bancario. E così pure avrebbe fatto Paolo Baffi nel 1976 intervenendo sul «sistema creditizio imbrigliato». Nel 1979 fu quindi la volta di Carlo Azeglio Ciampi[21], sottolineando la «coesistenza di soggetti privati e pubblici» così come le «partecipazioni bancarie», la «separatezza tra industria e banca» e la distinzione «tra sfera politica e sfera dell’impresa». [22]
Gli anni di Carli furono quelli del boom economico e della sua parabola. I picchi erano stati nel 1961 (8,42 %) e nel 1968 (8, 37%), con una media per i suoi 15 anni di gestione pari al 5,36%. Quando già si vedevano gli effetti della crisi mondiale del 1973, l’anno dopo, si aveva ancora un + 5,44%. Il dato italiano fu a lungo il migliore tra i principali paesi europei, senza che al momento dell’entrata in Europa, nel 1992, fosse rivendicato come fattore significativo dello sviluppo economico italiano nei primi 30-40 anni dell’Italia repubblicana. Rileva ancora Guarino:
La media di sviluppo italiana dal 1945 al 1992 avrebbe superato negli anni sino al 1980 ogni altro paese democratico occidentale a regime di mercato di dimensioni eguali o superiori. Dopo gli anni l’Italia sarebbe stata seconda, superata solo dalla Germania Federale. Un risultato straordinario.[23]
Il paradosso è quindi che lo sviluppo si ebbe nonostante le storture e la degenerazioni del sistema economico “misto” economico-politico viste anzitempo da Carli e infranto dalla formazione dell’area monetaria unica. Lo sviluppo favorevole avveniva nonostante la degenerazione nelle condotte politiche e d economiche. Insomma, anche chi si occupa di storia dell’Italia repubblicana e delle sue rappresentazioni pubbliche dovrà guardare con attenzione alla dimensione storico-politica delle Considerazioni finali dei governatori della Banca d’Italia.
[1] Cfr. A. Valente, Da Einaudi a Ciampi. Le considerazioni finali dei governatori della Banca d’Italia (1947-1996), Roma-Bari, Laterza, 1990.
[2] Sullo stile presidenziale di Luigi Einaudi, cfr. M. Ridolfi, Storia politica dell’Italia repubblicana, Milano, Bruno Mondadori, 2010, pp. Si aggiunga Messaggi dal Colle. I discorsi di fine anno dei Presidenti della Repubblica, a cura di Michele A. Cortellazzo e Arjuna Tuzzi, Venezia, Marsilio, 2007.
[3] Giorgio Fedel, Le dichiarazioni programmatiche del primo ministro nel regime parlamentare. Un’analisi comparata (Italia, Gran Bretagna e Germania), in Id., Saggi sull’oratoria e il linguaggio politico, Milano, Giuffré, 1999, pp. 51-110.
[4] Cfr. Luigi Einaudi, Lo scrittoio del presidente 1948-1955, Torino, Einaudi, 1956.
[5] Giuseppe Guarino, La figura e l’opera di Guido Carli, I. Riflessioni sul governatore, vol. VI degli Scritti e discorsi di Guido Carli, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.
[7] G. Guarino, La figura e l’opera di Guido Carli cit., p. 17.
[8] Ibidem, p. 18.
[9] Ibidem, p. 3.
[10] Ibidem, p. 29.
[11] Ibidem, p. 21.
[12] Ibidem, p. 22.
[13] Ibidem, p. 28.
[14] Ibidem, p. 28.
[15] Ibidem, p. 15.
[16] Ibidem, p. 19.
[17] Ibidem, p. 21
[18] Ibidem, p. 11.
[19] Sulle “mappe del potere” prebellico, cfr. Giorgio Fiocca, Storia della Confederazione Italiana dell’Industria 1900-1914, Venezia, Marsilio, 2001.
[20] Cesare Romiti, Gli intrecci tra industria, finanza e potere politico negli ultimi trenta anni, Seminario tenuto il 15 giugno 10999, presso la facoltà di Economia della Un. Federico II di Napoli, p. 54.
[21] Carlo Azeglio Ciampi, Considerazioni finali, 1979, in www.bancaditalia.it/bancaditalia/storia/governatori
[22] G. Guarino, La figura e l’opera di Guido Carli cit., pp. 54-55.
[23] Ibidem.